32 Recensioni su

Shame

/ 20117.0532 voti

Così così…. / 21 Giugno 2022 in Shame

A livello tecnico è un capolavoro: ottima regia e fotografia, delle inquadrature davvero perfette, Fassbender da Oscar…
Ma a livello narrativo, nonostante tratti un argomento interessante li film lascia troppo spazio all’arte dell’immagine, che sì trasmette, ma spesso annoia.
Da vedere senza dubbio ma state concentrati!

Che poi… un film sulla dipendenza dal sesso… che mi mostra Fassbender sbatacchiare il suo coso qual e la… me la fa venire la dipendenza! Ahahahaha!
6/10.

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Un film coraggioso / 30 Gennaio 2017 in Shame

Questo film punta la luce su un problema credo assai diffuso: la perversione sessuale, che può diventare un problema nelle relazioni sociali e questo accade soprattutto per chi ha una sensibilità interiore in contrasto con un forte desiderio fisiologico che poi diventa patologico. Certo è pesante ed è quasi un film pornografico quindi attenzione a chi ha un forte senso del pudore di evitare di guardarlo. Questo non toglie che il film sia fatto molto bene, poche parole, soprattutto fotografia, sguardi, espressioni del volto. Storia triste, ma onestamente alcune scene mi hanno fatto anche ridere molto, perché piuttosto imbarazzanti.

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Una precisa dannazione / 2 Febbraio 2016 in Shame

Una grande intensità drammatica, accentuata dall’interpretazione davvero impressionante di Fassbender e sottolineata da una regia calma, ragionata, distesa su piani sequenza molto particolari (la corsa con lunga carrellata orizzontale sulla città), con luci e suoni che codificano con precisione le scene (il blu notturno della metro, il giallo ‘malato’ del sesso sfrenato con le due prostitute). Un film accurato cucito attorno a una storia di dannazione personale per fortuna senza spiegoni di corredo, con alcune sequenze perfette (il dialogo al ristorante e la scena di sesso tra Fassbender e la Beharie) e altre un po’ scontate (la sequenza “rossa” verso il finale, abbastanza prevedibile).

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31 Maggio 2015 in Shame

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Millimetrico. Le inquadrature sono perfette. Colonna sonora malinconica. Interpretazione di Fassbender da standing ovation. Una pellicola difficilmente digeribile, dura, aspra e fredda. Dopo l’ultima conversazione con la sorella, il film è un pugno allo stomaco. Bellissime anche le battute scambiate al ristorante mentre ordinano, ti scappa quasi la risata, ma il regista continua, sadico, nella storia, ed infierisce nello spettatore. Personalmente, non ho trovato nulla di eccezionale nella sorella.

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23 Luglio 2014 in Shame

Il film restituisce il ritratto di un uomo incapace di intimità, che si ritrae – per compensazione? – in una dipendenza morbosa dal sesso. Ritratto non banale, perché il protagonista è un uomo affascinante – memorabile la sequenza in cui seduce senza fare nulla l’avventrice di un bar corteggiata invano con modi goffi e volgari dal capo di lui – e capace di stringere un rapporto di simpatia umana, potenzialmente amoroso (con la collega d’ufficio). Più risaputi risultano certi eccessi autodistruttivi, e la mezza catarsi conclusiva (anche se il finale del film non lascia molto spazio alla speranza). Da ricordare l’interpretazione di «New York, New York» da parte di Carey Mulligan. Incomprensibile lo scandalo che si è voluto montare sul film.

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La seconda di McQueen / 22 Aprile 2014 in Shame

La pellicola racconta in maniera curata e impegnata quello che si potrebbe definire, senza mezze misure, il “ritratto di una vita miserabile”.
Brandon è un uomo letteralmente divorato dalle sue ossessioni ed incapace di garantire una certa stabilità nella sua vita. Nemmeno il rapporto con la sorella sembra essere in grado di portarlo verso una via d’uscita, agli occhi lontana.
Consigliato. Vuoi per il notevole stile registico di McQueen, per la particolarità della vicenda o per la bella prova di un Michael Fassbender egregio.

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Società meschina / 18 Marzo 2014 in Shame

Tanta forma, ma McQueen lascia un po’ la sostanza a casa. In primis la sceneggiatura ha dei punti di forza proprio nel sottolineare il modo in cui la società crea mostri e l’individuo (ormai omologato ad essa) non riesce ad esprimere completamente la propria sessualità e relativi feticismi perché le persone attorno a lui lo considererebbero “diverso”, “strano”. Fassbender e Mulligan bravissimi nei loro ruoli, ma purtroppo il finale vanifica il tutto rendendo assolutamente inconcludente quanto visto. In momenti come questi mi viene in mente il finale di “Arancia meccanica”, perché un regista non riesce a prendere una posizione salda, ferma, precisa? Il protagonista è “guarito” (si passi il termine) o no? Continuerà a vivere come ha sempre fatto o ha dato una svolta alla sua vita?

Dal punto di vista registico i piani sequenza di McQueen danno la giusta profondità ed espansività alle scene, grazie anche ad una fotografia studiata al millimetro, non si può dire che ogni inquadratura non sia oro colato, ma la prossima volta, dare un finale che non sia cerchiobottista sarebbe quanto meno adeguato.

