Cinema e Architettura

La sovrapposizione tra cinema e architettura è continua e può avvenire su più livelli. Essa è intrinseca quando il primo si caratterizza come percorrenza di spazi; è simbolica quando assume riferimenti noti per incarnare i luoghi; è scenografica quando si fa rappresentazione sullo sfondo di una quinta; è diegetica quando un edificio o una città assumono la stessa importanza di un personaggio di rilevo. Detta sovrapposizione, inoltre, può avvenire su più ordini di grandezza, dalla scala del dettaglio, dell’edificio, della città, fino a quella del territorio.

In questa pagina, ci si limiterà a stendere un elenco assolutamente parziale di film in cui compaiono consapevolmente edifici reali di rilievo, classificati in base al periodo di costruzione, al luogo ed all’autore. Non saranno presi in considerazione quei titoli in cui l’architettura o i brani urbani, pur avendo un’importanza sostanziale, non sono riconducibili all’opera di progettisti noti, derogando da questa scelta solo per il primo e seguente paragrafo.

Le architetture storiche e futuristiche.

Di edifici storici e di monumenti è pieno il cinema di tutte le epoche e di tutte le aree geografiche. Però, è assai raro individuare opere che non vengono assunte come semplice elemento passivo dell’ambientazione.

Ne L’ultimo Imperatore (1987), per esempio, Bernardo Bertolucci segue, assieme a quelle del protagonista, le sorti della Città proibita, la cittadella fortificata edificata a Pechino, sotto la dinastia Ming, tra il 1406 e il 1420,  e destinata a residenza imperiale in maniera ininterrotta fino al 1912. Il complesso monumentale, basato sull’assialità e sul simbolismo, consta di novecentottanta edifici ed è uno dei massimi esempi di architettura classica cinese. Nel 2006, Zhang Yimou vi ha realizzato il film storico intitolato, per l’appunto, La città proibita.

Il patrimonio storico italiano è fonte di suggestioni per i registi di tutto il mondo. Nel thriller psicologico Complesso di colpa (1976) di Brian De Palma, la protagonista femminile è impegnata nel restauro di un affresco della basilica romanica di San Miniato al Monte a Firenze, di cui ammiriamo anche la facciata classicheggiante a tarsie geometriche e la lunga scalinata di accesso. Attratto dalla scala umana dei borghi medioevali toscani e sabini, Andrej Tarkovskij, in Nostalghia (1983), fa occupare al suo personaggio principale una camera nei pressi di un nebbioso e metafisico Bagno Vignoni, con la vasca rettangolare di origine cinquecentesca contenente acqua termale calda. Il fotomontaggio del finale riprende l’interno della spettrale abbazia gotica di San Galgano, priva di pavimento e di copertura, crollata nel Settecento e mai più ricostruita, avendo il restauro del 1926 preferito le teorie conservative a quelle integrative. Ritroviamo la stessa costruzione ne Il paziente inglese (1996) di Anthony Minghella.

Il classicismo italiano diventa protagonista ne Il ventre dell’architetto (1987) di Peter Greenaway, che narra le vicende di un architetto americano incaricato di allestire a Roma una mostra su Etienne-Louis Boulleè, architetto francese neoclassico del Settecento, ricordato per i suoi progetti monumentali dalle forme geometriche primarie. Sono due i complessi indagati, entrambi classici ma di impostazione opposta: lo spazio contemplativo, duttile e paesisticamente articolato di Villa Adriana a Tivoli del II sec d.C., privo di assialità dominanti e ricco di influenze greche ed orientali, e lo spazio neoclassico celebrativo, sovradimensionato e retorico del Monumento a Vittorio Emanuele II in piazza Venezia, disegnato da Giuseppe Sacconi nel 1882 ed inaugurato nel 1911.

