Le donne di Fellini. Sogni e tentazioni femminili nei film di Federico Fellini
Federico Fellini, un maestro del cinema italiano e internazionale
Vincitore di 5 premi Oscar e svariati riconoscimenti nazionali e internazionali, Federico Fellini (Rimini, 1920 – Roma, 1993) è considerato uno dei migliori registi della storia del cinema, tra i più influenti, citati e stimati di sempre.
Su NientePopcorn.it, ricordiamo l’importante regista italiano con aneddoti e curiosità legati a un aspetto fondamentale della vita e della filmografia di Fellini: le donne.
Indice dei contenuti dell'articolo
- 1 Federico Fellini, un maestro del cinema italiano e internazionale
- 2 Il ruolo delle donne nella filmografia di Fellini: un harem da sogno
- 3 Le donne di Fellini: sogni, non semplici fantasie
- 4 L’Amarcord di Fellini: infanzia, ricordo, bugie
- 5 Ida, la mamma austera e protettiva di Federico Fellini
- 6 Giulietta Masina, moglie e respiro di Federico Fellini
- 7 Lina Wertmüller, per fare festa con Federico Fellini
- 8 Anita Ekberg, la musa fosforescente
- 9 Sandra Milo, deliziosa tentatrice
- 10 Fellini, l’uomo che amava le donne
- 11 Note bibliografiche
Il ruolo delle donne nella filmografia di Fellini: un harem da sogno
Le donne di Fellini: sogni, non semplici fantasie
Fellini non smetteva mai di pensare alle donne.
Le disegnava nei suoi famosi blocchetti e le idealizzava, progettando i suoi film.
Amava essere corteggiato dalle donne e non disdegnava di riempirle di attenzioni.
Le donne di Fellini non sono un semplice parto della sua fantasia. Nascono da una calibrata miscela di immaginazione e realtà. Sono, letteralmente, sogni.
L’Amarcord di Fellini: infanzia, ricordo, bugie
Le figure genitoriali, il ricordo e la fanciullezza sono tematiche ricorrenti nei migliori film di Fellini.
Alcuni episodi della quotidianità, legati alla vita famigliare riminese, e le raffigurazioni più o meno veritiere dei personaggi della sua infanzia sono un elemento fondamentale del film AMARCORD (1970). In dialetto romagnolo, il significato di Amarcord è Mi ricordo.
Ma, come nella migliore tradizione felliniana, il film galleggia in un limbo, tra memoria e finzione.
La ricostruzione dei fatti, alterata secondo i sogni e le fantasie di Fellini, è un’abitudine che il regista adotta in quasi tutte le sue opere e interviste.
Il titolo del documentario FELLINI: SONO UN GRAN BUGIARDO di Damian Pettigrew (2002) si fa beffe proprio di questa sua peculiare caratteristica.
“Io mi sono inventato tutto: un’infanzia, una personalità, nostalgie, sogni, ricordi, solo per il piacere di poterli raccontare”.
Ida, la mamma austera e protettiva di Federico Fellini
La vita di Fellini è segnata fin dal principio da colorite dissimulazioni.
Il trafiletto di un giornale pubblicato all’epoca della sua nascita recita: “Federico è nato in una vettura ferroviaria di prima classe mentre il treno correva tra Viserba e Riccione, precisamente a Rimini”. [1] Peccato che quel giorno, il 20 gennaio del 1920, fosse in atto uno sciopero dei ferrovieri.
Ida Barbiani (1896-1984), coniuge di Urbano Fellini, dà alla luce il piccolo Federichino nella località balneare di Rimini, in un appartamento di Viale Dardanelli, durante una notte eccezionalmente tempestosa.
La madre di Fellini è descritta come una donna affascinante, ma introversa, chiusa e dai costumi rigorosi. È lei che ha in mano il controllo della disciplina e l’educazione di Federico e di suo fratello minore, Riccardo.
Quando i bambini sono piccoli, Ida si assicura che, ogni sera, dicano le preghiere prima di coricarsi. Una volta cresciuti, gli impone il coprifuoco alle sette e mezza della sera.