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31 Luglio 2013 in Shame

“Badlands you gotta live it every day
Let the broken hearts stand
As the price youve gotta pay”
– Bruce Springsteen, Badlands

A me sinceramente, nei film, piace buttarmici. Si, liberarmi dai pregiudizi, dalle inibizioni, da qualsiasi tipo di freno, dalla paura di affogare. Chiudere gli occhi e tuffarmici, curioso di vedere ciò che accadrà. Molte volte, però, purtroppo, ti tuffi e ti schianti contro un mare finto, fatto di plastica (un po’ come Jim Carrey in The Truman Show che sbatte contro il cielo di carta). Questo può accadere o perché il regista non è bravo a creare situazioni credibili, a descrivere i sentimenti, oppure perché le interpretazioni degli attori sono scarse e non c’è proprio verso di entrare in empatia con i personaggi. Ma non è questo il caso. In “Shame” di Steve McQueen, infatti, si riesce veramente ad immergercisi, fino in profondità, rischiando quasi di affogare. Ed io adoro quella situazione.
Quando accade questo, per quanto mi riguarda, si può dire che il regista ha fatto centro.
Tanto di cappello quindi a Steve McQueen che al suo secondo lungometraggio dopo Hunger, è riuscito a dare un’anima a questo film, pur trattando una tematica scomoda e raffigurando un personaggio “insolito” reso però estremamente credibile da un’interpretazione magistrale di Fassbender (provate a vedere i suoi primi piani, per esempio, mentre la sorella canta o durante l’ultimo rapporto sessuale). Un Fassbender che con questa prova si è conquistato un posto nell’olimpo dei migliori attori attualmente in circolazione, capace di reggere un intero film sulle proprie spalle apparendo sicuro e sincero in situazioni per niente semplici.
A discapito quindi di una fotografia gelida, (bellissima tra l’altro) tuta incentrata su toni di blu, grigio e celeste, il film appare vivo e profondo.

Di cosa parla? E’ di sicuro un film su una perversione, ma prima di tutto è una splendida raffigurazione di un sentimento forte come la solitudine, quella più straziante, immobilizzante. Fassbender è un erotomane, un uomo ossessionato dal sesso , che per lui rappresenta la sola ed unica via per scappare dai propri fantasmi, da un passato incerto di cui sappiamo pochissimo, ma che comprendiamo essere stato estremamente traumatico (“Non siamo cattive persone. E’ solo che veniamo da un brutto posto”). Fassbender corre e scappa da un disagio esistenziale avvolgente. Come in Hunger, anche qui si si trova imprigionato, ma queste sbarre forse sono ancora più resistenti, queste catene fanno ancora più male.
Lo vediamo masturbarsi, scopare in continuazione, raggiungere orgasmi con il volto sofferto e dilaniato dal senso di colpa e dal disprezzo per se stesso. Ma lo vediamo anche non riuscire a fare sesso proprio l’unica volta in cui oltre al desiderio carnale c’era anche del coinvolgimento emotivo (una delle sequenze più angoscianti dell’intera pellicola). Ha un ottimo lavoro e vive in un bellissimo appartamento con una splendida vista sulla metropoli, ma asfissiato dal suo malessere, schiavo del proprio corpo e delle proprie pulsioni, lo vediamo muoversi a stento nel mondo.

Questo inferno, fatto di solitudine non riguarda solamente Brandon, ma anche la sorella Sissy, interpretata da una altrettanto brava Carey Mulligan, anch’essa profondamente triste, incapace di trovare la propria posizione nel mondo, bisognosa di attenzioni. Una ragazza estremamente fragile, con un tentativo di suicidio nel passato, forse più di uno…Tra i due, malgrado le tenere e struggenti suppliche di lei, non c’è mai una vera comunicazione. La dolcezza di Sissy, infatti, si schianta sempre contro quel muro che Brandon si è costruito attorno. E ci si potrebbe davvero scrivere un trattato di psicologia, sul personaggio interpretato da Fassbender, che in alcuni momenti sembra volersi arrendere, crogiolarsi nello schifo, quasi a voler dimostrare a se stesso di essere una me**a, mentre in altri frangenti sembra reagire, tentare di dar finalmente una svolta positiva alla propria vita.

In un certo modo, mi ha ricordato il Mickey Rourke di The Wrestler, o i tanti protagonisti della canzoni di Bruce Springsteen, immersi nelle “Badlands” , in bilico tra l’essere sul punto di arrendersi, reagire, sollevarsi e poi fallire ed arrendersi di nuovo.

Per tutta la durata del film, domina un senso di desolazione, mentre sprofondiamo insieme a Brandon in questa claustrofobica discesa negli inferi. La telecamera di McQueen lo accompagna con il fiato sul collo, non gli concede un momento di privacy, ma niente sembra mai eccessivo. Non sembra esserci un gusto per lo scandalizzare fine a se stesso come si trova, purtroppo, in molte altre pellicole. La regia è a tratti virtuosa, ma mai fastidiosa o disturbante. Di sicuro non siamo di fronte a un capolavoro della settima arte, visti i diversi difetti che possiamo trovare (se proprio vogliamo), ma si tratta in ogni caso di un grandissimo film, uno dei migliori degli ultimi anni.
Un film monumentale, potente e sincero, a tratti straziante, ma che con sicurezza e facilità riesce a penetrare il cuore.

Girato in appena 25 giorni, tra l’altro.

“Everybody’s got a secret Sonny
Something that they just can’t face
Some folks spend their whole lives trying to keep it
They carry it with them every step that they take
Till some day they just cut it loose
Cut it loose or let it drag `em down
Where no one asks any questions
Or looks too long in your face
In the darkness on the edge of town “
— Bruce Springsteen, Darkness on the edge of town

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25 Aprile 2013 in Shame

Shame.