Tra gli esempi più pregnanti di interazione tra cinema e architettura, non si può fare a meno di includere gli scenari urbani immaginari dei film di fantascienza. Pur non trattandosi di edifici reali, la scenografia ideata da Erich Kettelhut per Metropolis (1927) di Fritz Lang anticipa il gigantismo caotico e multiforme della metropoli contemporanea. Vi possiamo ritrovare le principali istanze delle ricerche europee di quegli anni, dagli aneliti dinamici del Futurismo, alle trasparenze vitree dell’Espressionismo, dal riduzionismo funzionale del Bauhaus al decorativismo geometrico e storicistico dell’Art Déco.

FRANK LLOYD WRIGHT (1867-1959)

Il cinema di fantascienza prende a piene mani anche dalle intuizioni e realizzazioni del maggior architetto americanoL’uomo che fuggì dal futuro (1971) di George Lucas è girato quasi totalmente negli spazi sotterranei del Marin County Civic Center (1957) in California, un grosso complesso di uffici amministrativi e giudiziari della Marina statunitense, completato dopo la morte di Wright e concepito come una nave allungata adagiata tra le colline. Lo stesso diventa la sede dell’ente aerospaziale per le missioni interplanetarie in Gattaca – La porta dell’universo (1997) di Andrew Niccol, che utilizza anche gli esterni degli edifici universitari del CLA Building (1993) di Antoine Predock.

La Ennis-Brown House (1924) sulle colline di Hollywood è l’edificio più depredato dal cinema americano, fin dal lontano Female (1933) di Michael Curtiz, diventando una delle costruzioni più celebri della storia della Settima Arte, fungendo da sfondo sia per film fantasy (Le avventure di Rocketeer, 1991, di Joe Johnston) che per pellicole realistiche (Grand Canyon – Il cuore della città, 1991, di Lawrence Kasdan). Riconoscibile sia all’interno che all’esterno per via dei suoi blocchi strutturali in cemento che ripetono lo stesso motivo decorativo, si richiama all’architettura Maya per la rastremazione dei volumi. Il suo aspetto misterioso e atemporale la rende una scelta ricorrente nel genere horror: la troviamo in The Black Cat (1934) di Edgar G. Ulmer, che vede per la prima volta insieme Boris Karloff e Bela Lugosi, come pure ne La casa dei fantasmi (1958) di William Castle, interpretato da Vincent Price.

Quando, a partire dal 1980, il suo ottavo proprietario decide di istituirvi una fondazione, aprirla al pubblico e affittarla per il cinema, proliferano le riprese anche all’interno della casa. In Blade Runner (1982), Ridley Scott ne sfrutta il valore figurativo, trasfigurandola in un grattacielo di una Los Angeles futura e decadente e collocando al suo interno l’abitazione del cacciatore di replicanti interpretato da Harrison Ford. Il luogo dove si nascondono gli androidi è invece il Bradbury Building di George H. Wyman (1893), con il suo atrio a tutta altezza attraversato da passerelle sospese ad esili montanti in ferro contenenti anche i collegamenti verticali. Dopo pochi anni, in Black Rain (1989), lo stesso regista ripropone la Ennis House ad Osaka facendola diventare la villa di un boss della Yakuza.

Altre residenze di Wright sono protagoniste del cinema hollywoodiano. Su una spiaggia californiana è situata la Clinton Walker House (1948) con una sala esagonale vetrata e un alto basamento in pietra che prorompono verso l’oceano. La casa costituisce l’ambientazione prevalente della seconda parte del dramma sentimentale Scandalo al sole (1959) di Delmer Daves. L’ambizioso complesso in legno e pietra della Oboler House, nota anche come Eaglefeather, realizzata solo parzialmente sulle colline di Malibu tra il 1940 e il 1955, fu commissionata dal regista Arch Oboler e viene utilizzata come set per il suo film post-apocalittico Anni perduti (1951). Ritorna nel giallo Twilight (1998) di Robert Benton, dove hanno un ruolo più centrale anche altre due residenze di Los Angeles: quella progettata a Santa Monica (1930), per sé e la moglie Dolores Del Rio, dal pluripremiato scenografo  Cedric Gibbons (suo il disegno per la statuetta degli Oscar) con l’aiuto dell’architetto Douglas Honnold, in uno stile che accosta Razionalismo e Déco, e la panoramica Jacobsen House del più dotato allievo di Wright, John Lautner, che ritroveremo più avanti.