Nei confronti dei figli, Federico ha sempre ravvisato in lei un sentimento, persistente e contrastante, di austerità e protezione. L’uscita nei cinema del film LA DOLCE VITA (1960) suscitò non poche critiche da parte degli esponenti più conservatori della Chiesa dell’epoca.
Ida era una donna estremamente credente. A causa del film del figlio, fu redarguita da un arcivescovo e decise di non andare al cinema a vedere LA DOLCE VITA. Federico, in cerca di una benedizione per la pellicola, andò addirittura a chiedere un chiarimento con l’arcivescovo, per riuscire a tranquillizzare la madre.
Giulietta Masina, moglie e respiro di Federico Fellini
“Thank you, dear Giulietta. And, please, stop crying!” [2].
Con queste parole, nel 1993, Fellini riceve l’Oscar onorario alla carriera. La sua dedica è a Giulietta Masina (1921-1994), ex attrice emiliana di varietà, diventata poi moglie e ispiratrice del regista.
Le lacrime della minuta Giulietta, visibilmente emozionata in platea, sono specchio di un legame durato 50 anni.
Il primo incontro tra i due avviene nel 1942, in un ufficio, senza troppo clamore.
Dopo un invito a pranzo e un corteggiamento di nove mesi, la coppia convola a nozze. Per tutta la vita, più o meno inconsciamente, continueranno a sentirsi figlio e figlia l’uno dell’altra [3].
La totalizzante qualità di trasformista di Giulietta fa sì che Federico possa scrivere e cucirle addosso alcuni dei personaggi femminili più memorabili della sua filmografia.
Dopo una serie di ruoli minori, è nel film LA STRADA (1954) che Giulietta, commossa dalla tragicità della sceneggiatura, trova la sua dimensione artistica perfetta.
La protagonista Gelsomina (Masina) è una povera ragazza di provincia vestita di stracci. Viene venduta per pochi soldi allo zingaro Zampanò (Anthony Quinn) che la porta in peregrinazione tra circhi e fiere, come sua assistente.
Gelsomina è una creatura purissima, quasi primordiale, con un’aria bizzarra e battagliera, sempre genuina e sincera.
L’amore di Giulietta per il personaggio la porta a imbruttirsi, a colorarsi i capelli di paglierino e a vestirsi con una mantellina così stretta da lasciarle lividi sul collo per mesi.
LE NOTTI DI CABIRIA (1957), forse la pellicola più amara e straziante di Fellini, vede una Masina nei panni di una donna grezza e ignorante, decisamente sopra le righe.
Cabiria è una prostituta per disperazione, ingenua e credulona, che cerca di migliorare la sua condizione sociale. Ma finisce per farsi abbindolare con facilità.
In realtà, il personaggio, già abbastanza delineato, aveva fatto la sua comparsa nel primo film diretto in solitaria da Fellini, LO SCEICCO BIANCO (1952).
In qualche modo, il film GINGER E FRED (1985) è il ritratto stesso di Federico e Giulietta.
Nel film, Amelia (Masina) e Pippo (Mastroianni, ancora una volta alter ego di Fellini) sono due vecchi artisti di varietà che si esibiscono per l’ultima volta in uno spettacolo televisivo che pare una lunga celebrazione delle loro vite.
In tutti i ruoli interpretati da Giulietta per Federico, possiamo ritrovare un leitmotiv: la bontà, l’autenticità, l’innocenza, l’aria bambinesca. Sono caratteristiche che, evidentemente, Federico riscontrava naturalmente nella moglie e che con molta tenerezza e coinvolgimento trasportava nelle sue sceneggiature.
In forma poetica, sul loro rapporto si è espresso padre Arpa, il religioso vicino a Fellini: “Giulietta non era solo il suo appoggio, era il suo respiro”. [4]
Lina Wertmüller, per fare festa con Federico Fellini
Prima di diventare una delle autrici cinematografiche italiane più acclamate al mondo con il film PASQUALINO SETTEBELLEZZE (1975), Lina Wertmüller è stata amica leale e aiuto regista di Fellini sul set di 8½.