Shame è la provocante pellicola diretta da Steve McQueen, un film sul sesso, sulla perversione, sul corpo e sulla mente. La colonna sonora, la fotografia, la regia risultano piacevoli alla vista e all’udito dello spettatore.
La vita del protagonista la vorremmo far tutti.
Brandon (Fassbender) è un adulto di successo, ha tutto quello che desidera, ogni cosa è raggiungibile, ogni persona è a suoi piedi. E’ acclamato, ha una bella casa, vive in una gran bella città (se hai i soldi) New York City, in un’appartamento con vista mozzafiato.
Ben pagato,è il ritratto del giovane e bello americano di origini Irlandesi.
Le apparenze ingannano poiché dietro questa facciata fatta di apparente stabilità e normalità, si cela un individuo dipendente dal sesso.
Egli infatti cerca in modo perenne di soddisfare le sue fantasie, perversioni incluse, passando di donna in donna (avrà anche rapporti omosessuali).
Non è l’unico ad avere debolezze all’interno della sua famiglia, ecco che torna sulla scena la sorellina.
Ci sono delle differenze fra il primo e la seconda: “Brandon tiene tutto dentro, non traspare nulla all’esterno, convive come può con la sua dipendenza. Sa di essere malato e non sa come uscire dalla sua malattia, per di più ogni volta che ci prova si fa malissimo. La sorella invece, giovane e bella cantante, passa da una relazione all’altra ed è incapace di sostenerle.
Sarà il loro incontro, le note di New York New York cantate in un modo totalmente diverso da quello “made in Sinatra” strappano lacrime amare al fratello, a costringere Brandon a fare i conti con quel lato di sé stesso che ha preferito fino a quel momento ignorare.

DonMax

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19 Aprile 2013 in Shame

Ho votato 6 stelline solo per Fassbender nudo. Il film l’ho capito poco e niente, lo ammetto e vorrei rivederlo saltando le scene di nudo che mi hanno mandato in pappa il cervello >.<

14 Aprile 2013 in Shame

Meglio leggere “Soffocare”.

3 Marzo 2013 in Shame

Pochi ma ben costruiti dialoghi, Fassbender e Mulligan da paura, regia splendida. Uh, per non parlare della colonna sonora, accompagna splendidamente tutte le scene senza dialoghi! Una piacevole sorpresa, McQueen mi intriga, devo recupare al più presto altri suoi film. 😀

Vergogna, dolore, paura e solitudine oggi / 23 Febbraio 2013 in Shame

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Guardando questo film mi sono trovata più e più volte a chiedermi dove McQueen volesse arrivare. In alcuni momenti ho semplicemente pensato volesse raccontare la storia di un uomo con un passato irrisolto, spezzato, interrotto in qualche modo (non verrà mai specificato quale evento o situazione possa averlo fatto diventare ciò che è). In altri momenti mi sono trovata invece a pensare che il regista volesse fare una chiara critica alla società contemporanea, schiava del materialismo, del consumismo, del vincere facile, del tutto subito e dell’usa e getta (in alcuni istanti mi ha fatto pensare un po’ a Fight Club). Alla fine sono giunta alla conclusione che forse entrambe le interpretazioni possono andare bene.
Da una parte c’è il protagonista, Brandon, un uomo bello, affascinante, divertente, interessante, benestante, ma con una forte dipendenza dal sesso. Virtuale, reale, da solo, in coppia, in gruppo, eterosessuale, omosessuale, tradizionale o trasgressivo non importa: ne è ossessionato. Come un tossico in cerca della propria dose di droga, neanche Brandon può vivere una vita normale. Certo, se è fortunato (come quando va per locali all’inizio del film con alcuni colleghi), riesce a trovare senza troppa fatica una donna che gli permetta tutto sommato di sfogare le proprie pulsioni, ma quando va male bisogna ricorrere a Internet, giornali, locali equivoci o prostitute e allora c’è il rischio che qualcosa vada storto. La situazione comincia a cambiare nel momento in cui nella vita di Brandon torna la sorella Sissy. La ragazza lo rimette di fronte al passato che cerca di dimenticare e con le sue fragilità (ma anche con la sua sola presenza) invade e complica l’infelice e solitaria vita del fratello (che in qualche modo si era come assestata nel suo dissesto). Brandon e la sorella hanno chiaramente un difficile trascorso comune che hanno seppellito ognuno sotto le proprie ossessioni (quelle sessuali lui e quelle affettive lei).
Ma veniamo a quella che, secondo me, è l’altra faccia del film: la sottile quanto chiara e pungente critica di McQueen alla società contemporanea. Ad un certo punto del film il protagonista spiega all’unica donna che gli chieda qualcosa di lui come sia inutile al giorno d’oggi il concetto di matrimonio o di relazione stabile (lo fa per giustificare la sua vita da libertino, ma in fondo quello che dice è vero). Poi abbiamo, in rapida successione, il capo fedifrago, pornografia ovunque, persone che non nutrono vergogna nell’esibire i propri corpi. E allora sì, lavoriamo, ma poi sniffiamo anche cocaina e andiamo a letto con una prostituta.
Insomma, Shame mi è piaciuto. Buona la musica, ottima la fotografia, buoni anche gli attori.
L’interpretazione di Carey Mulligan non l’ho notata più di tanto. A parte il primo piano durante New York, New York, il suo volto non è apparso abbastanza da farmi riuscire a scorgere quell’immensa prova di bravura di cui molti parlano (nonostante come attrice mi piaccia).
Discorso a parte invece per Fassbender che qui a nudo, più che il suo corpo, mette la sua bravura. Un’interpretazione intensa, efficace. Una prova d’attore totale. E’ il suo sguardo a dire tutto ciò che c’è da dire e non viene detto. E’ il suo sguardo la linea guida di tutto il film. La sua interpretazione mi ha ricordato quelle (sempre contemporanee) di alcuni suoi colleghi a cui sicuramente non ha (se mai ne ha avuto) nulla da invidiare. Mi riferisco, ad esempio, alle varie prove d’attore di Jared Leto spesso estreme e tutte volte a donarsi completamente al personaggio interpretato o a quella di Joacquin Phoenix nel biopic su Johnny Cash (un’altra delle poche immedesimazioni totali che io ricordi) e poi all’interpretazione di Nicolas Cage in Via Da Las Vegas. In una delle scene finali, infatti, il viso di Fassbender, teso e immerso nell’atto sessuale, ma allo stesso tempo contorto in un’espressione di disgusto per se stesso e per le sue azioni, insomma il suo viso disperato ma perseverante mi ha ricordato quello del Cage alcolista di Via Da Las Vegas (d’altronde premiato per quel personaggio con un meritatissimo Oscar) aggrappato disperatamente alla bottiglia agli inizi del film quasi come a voler morire della sua dipendenza (e guarda caso lì sarà così).
Film buono, quindi. L’unica cosa è che lascia un po’ l’amaro in bocca per due motivi: non viene spiegato cosa sia successo a quest’uomo (io mi sono fatta l’idea che magari nell’infanzia/adolescenza venisse costretto a rapporti incestuosi con la sorella); e poi nè il protagonista nè tantomeno qualcun altro parla mai a chiare lettere, non solo del passato, ma nemmeno dei problemi presenti o di quello che si intende fare magari per risolvere almeno un po’ una situazione che pare sempre sul punto di esplodere, come infatti ad un certo punto farà. Nell’intera durata del film non c’è una volta in cui Brandon parli o ammetta con qualcuno le proprie ossessioni (questo é un altro parallelismo con Via Da Las Vegas, dove il protagonista non spiega mai il perché sia diventato alcolista e non affronta quasi mai un discorso sulla propria situazione). A parer mio si tratta del classico esempio di “elefante nella stanza” come dice quella tipica espressione della lingua inglese per indicare un problema lampante ma di cui nessuno vuole discutere e che, figuriamoci, nessuno vuole tantomeno provare a risolvere.
Non c’è dunque in Shame una scena madre in cui le carte vengono scoperte, quindi paradossalmente non sapremmo nemmeno cosa ne pensa Brandon di se stesso se non fosse per quello sguardo e per alcune sequenze. Mi riferisco al tentativo di autosalvarsi buttando letteralmente nell’immondizia la vita che lo sta consumando e poi all’appuntamento con la collega d’ufficio (forse per la prima volta a confronto con una donna, e non solo con un corpo, Brandon si sente in difficoltà). Entrambe le scene sono quasi tenere, commoventi, forse perché già si intuisce che non porteranno davvero ad un miglioramento della situazione, ma, anzi, se possibile faranno precipitare le cose ancora di più nel baratro.
In conclusione, non essendoci una scena madre, non c’è nemmeno una redenzione o perlomeno una dichiarata redenzione. Alla fine Brandon si trova di fronte ad una delle tante tentazioni. Il suo sguardo (di nuovo lo sguardo) è diverso però. Chissà se anche lui sarà diverso.