Lo spazio avvolgente della spirale del Guggenheim Museum (1959) è pensato per risucchiare il passante newyorkese in un vortice fatto di opere d’arte, restituendogli una pienezza individuale che nella verticalità smisurata di Manhattan facilmente perde. Vi si svolge un ricevimento di lusso, sia nel thriller romantico Chi protegge il testimone (1987) ancora di Ridley Scott, sia nelle sequenze iniziali di She, Devil – Lei, il diavolo (1989) di Susan Seidelman.

Alfred Hitchcock, regista particolarmente attento agli spazi costruiti, porta dentro lo stesso film le due alternative del dibattito architettonico di quegli anni. Per Intrigo internazionale (1959), Hitchcock fa realizzare dai suoi collaboratori una residenza inequivocabilmente ispirata agli stilemi wrightiani e ai principi dell’architettura organica. Ritroviamo alcuni elementi tipicamente wrightiani (lo sbalzo vertiginoso, l’ubicazione su un pendio, i sostegni a triangolo, la tipologia delle superfici vetrate, l’alternanza di lastre orizzontali protese nel paesaggio e setti verticali in pietra) nell’edificio che identifica la residenza di James Mason. Altrettanto importante nel contesto narrativo del film è il Segretariato generale dell’O.N.U. terminato a New York nel 1950 su progetto di un team capeggiato da Le Corbusier, basato sulla combinazione di corpi bassi e di una imponente lastra verticale di uffici con le cortine specchianti perimetrate da una cornice in pietra. Può considerarsi l’apoteosi dell’International Style, quello stile derivato dall’importazione e dalla semplificazione del razionalismo europeo. Lo stesso complesso torna in un altro film di spionaggio The Interpreter (2005) di Sydney Pollack che, a differenza di Hitchcock che aveva dovuto ricostruirne gli interni, riesce ad ottenere i permessi per accedervi ed effettuare le riprese.

La fonte meravigliosa (1949) di King Vidor si basa sul best seller che Ayn Rand scrive dopo aver intrattenuto una lunga corrispondenza con Wright. Il personaggio da lui ispirato, l’architetto Howard Roark, interpretato da Gary Cooper, incarna ed esaspera quell’individualismo solitario ed eroico tipico del genio creativo proiettato nel futuro. Inizialmente, per dare forma alle creazioni di Roark, era stato contattato proprio l’architetto della celebre Casa sulla cascata (1939), ma -a causa dell’alto compenso richiesto- la produzione ripiegò sul giovane Edward Carrere, il quale disegnò edifici sia di gusto wrightiano che in quello dello stile internazionale, purtroppo lontanissimi dalla forza espressiva dei maestri. Chiudiamo la trattazione dedicata a Wright ricordando che nella sua scuola di architettura di Taliesin studiò tra gli altri anche Nicolas Ray, futuro regista di Johnny Guitar (1954) e Gioventù Bruciata (1955).

Le altre residenze di lusso californiane.

L’attenzione al modernismo da parte di Hollywood va considerata un’eccezione. Generalmente, l’industria delle major trova legittimazione nello sfarzo delle scenografie storicistiche ed i suoi divi preferiscono abitare in ville tradizionali. Eppure, a partire dagli anni Trenta, Los Angeles diventa un laboratorio per l’architettura contemporanea, soprattutto per quanto riguarda le tipologie abitative, attraverso quattro principali linee di ricerca: la reinterpretazione del razionalismo dopo la lezione wrightiana da parte di Rudolph Schindler e Richard Neutra; la semplificazione dei processi costruttivi delle Case Study Houses (Neutra, Koenig, Saarinen, Eames, etc.); la corrente organica con John Lautner; gli esperimenti decostruttivisti di Frank Gehry.