“Stare con Federico era una festa per me. Io diventai subito la sua complice segreta pronta a tutto e lui mi faceva partecipe di tante sue avventure” [5].
Fu lei che lo accompagnò alla première londinese di LA DOLCE VITA. Convinti che Federico sarebbe arrivato in compagnia di Masina, i produttori del film avevano predisposto una sfarzosa accoglienza ed enormi mazzi di fiori per la signora Fellini. “Siccome non sapevano bene come calcolarmi, per non sbagliare, mi riempirono di tutti quei fiori destinati a Giulietta” [6].
In più occasioni, la Wertmüller è intervenuta anche nel cuore della notte per salvare Fellini da pretendenti che lo importunavano nelle stanze d’albergo, liberando il regista da situazioni imbarazzanti.
Lina prese parte alla brigosa selezione del cast di 8½, tallonando in giro per Roma comparse dall’aspetto stravagante, tra cui cardinali e donne molto formose, le famose tettone felliniane che avrebbero trovato una delle massime espressioni nella elefantesca tabaccaia di AMARCORD interpretata da Maria Antonietta Beluzzi (1930-1997).
La Wertmüller, però, si descrive come una scadente aiuto regista.
Spesso, infatti, si rifugiava dietro il set o sulle balconate degli elettricisti con una piccola macchina da presa e si divertiva a filmare di nascosto le scene che gli attori stavano provando. Ciò avveniva spesso senza successo. Lo stesso Fellini ordinava alla troupe di voltarsi verso la camera della Wertmüller, facendo manichetto, ovvero “il gesto dell’ombrello”. Pare che non sia rimasta traccia di queste registrazioni. Eppure, sarebbe magnifico poter visionare questi spezzoni di buonumore.
Anita Ekberg, la musa fosforescente
La predilezione di Fellini per l’attrice Anita Ekberg (1931-2015) non fu immediata.
“La prima volta la vidi in una fotografia a piena pagina in una rivista americana; la potente panterona faceva la bimbetta sulla ringhiera di una scala. «Dio mio, non fatemela mai incontrare!» ho pensato” [7].
Invece, questa donna appariscente, dai capelli biondo platino, gli occhi bistrati, sessualmente aggressiva, archetipo delle femmine provocanti del cinema felliniano, sarebbe diventata la musa di Fellini, un’incarnazione mitologica, leggendaria e sovrannaturale della femminilità.
Non è un caso che ne Le tentazioni del Dottor Antonio, un episodio diretto da Fellini all’interno del film corale BOCCACCIO ’70 (1962), Federico la rappresenti come una donna giunonica, altissima, dai tratti mostruosi, quasi alieni, che passeggia per l’Eur di Roma tentando il Dottor Mazzuolo (Peppino De Filippo) dopo essere uscita da un cartellone pubblicitario.
Fellini l’aveva soprannominata Anitona per le sue proporzioni statuarie.
Nata in Svezia e sbocciata professionalmente negli USA, la Ekberg sbarca a Cinecittà per recitare in alcuni film italiani anni ’50.
Fellini rimane scosso dalla sua presenza fatale e stordente: “Mi sembrava di scoprire le idee platoniche delle cose e degli elementi. Sostengo che, oltretutto, Anita è anche fosforescente” [8].
Questa divinizzazione si esplica completamente nel film LA DOLCE VITA, nella famosa scena della Fontana di Trevi. Marcello Rubini (Mastroianni) osserva da vicino i lineamenti scolpiti e perfetti di Sylvia (Ekberg), ma non ha il coraggio di toccarla, timoroso di rompere l’incantesimo della sua bellezza.
INTERVISTA (1987), uno degli ultimi film di Fellini, contiene una tenerissima scena che riconcilia la coppia Ekberg-Mastroianni.
Marcello compie una stregoneria che permette di rivivere il passato. Improvvisamente, gli attori, segnati dal trascorrere del tempo, si ritrovano ad ammirare se stessi nella scena della fontana girata quasi 30 anni prima. Si osservano, sorridono e si commuovono, forse consapevoli di aver fatto parte di un momento storico e culturale leggendario.