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18 Febbraio 2013 in Shame

McQueen torna alla settima Arte smuovendo pensieri e filosofie, scatenando volendo dibattiti, tentando lo scandalo, la provocazione… ma purtroppo inciampa nel manierismo e nel conformismo talvolta, seppur il tutto sia ben sorretto dalle ormai già blasonate prove dei due interpreti.

10 Febbraio 2013 in Shame

Quando uscì lo saltai apiè pari perchè tra tutte le dipendenze quella dal sesso mi sembra la meno interessante ma sull’onda dell’entusiasmo per the hunger mi sono fatta convincere a vederlo… E beh in effetti va molto oltre il rapporto di Brandon con il sesso, racconta di esistenze all’ apparenza normali ma che in realtà sono molto instabili e probabilmente senza soluzione. Non poteva esserci un happy end anche se i protagonisti ci provano a cambiare tutto si avvita come una spirale e gli errori si ripetono, altre cure per quelle ferite sono difficili da trovare.
Grande potenza visiva e grande sofferenza rendono bene lo stile di mcqueen.

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28 Gennaio 2013 in Shame

Meraviglioso. Esattamente quello che volevo vedere. Tante volte mi ripeto che ogni film ha una sua luce, e questo, ve lo assicuro, la sua l’ha trovata alla perfezione. Micheal Fassbender è perfetto bravissimo, incastonato nella parte, Carey Mulligan neanche a parlarne. Da vedere, assolutamente.

27 Gennaio 2013 in Shame

La seconda opera di Steve McQueen, dopo lo stupendo Hunger, è di nuovo caratterizzata dal connubio con Michael Fassbender.
Questa volta si tratta di dipendenze che consumano, dipendenza dal sesso come fuga dalla realtà, in un circolo vizioso che isola e respinge ogni altro essere umano che non sia solo un pezzo di carne senza coinvolgimenti emotivi.
Alternando una esteriorità profondamente di classe con sequenze tristemente squallide eppure perfette, Shame ti conduce a fondo insieme a Brandon ( Fassbender) e Sissy ( Carey Mulligan), fratelli allo sbando incapaci di aiutarsi a vicenda.
Sfruttando quelle che ormai sono le sue cifre stilistiche, McQueen gira pochi dialoghi, con lunghissimi piani sequenza, primi piani sul variare delle espressioni dei personaggi e una fotografia curatissima e in questo caso splendidamente azzurrata. Notevole la colonna sonora, davvero notevole.
Un film che forse un uomo può capire ancora più a fondo, ma non per questo meno bello e doloroso.

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13 Gennaio 2013 in Shame

La pellicola affronta turbe e problematiche represse di un uomo in un’opera sofisticata e sottile, centrata sulle espressioni, immensi entrambi Fassbender e Mulligan, ricercate con una regia precisa e una ‘fotografia urbana’ affascinante. L’intima vergogna del protagonista, violentato psicologicamente, emerge e sconvolge altresì lo spettatore; decisamente riuscito.