Come Lautner negli anni ’40, anche l’architetto canadese Frank Gehry, negli anni ’60, stabilisce il proprio studio a Los Angeles. La sua articolata Schnabel House (1989) compare ne Il prezzo di Hollywood (1994) di George Huang, mentre il suo edificio più celebre, il Guggenheim Museum di Bilbao (1997) fa da sfondo alle sequenze iniziali del film su James Bond Il mondo non basta (1999) di Michael Apted. La berlinese DZ Bank (2001) diventa la sede dell’agenzia pubblicitaria dove hanno origine gli intrighi delle competitive protagoniste di Passion (2012) di Brian De Palma.

A partire dagli anni ’80, quando il suo nome ha cominciato ad assumere risonanza internazionale, Gehry è diventato un architetto di riferimento per un gruppo di celebrità del mondo della celluloide. Portano la sua firma una parte del complesso residenziale appartenuto a Dennis Hopper, a Venice, in Florida, un loft di proprietà di Robert Downey Jr., sempre a Venice, ed una casa realizzata a New Orleans per la Make It Right Foundation di Brad Pitt. L’amico e regista Sydney Pollack, inoltre, ha girato un documentario sulle sue opere, intitolato Frank Gehry, creatore di sogni (2005).

La Lovell Health House di Richard Neutra (1929) è la prima abitazione americana con struttura in acciaio: appoggiandosi ad un ripido pendio, si sviluppa su tre piani, alternando fasce di intonaco bianco a parti vetrate, con un ingresso posto nella parte superiore. La si può ammirare dettagliatamente in L.A. Confidential (1997) di Curtis Hanson ed in Beginners (2010) di Mike Mills.

La Stahl House di Pierre Koenig (1960), forse la più celebre tra le Case Study Houses (CSH), prototipi della casa moderna assemblata con materiali industriali, risulta immortalata non solo nelle seducenti fotografie d’epoca di Julius Shulman, ma anche in tre pellicole degli anni ’90: l’horror Pentagram – Pentacolo, (1990) di Robert Resnikoff, la commedia Bella, bionda… e dice sempre sì (1991) di Jerry Rees, ed il drammatico Un ragazzo di talento (1998) di Gregory Nava.

La sensualità e l’iconicità delle residenze di John Lautner fanno di esse delle protagoniste versatili e trasversali ai generi cinematografici. La Jacobsen House (1947) è il luogo della scena risolutiva del già citato giallo Twilight ; il soggiorno circolare della Elrod House (1968) riserva un’insidia per James Bond nel settimo capitolo della saga, Agente 007 – Una cascata di diamanti (1971) di Guy Hamilton; la Garcia House (1962), o meglio la ”controfigura” che la riproduce accuratamente, interpreta alla perfezione un action movie come Arma letale 2 (1989) di Richard Donner, quando viene disarcionata dai suoi ancoraggi, precipitando dall’altura su cui è collocata; la Reiner House, conosciuta anche come Silvertop (1967), compare nel film drammatico, tratto da Bret Easton Ellis, Al di là di tutti i limiti (1987) di Marek Kanievska. Nello stesso genere, si cimenta la Schaffer Residence (1949), abitazione del protagonista di A Single Man (2009) di Tom Ford; il soggiorno-bar della Sheats-Goldstein House (1963, ristrutturata nel 1989) fa un’apparizione finale nella commedia Il Grande Lebowski (1998) dei Fratelli Coen.

Il ruolo più incisivo e narrativamente rilevante è svolto però dalla singolare Malin House, più nota come Chemosphere (1960), un disco ottagonale poggiato su un unico sostegno centrale, che rafforza il contenuto voyeuristico del thriller hitchcockiano Omicidio a luci rosse (1984) di Brian De Palma.

Abitazioni disegnate da Lautner sono appartenute a Vincent Gallo e a Bob Hope, per il quale l’architetto ideò nel 1973 il più grande complesso residenziale da lui progettato.