Per Ekberg, il personaggio interpretato ne LA DOLCE VITA è stato una prigione. In più occasioni, ha cercato di liberarsi di questo fardello, affermando che non fu Fellini ad averla creata, bensì sua madre.
Sandra Milo, deliziosa tentatrice
Se Anita Ekberg incarna un amore ideale e divino, Sandra Milo è stata la più carnosa delle tentazioni di Fellini.
Tra le donne felliniane, Milo è stata un capolavoro di delizia ed eros, come il personaggio di Carla interpretato in 8½.
Carla è l’amante di Guido (Mastroianni), un regista in profonda crisi professionale e personale.
Secondo alcune indiscrezioni, tra Sandra Milo e Federico Fellini si è consumata una storia d’amore clandestina durata 17 anni [9]. Probabilmente, si tratta di un’esagerazione, ma Federico ha dichiarato di essere rimasto ammaliato dall’insaziabile curiosità di Sandra e del suo spirito bambinesco. Non a caso, la soprannominò affettuosamente bamboccia.
Inevitabilmente, questa vicinanza tra i due fu causa di gelosia da parte di Masina.
Pare che Fellini scrisse intenzionalmente GIULIETTA DEGLI SPIRITI (1965) per tenere a bada il tormento della moglie e renderla di nuovo protagonista di un suo film. Anche Milo, affettuosamente apostrofata Sandrocchia, assidua frequentatrice di casa Fellini, entrò nel cast del film.
Alla fine delle riprese, però, venne marcata come ospite indesiderato da Giulietta in persona.
Dopo un periodo di distacco, Fellini ricontattò Sandra Milo per AMARCORD.
Il personaggio che aveva creato per lei era la Gradisca, una seduttrice fatale dipinta di rosso fuoco. Fellini tempestò Milo di telefonate, mazzi di rose e affettuosi biglietti, pur di averla nel cast. A malincuore, l’attrice dovette rifiutare a causa dell’estrema gelosia del marito, Ottavio De Lollis, e il ruolo venne affidato all’attrice Magali Nöel (1931-2015), che aveva già lavorato con Fellini ne LA DOLCE VITA.
Fellini, l’uomo che amava le donne
Note bibliografiche
[1] Tullio Kezich, Federico: Fellini, la vita e i film, ed. Feltrinelli, 2002, pag. 13
[2] https://www.youtube.com/watch?v=1Xs5kbd6gtE
[3] Kezich, cit. pag. 55
[4] Kezich, cit. pag. 164
[5] Lina Wertmüller, Tutto a posto e niente in ordine, ed. Mondadori, 2012, pagg. 70-72
[6] Wertmüller, cit. pag. 70
[7] Federico Fellini, Sul cinema, ed. Il Saggiatore, 2019, pag. 108
[8] Fellini, cit. pag. 108-109
[9] https://www.youtube.com/watch?v=tDFQ6Yi6IMA
[10] Wertmüller, cit. pag. 73
A cura di Percy Thrills
Per chi ama il cinema di Fellini, c’è un nuovo approfondimento in città! 😉
Ho rivisto ieri sera, per l’ennesima volta, Le Notti Di Cabiria. Abbiamo detto come le donne felliniane siano molto spesso le donne dei sogni, della tentazione, della carnalità. Incredibile come, a mio avviso, il suo personaggio femminile più riuscito manifesti invece i valori opposti. Cabiria è così fragile, umana e innocente, ci si entra subito in empatia. Come si fa a non commuoversi davanti allo sguardo in macchina di Giulietta con il mascara colante? Una delle scene più potenti del cinema, che rimarrà impressa per sempre nella mia memoria. E mi auguro nella memoria di tanti altri. Federico, GRAZIE.
@percy-thrills: il paradosso più grande che, secondo me, riguarda le donne felliniane sta proprio nel fatto che alcune delle immagini femminili più potenti create da Fellini siano incarnate proprio dalla Masina, che è tutto fuorché lo stereotipo della donna felliniana più conosciuta, quella grande, grossa, popputa, alta e dominatrice. Eppure, anche i bellissimi personaggi della Masina sono un tassello fondamentale del quadro femminino secondo Fellini.