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30 Dicembre 2012 in Shame

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Sinceramente non riesco a vedere in questo film il capolavoro di cui tutti parlano.
Come già è stato detto da altri prima di me, ho trovato la pellicola lenta e piuttosto noiosa, le uniche cose degne di nota sono le interpretazioni della Mulligan in primis e di Fassbender. Il tema è trito e ritrito e, a differenza di quanto prometteva la presentazione dell’opera, è stato trattato con evidente bigottismo. McQueen è ben riuscito mostrare la solitudine e le sofferenze delle persone, dovute all’impossibilità di amare -e di farsi amare- o alla paura di stringere rapporti intimi, e questo è stato fatto senza particolare bravura. Ma il voler mostrare come male estremo il sesso libero e fugace, o ancora peggio la masturbazione… beh, questo mi sembra bigottismo di inizio del secolo scorso. Per non parlare poi dell’happy end della “redenzione” finale a seguito del sacrificio estremo della sorella, con tanto di richiesta di aiuto a Dio sotto lo scrosciare della pioggia. Credevo che certi finali fossero finiti con le favole di Dickens, ma evidentemente mi sbagliavo

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Silenzio e delicatezza / 29 Dicembre 2012 in Shame

Brandon è dipendente dal sesso, che vive una vita apparentemente perfetta agli occhi degli altri: un lavoro soddisfacente, un appartamento di lusso e una vita mondana degna di uno scapolo. Lui però lotta continuamente con la consapevolezza del suo problema, estraniandosi dal mondo esterno, schivandolo e con esso anche le relazioni sentimentali. Con lui la sorella Sissy, che tenta nel salvataggio di suo fratello e di sé stessa, in un rapporto fraterno complicato, oscillante tra l’odio e l’amore.

Con questa tematica, sarebbe molto facile cadere nel banale e soprattutto nel volgare, ma Steve McQueen, nella sua opera prima (seconda in realtà, dopo Hunger del 2008,uscito in Italia solo nella primavera del 2012) affronta in modo sottile, elegante e, allo stesso tempo, brutale, il problema della dipendenza, sia sessuale che da stupefacenti, con varie scene di nudo integrale di Michael Fassbender e di sesso, sempre presentati con giochi di ombre e piani di dettaglio. Un film con pochi dialoghi dove gli sguardi e i silenzi sono protagonisti fondamentali e assoluti.

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17 Dicembre 2012 in Shame

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

La sintesi che ti senti fare è del tipo “è un film dove scopano tutto il tempo”. Che detto così è un po’ inquietante, anche perché io i porno sono abituato a guardarli a casa, e non mi sembra il caso di andare al cinema. Il regista è un tale che non so per quale ragione si chiama Steve McQueen, ed è un artista inglese di boh, al suo secondo film, e tutti dicono che anche il primo era così bello. Dette le premesse, veniamo al film: in una Londra dai palazzi a specchio ci sta Brandon (“quel figo di Fassbender”, secondo la mia amica P.), che ha una bella casa e un lavoro. Però si ammazza di pugnette ovunque, ha una vera e propria ossessione per il sesso di qualsiasi tipo, nonostante il suo superficiale benessere materiale. Perché poi è anche un figo (come detto), e oltre a mostrarci l’arpione all’inizio mentre gira nudo per casa, dopo essersi sbattuto una troia, non ha difficoltà a farsi tutte quelle che vuole. A lui si accosta, inaspettata, Sissy, l’ancora più debole sorellina (che ca**o di famiglia però), che canta e si innamora di qua e di là e soffre ed è instabile. Quindi, in sintesi lui è un ossessionato dipendente sessuale stabile, lei un’ossessionata dipendente affettiva instabile. La convivenza non fa bene, e mentre Brandon in una notte si fa pestare al camionista alla cui tipa aveva fatto un ditalino al bancone di un bar, e poi se ne va a fare un threesome iinterracial con una bionda e una giapponese, la sorellina ricade nel (vecchio) vezzo di tagliarsi le vene nella vasca da bagno. Care vecchie abitudini.
C’è chi ha detto che fosse un capolavoro, chi una pisciazza. Io son del parere che lo spettro intermedio sia pressoché infinito, e si possa girare un bel film sulle ossessioni in cui cadere nelle metropoli d’oggi senza dover per forza essere osannati o ricoperti di interiora di bovino. Le fatiche esistenziali dei due fratelli sono ovviamente complementari, ognuno è un po’ della parte che all’altro manca, e la pioggia di corpi nudi non equivale ad una nudità delle emozioni. Anzi, il percorso si compie nel film proprio con il loro progressivo dissotterramento dalla situazione iniziale, in cui semplicemente non esistevano, nascoste da tonnellate di internetpornografia.

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12 Novembre 2012 in Shame

Io non ho trovato tutta la “shame” di cui nel titolo… infinitamente lento, non conclusivo… insomma, una delusione. E’ soltanto la storia di un uomo che non sa amare. Capirai, che novità. Siamo tutti come lui.
Comunque complimenti a Fassbender, che ha fatto una bellissima interpretazione.

10 Ottobre 2012 in Shame

Shame è un film che, piaccia o meno, ti spiazza e ti brucia le viscere.
La trama è ridotta all’osso, ma il film riesce per la colonna sonora, davvero azzeccata, e una fotografia molto particolare che va dal tendente all’oro, come nella scena in cui Sissy canta, oppure è fosca quando il protagonista non riesce a sostenere la propria vita, ma è anche cerulea in alcuni momenti. La regia non è da meno, piani sequenza lunghi al limite della nevrosi (come quella del protagonista) e tagli particolari delle immagini.
Inoltre le interpretazioni di Michael Fassbender e di Carey Mulligan non sono solo un valore aggiunto alla pellicola, ma danno spessore e vita a personaggi nervosi, complessi e umani fino al midollo.