L’architettura moderna nel resto del mondo.

Un contributo al rinnovamento del linguaggio architettonico è dato sul finire dell’Ottocento dall’intervento degli ingegneri e dall’applicazione del ferro e del vetro nell’ambito di tipologie edilizie dichiaratamente funzionali.

Occorrerebbe un capitolo a parte per elencare stazioni, capannoni industriali, mercati coperti o ponti di quel periodo che sono stati usati nel cinema. Vogliamo ricordare per tutti lo spazio kafkiano de Il processo (1962) di Orson Welles, ricreato nella stazione parigina della Gare d’Orsay, all’epoca del film destinata alla demolizione, ma successivamente restaurata e riconvertita da Gae Aulenti nel noto museo dedicato all’Impressionismo.

Gli esponenti di spicco dell’avanguardia cinematografica degli anni ’60 mostrano un interesse maniacale per l’architettura moderna. Jean-Luc Godard riprende Villa Malaparte (1942) di Adalberto Libera, a Capri, ne Il disprezzo (1963) con un uso costante di campi lunghi e medi per inquadrarla nel suo contesto paesaggistico, anche quando Brigitte Bardot è distesa sul suo panoramico terrazzo-solarium. L’edificio torna, interpretando sé stesso, ne La pelle (1981) di Liliana Cavani.

Casa Curutchet a La Plata in Argentina, progettata nel 1949 da Le Corbusier, costituisce il set esclusivo di El hombre de al lado (2009) di Mariano Cohn e Gastón Duprat, che la pongono al centro di una commedia drammatica imperniata sulla differenza di stili di vita e sul conseguente conflitto tra due vicini, potendone disvelare così le principali caratteristiche spaziali e morfologiche.

Parte del film d’avventura L’uomo di Rio (1964) di Philippe de Broca è realizzato a Brasilia, la città di nuova fondazione frutto del piano urbanistico modernista di Lucio Costa, già collaboratore di Le Corbusier, divenuta nuova capitale del Brasile già nel 1960, ma all’epoca delle riprese ancora in via di ultimazione e quasi disabitata. I suoi edifici pubblici più rappresentativi sono opera di Oscar Niemeyer.

Alain Resnais imposta lo svolgimento di Hiroshima mon amour (1959) attorno alla piazza ed al museo commemorativi della tragedia della città giapponese, progettati nel 1949 su modelli lecorbusieriani dal giapponese Kenzo Tange. L’arco a sella, tra i simboli più noti e significativi collocati all’interno del complesso, viene immortalato anche da Hayao Miyazaki in una puntata della serie animata Conan il ragazzo del futuro (1978).

Più sfuggente e meno riconoscibile è l’architettura moderna italiana rappresentata nelle pellicole di Michelangelo Antonioni. I titoli di apertura de La Notte (1961) si dipanano lungo la facciata a specchio del grattacielo Pirelli di Milano progettato da Giò Ponti e Pierluigi Nervi (1958), analogamente a quelli di Intrigo Internazionale (1959) di Alfred Hitchcock che, grazie alla sapiente ed innovativa grafica ideata da Saul Bass, si muovevano sulla cortina vetrata di una torre newyorkese.

In Professione: reporter (1974) compaiono, in realistica veste turistica, l’austero Palau Güell e la scultorea Casa Milà, personali declinazioni dell’Art Nouveau realizzate a Barcellona a cavallo tra Ottocento e Novecento da Antoni Gaudí di cui vediamo velocemente anche altre realizzazioni in Vicky Cristina Barcelona (2008) di Woody Allen.

Di impostazione tradizionale, ma con echi futuristi, è il Blocco Abitativo di Viale XXI Aprile, a Roma, progettato da Mario De Renzi completato nel 1937: l’edificio è al centro delle vicende raccontate in Una giornata particolare (1977) di Ettore Scola, dove il complesso edilizio viene introdotto ed indagato da un elaborato piano-sequenza esterno-interno. Lo ritroviamo, poi, in Romanzo di un giovane povero (1995), sempre di Scola.