Forse si trasformerà in un otto perché la tecnica è impeccabile; non conoscevo Mc Queen e ora non vedo l’ora di vedere anche Hunger.

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4 Agosto 2012 in Shame

E’ un pugno nello stomaco, davvero.
Sono indecisa: non so se mi è piaciuto o se l’ho trovato disturbante. Credo che sia entrambe le cose.
Alcuni lo avevano definito “la morte dei sentimenti” e adesso ho capito cosa volevano dire.

I miei complimenti a Michael Fassbender (Brandon) e Carey Mulligan (Sissy), entrambi magnifici nell’interpretare dei personaggi che di magnifico hanno ben poco.

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31 Maggio 2012 in Shame

Un vero e potente pugno nello stomaco.
Regia e sceneggiatura avvolgenti ed intense, tecnicamente originale, con una fotografia affascinante e angosciante contemporaneamente.
Le interpretazioni son stratosferiche: dalla Mulligan portentosa, a Fassbender che ti lascia senza parole.
La discesa agli inferi dei due personaggi viene resa con tale realismo che fin da subito, pur non conoscendo nulla dei protagonisti, ci si rende conto dell’inferno e della disperazione che vivono e di cui sono prigionieri. Entrambi sembrano volerne uscire fuori, ma in realtà non ci provano neanche. Tutto ciò viene reso alla perfezione da McQueen, che conferma il talento già visto in Hunger.

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A me è piaciuto ! / 28 Maggio 2012 in Shame

E’ bello come viene rappressentato la non capacità di questo uomo di amare e di relazionarsi… per cui il sesso è qualcosa di scisso dall’amore e solo un mero modo di provare piacere ed estraniarsi da tutto

14 Aprile 2012 in Shame

Forse è un voto esageratamente alto, ma sebbene abbia visto questo film (che aspettavo con ansia) molto in ritardo rispetto alle previsioni, cosa che ha naturalmente fatto si che venissi a parte dei giudizi di quanti mi hanno preceduto, non sono rimasto per nulla deluso.
Anzi, il film è andato ben oltre le mie aspettative e non solo per la straordinaria performance di Fassbender (avrebbe meritato una candidatura all’oscar e se la sarebbe senza dubbio giocata alla pari con Dujardin), ma anche per un’ottima regia (da oggi gli Steve McQueen che mi piacciono sono due!), che segue le perversioni e le frustrazioni di Fassbender con uno sguardo distaccato e partecipe al contempo. Ad essere protagonista è il corpo di Brandon, fibroso e pallido, che rispecchia un’anima in pena, pervasa da un senso di dipendenza che gli impedisce di vivere a pieno i sentimenti.
Brandon – ma anche Sissy – sono persone bruciate nel vivo, prigioniere di una qualche aberrazione psicologica che non permette loro di esprimersi in maniera sincera ed appassionata.
Il sesso, ma non solo, l’orgasmo, diventano il solo registro con cui Brandon conferisce un senso ai rapporti. Ed il tragico è che ne è cosciente e che lui stesso disprezza se stesso per questo.
Ma venirne a capo non è semplice.
Rendere in maniera seria e non banale il dramma di queste persone non è cosa semplice e per questo l’accoppiata Fassbender-McQUeen funziona alla grande.
Nel film anche la musica gioca un ruolo essenziale. L’apice della disperazione di Brandon è sottolineato da un motivo musicale perfettamente intonato.
E anche la scelta dello sfondo non è casuale. Una città indifferente e ricca di tentazioni, come New York, è l’inferno perfetto per le vicende di due fratelli che non sono cattivi, ma sono sfortunati.
Ed ora aspetto con ansia “Hunger” (2008!) di nuovo con la coppia McQUeen-Fassbender.

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Bravo McQueen / 25 Febbraio 2012 in Shame

Mi è piaciuto, anche se non si può dire che sia un film che si possa amare. Sarebbe certamente esagerato, ma soprattutto sarebbe inadeguato, im-pertinente. Perché se c’è una cosa di cui non si parla in questo film è proprio l’amore, di cui rimane l’assenza, irraggiungibile. Se disperatamente ci si trova lì ad aspettare che almeno uno dei personaggi riveli, anche solo per un istante, un guizzo d’amore rapido, veloce, circoscritto, che magari scomparirebbe un secondo dopo per sempre, beh, minuto dopo minuto, si comincia a capire che no, non accadrà mai.
L’amore – in tutte le sue accezioni – è un significato, una parola, un mondo, una sfera di esperienza preclusa a Brandon; pasticciata, confusa, e troppo adulterata da cose che non c’entrano per Sissy; non pertinente per indifferenza o perfino per inconsapevolezza della sua stessa esistenza per il capo di Brandon, e così via…

Niente amore perché per provare amore bisogna essere capaci di sentire.
Meglio: bisogna avere voglia di sentire, bisogna avere il coraggio di sentire.
E restare lì.

Le dipendenze, si sa, sono un meccanismo di ottundimento della percezione. Il gioco è quello di vivere il più possibile annebbiati. Ma naturalmente non è un gioco che riesce. I risvegli ci sono, gli attimi di lucidità anche, le percezioni eccome. E bruciano, scavano, feriscono ancora di più di quell’amore/sentimento che si vuole evitare a tutti i costi perché ritenuto la minaccia più grande.

In tutto il film si respira (no, non si respira, perché il fiato via via manca) questo clima opprimente, schiacciante, frenetico, da fuga costante (in qualunque modo, con qualunque mezzo, purché sia fuga), caotico, inconcludente, e costellato di una miriade di “tentativi falliti” (isotopia che emerge spesso). Fuga dal sentire, che è il grado che precede l’amore. Almeno sentire. E l’illusione di poterlo fare.

Argomento di estrema complessità, quindi bravo McQueen, sei riuscito a renderne uno spaccato, e fare film (e arte) sulle mancanze è sempre più difficile che farle su ciò che c’è. Uno spaccato efficace, bastava sentire il peso dei passi all’uscita dal cinema.

Quindi, bravo McQueen, ma davvero. Riprese interessanti, regia che è stile, inquadrature e montaggio che sono parte assoluta della trama e del senso. Senza esagerare, ma con maestria, q.b.: quella strana magia che emerge quando si sa cosa si sta facendo.

Un’ultima cosa, Steve… c’è qualcosa in questo film, l’unico visto per ora (mi aspettano già uno prima e uno futuro), che mi ricorda incredibilmente Neil Jordan, sbaglio?
Forse è questa capacità di aprire spaccati sulla vita entrando dalla porta principale per poi scoprire, via via che la macchina da presa girovaga per le stanze, mette il naso degli angoli e nelle pieghe dei personaggi che incontra, che ci sono cantine, ripostigli, anfratti bui, stanze mai abitate, stanze segrete di cui non si vuole parlare, cantine, cantine… Jung [che Fassbender conosce bene 😉 ] le chiamava i luoghi più profondi della psiche, quelli dove il governatore è il nostro inconscio, posto che la casa è l’archetipo della relazione che stabiliamo con noi stessi.
La prossima volta bisognerebbe provare a leggere il film da questo punto di vista: la casa di Brandon, l’arrivo di Sissy in casa, la sua “espulsione” – di Sissy e di Brandon stesso… l’albergo per l’incontro con la collega, l’unico barlume di speranza a un accesso diverso… mmm, fertile chiave… 🙂

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19 Gennaio 2012 in Shame

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Ok è la seconda volta che vedo questo film in una settimana, è successo per caso ma è stato utile. La seconda volta mi è piaciuto di più.
McQueen mi aveva già catturato con Hunger, ma Shame è stato la conferma. Una regia molto interessante, piena di scene con riprese molto lunghe, come quella in camera fissa al ristorante, o l’interpretazione di “New York New York” da parte di una Mulligan bravissima. E anche i montaggi erano davvero particolari, il crescendo dell’ultima notte mi ha fatto venire i brividi.
Il tutto condito da una colonna sonora veramente bella.. e da due attori che dire bravi è poco. Fassbender è stato davvero eccezionale, ha recitato anche le scene meno facili in maniera davvero molto convincente. Il suo Brandon è un personaggio così tormentato e sofferente, che gli si perdona qualunque compulsione, e anzi quasi si comprende questo suo bisogno di cercare vuoto e oblio attraverso il sesso, l’orgasmo fine a se stesso, quel momento in cui la mente si svuota.
Brandon passa l’intera pellicola a fuggire da un passato che non viene spiegato, cerca rifugio in rapporti occasionali, ma quello che gli viene offerto è solo un’illusione; un breve frammento di pace a cui segue una depressione ancora più nera – come in tutte le dipendenze.
Ci accorgiamo di questo e nel corso del film se ne accorge anche Brandon.. ma questa consapevolezza non gli dà la libertà: è imprigionato, schiavo del suo corpo, e non può liberarsi.
Ci prova una volta, e non ci riesce. Non sa gestire i legami affettivi, gli risulta difficile persino con la sorella, anche lei incapace di gestire se stessa e depressa.
Due personaggi autodistruttivi, ciascuno a suo modo, e noi siamo senza un elemento sulla loro infanzia – lei dice a David di essere cresciuta col fratello nel New Jersey, lui dice alla collega di venire dall’Irlanda.
Il finale è aperto, in quello sguardo si può leggere qualunque cosa, una redenzione.. o più probabilmente, uno sprofondare ancora più a fondo, in qualcosa che Brandon non è capace di controllare.
Sarebbe 8,5, ma per ora metto 8; tanto cambio spesso idea, rivedendo i film.

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18 Gennaio 2012 in Shame

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Inizio,l’ incipit è circolare :si gira in tondo,si fa sesso con una prostituta,si tenta di abbordare una donna,lei scappa,fugge via,il fallimento incombe,la vita del protagonista è tutta qui,questo è quanto.
Solitudine di un uomo .
Racconto:

Il protagonista, viene descritto per quello che è:un erotomane, uno stronzo che se ne frega perfino della sorella che bisognosa di aiuto piomba in casa sua .

Il film ci mostra tutto il mostrabile senza cadere nella pornografia,la pellicola è difficile da giudicare ,ma strappa il giudizio positivo grazie ad una messa in scena efficace,il regista ama il piano sequenza ,ne fa ampio sfoggio sena mai cadere nel banale,lascia intuire il passato del giovane e della sorella senza esplicarlo,lo spettatore fa supposizioni e intanto l’opera matura e convince anche se l’operazione sarebbe potuta essere migliore se il finale non fosse risultato eccessivamente drammatico,addirittura quasi patetico (ci riferiamo soprattutto alla sequenza della avvenuta presa di coscienza di Brandon ) una scelta di sceneggiatura diversa avrebbe certamente giovato e reso il tutto migliore.

Il cerchio si chiude.
Ora o mai più.