L’architettura organica italiana trova una degna rappresentanza nel thriller Non si sevizia un paperino (1972) di Lucio Fulci, con la villa bifamiliare sull’Aurelia a Roma progettata nel 1964 da Luigi Pellegrin, utilizzata come abitazione del personaggio interpretato da Barbara Bouchet, in forte contrasto con l’architettura spontanea della provincia di Matera che fa da scenario ai principali avvenimenti del film.

Attratto dai vuoti urbani, dai luoghi abbandonati, di difficile antropizzazione o di passaggio, convinto che i luoghi sono più importanti degli attori per raccontare una storia, Wim Wenders ha saputo fare cultura urbana, attraverso il cinema, come pochi altri. Il cielo sopra Berlino (1987), per esempio, nasce dal desiderio di raccontare una delle città più ricche di memoria e di fissarne le ferite belliche e postbelliche, prima della trasformazione accelerata dall’unificazione politica. Diventa una testimonianza preziosa sulla configurazione che possedeva la Potsdamer Platz attraversata dal Muro, prima di diventare l’area edificabile più estesa d’Europa con i progetti degli anni Novanta. Il luogo dove dimorano gli angeli del film è lo spazio arioso e fluido della Biblioteca di Stato (Staatsbibliothek) realizzata tra il 1967 e il 1978 su progetto dall’architetto neo-espressionista Hans Scharoun, autore anche della vicina Philharmonie.

Parigi, invece, è per Leos Carax solo uno sfondo in cui inserire le polimorfiche avventure del protagonista di Holy Motors (2012). Nella prima di esse possiamo rinvenire l’esterno di Villa Poiret, realizzata nel 1925 su progetto razionalista di Robert Mallet-Stevens e modificata nel 1932 da Paul Boyer nello stile tardo Déco ispirato alle forme dei piroscafi, denominato Paquebot, come si può vedere negli oblò e nella prua tondeggiante del basamento-terrazzo.

Con il fascino della sua architettura storica e novecentesca, Vienna ha attratto sovente le produzioni estere. Nella finzione cinematografica la Otto-Wagner-Haus (1898), complesso di edifici residenziali appartenente al periodo ”secessionista” e decorativo dell’architetto austriaco Otto Wagner, diventa l’albergo dove lavora il tormentato personaggio de Il portiere di notte (1974) di Liliana Cavani. La sua dimora è, invece, uno dei milletrecentottantadue appartamenti del Karl Marx-Hof, blocco lineare di edilizia abitativa pubblica lungo ben 1100 metri, costruito fra il 1926 e il 1930 dalla municipalità socialista, su disegno dell’urbanista Karl Ehn.

Icona della nuova e contraddittoria Madrid di fine millennio, le torri inclinate de La Puerta de Europa, conosciute anche come torri KIO, opera degli architetti statunitensi Philip Johnson e John Burgee, costituiscono il satanico tempio dell’epilogo della commedia horror Il giorno della bestia (1995) di Alex De La Iglesia, all’epoca ancora in fase di ultimazione. Le ritroviamo in Torrente 3: El protector (2005) di Santiago Segura, dove vengono abbattute da un aereo. Anche il principale cantore della città, Pedro Almodòvar, le propone da varie angolazioni nel corso di Carne trémula (1997) e colloca l’alloggio del suo giovane protagonista nella vicina baraccopoli del quartiere proletario della Ventilla, oggetto negli anni seguenti di una radicale trasformazione urbanistica.

Pagina realizzata con il contributo di mandelbrot

 

7 commenti

  1. rubiacea / 2 Dicembre 2013

    Siete fantastici! Ottimo approfondimento!!!

  2. Davidz / 30 Luglio 2015

    Ciao! interessantissimo e complimenti!
    Se esiste puoi fornirmi una bibliografia di riferimento?
    O puoi consigliarmi qualche testo che parla dell’argomento??
    Mi piacerebbe approfondirlo.

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