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16 Gennaio 2012 in Shame

Corpi (enumeriamo di nuovo i film che si incentrano sul corpo), colonna sonora potente (anche qui il mood continua) e città però, bella, presente, imponente, quasi un terzo personaggio. Ottima la fotografia, gelida e comunque realistica, ma che si concede per esempio la composizione iniziale che è fulminante, lui immerso nelle lenzuola blu. Film di pieni e di vuoti che gira intorno a spazi abbaglianti come l’appartamento di lui e ad una città il cui scorcio principe è il porto sul fiume, umida e sporca, ma brulicante di vita di notte, fredda e luminosissima di giorno. Storia di solitudine totalmente anarrativa che registra la routine di una persona anaffettiva e di successo, così scarnificato da essere oggetto di immedesimazione per tutti o quasi: iperconnettività, uffici, locali notturni, quell’abitare le case che è un soggiornarvi, ma non un vivervi, quell’utilizzo dei media che ci connettono e ci isolano, una foto abbastanza realistica della vita odierna. Dato il vuoto in cui si muove il protagonista ovviamente è necessario che vi sia un cotrappeso, ecco una dipendenza che ottunde, lega, realizza e distoglie che è la dipendenza sessuale. Mcqueen segue il suo protagonista in questo vagolare fra alti e bassi di una vita che sentiamo affamata, con impulsi che vanno soddisfatti a ritmi sempre più elevati e continui.
Poi la rottura che è il confrontarsi con il disagio della sorella che è un disagio completamente diverso, quanto Brandon è uniformato al paesaggio, quasi integrato formalmente con i suoi abiti e i suoi modi, tanto è fuori dagli schemi la sorella iperemotiva, tracimante, coloratissima ed eccesiva. Il contatto con sentimenti, emozioni, il bisogno di calore (topica la scena di lui che si lamenta del fatto che la sorella beva direttamente dal contenitore del succo di frutta) lo fa cedere prima all’illusione di poter intessere una relazione, poi al precipitare in un annullamento fisico che ha la stessa valenza della rinuncia al cibo degli anoressici. Qui il corpo che è mostrato, usato, bistrattato, privato di ogni reazione che non sia quella puramente orgamisca, diviene strumento di controllo, ma anche mezzo per stordire la mente.
Solo con lo scontro con un altro corpo che si fa carne sembra che il ghiaccio di Brandon si sciolga in una emozione incontrollata (ci sono state altre lacrime, ma minime, nascoste, negate, fuggite). Eppure questo probabilmente non basta. La città che è lì riaccoglie Brandon nella stessa maniera, offrendogli gli stessi vuoti e gli stessi pieni, lo stesso ventre isolante.
Perchè i due fratelli sono così? Interessa davvero? Credo proprio di no, non trovo neppure disturbante il leggero accenno ad un passato difficile fatto dalla sorella, non c’è giustificazione in questo, tutti abbiamo un passato e solo quello di pochissimi può essere stato non difficile.
Mi è piaciuto ed è un film che non si dimentica, però ammetto avevo alte attese, non tutte sono state soddisfatte.
Citazione particolare all’inizio del film, nel momento in cui Brandon circola per casa come un topo dentro la sua gabbietta, sempre lo stesso percorso, sempre gli stessi gesti, lo specchio di tutti noi.

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15 Gennaio 2012 in Shame

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Il protagonista non sa amare senza avere paura. Ma anche quando non ama e deve semplicemente relazionarsi con una donna ha paura. E perfino quando deve relazionarsi con sé stesso ha una paura del diavolo.
Insomma, il protagonista è un pauroso.
Nel film, non viene spiegato da dove arrivi il suo profondo disagio, ma, visto anche quanto è complicata sua sorella e quante difficoltà sociali abbia anche lei, sono portata a credere che la loro famiglia e l’ambiente in cui sono cresciuti e con cui sembrano avere alcun legame siano stati negativamente determinanti (Non è detto che, se veniamo da un brutto posto, siamo cattive persone, Brandon, sussurra Sissy). A voler pensare “male”, sobillata da alcuni particolari, credo che fra i due sia intercorso un rapporto incestuoso e sono portata a credere che alcuni loro comportamenti, da ciò condizionati, non siano affatto casuali.
Trovare una causa a ciò che fanno non è fondamentale, me ne rendo conto, ma ho provato un grosso tormento nel trovarmi faccia a faccia (si fa per dire) con emotività così compromesse e con angosce così profonde da essere, per i protagonisti, praticamente inevitabili.

Del film, sono state “pubblicizzate” molto le scene di nudo e di sesso di Fassbender. In realtà, a colpire a più riprese lo spettatore non sono i centimetri quadrati di pelle nuda, ma la disperazione del protagonista, sufficientemente consapevole dei suoi problemi, ma incapace di farvi fronte: Brandon è solo per scelta, ma -di fondo- non vorrebbe esserlo, é consapevole di avere abitudini sessuali anomale e che ciò che cerca non è il piacere, ma -paradossalmente- una punizione alla sua aberrazione.
Cerca la rissa, la provocazione, l’abiezione personale in più modi. E, alla fine della fiera, è ancora più disperato di prima.

Insomma, il vero scandalo del film, secondo me, non risiede nelle scelte di Brandon, ma nella violenza che egli fa a sé stesso e alla sua bellezza, alla sua intelligenza e alla sua sensibilità.
In questo senso, per quanto mi riguarda, l’ultima mezz’ora di visione è stata particolarmente coinvolgente: ha provocato in me il cosiddetto Effetto Dogville. Nel mio caso, dicesi Effetto Dogville quel particolare contorcimento di viscere che comporta la chiusura della bocca dello stomaco, con scrollìo del capo accluso.

Fassbender è impressionante, ha occhi davvero disperati. La Mulligan è incasinata quanto basta e ha un’aria fragilissima.
Alcune sequenze appaiono interminabili (di New York New York non si vede mai la fine…), ma ammetto che sono funzionali a sviscerare alcuni aspetti psicologici dei personaggi, perciò bravo McQueen: pochi compromessi, la vicenda va narrata per quella che é.

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