28 Recensioni su

Melancholia

/ 20117.1600 voti

Il bello e il brutto di Lars / 10 Marzo 2024 in Melancholia

Il messaggio che manda il film è molto più potente del film in sè. Si, vero: ci sono ottime scenografie, fotografia, il senso dell’apparenza che deve trionfare a ogni costo, l’intro come un epilogo. Tutto bello e originale.
Ma la regia è lenta, poi con una ripresa a mano un po fastidiosa, dialoghi spenti e recitazioni un po’ apatiche.
Migliore la seconda parte, dove si palpa il senso della depressione, dell’apatia e della solitudine e comunque reso tutto più interessante dall’avvicinarsi di Melancholia, la paura dei protagonisti inizia a assalire lo spettatore.
Bello, se valutato nell’insieme, nel messaggio e nella simbologia dei personaggi.
Peccato peró che l’aggiungo ai film che non rivedró mai più.
6/10

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7 Novembre 2014 in Melancholia

procedendo con ordine, il prologo è la parte che (a differenza di molti) ho trovato più insipida: strutturato come una sorta di specchietto divinatorio di quanto accadrà nel corso delle due ore e passa seguenti, in realtà è una pubblicità di eau de toilette pomposa e noiosa nella quale alla fine non viene nemmeno mostrata la boccetta all’ultimo grido, il che rende totalmente inutile il tutto. sotto questo aspetto, era meglio il prologo di “antichrist”, più funzionale alla storia e pure artisticamente parlando più notevole.
dopo quasi otto minuti di orchite, il film comincia. lars si carica la sua fida cinepresa sulla spalla (e noi tutti qui ad augurargli una spondilosi cervicale che lo obblighi, finalmente, a mettere la macchina su un cacchio di cavalletto in un prossimo futuro) e ci fa assistere alle nevrosi, depressioni pre coito e melancholie varie di una giovane sposa nel giorno speciale del suo banchetto nuziale, per niente convinta del passo che ha compiuto. gli scambi tra i personaggi non sono male: kristen dunst in parte, i suoi soffocamenti sono alquanto credibili. convincente anche la sorella con manico di scopa rettale annesso. inutile il personaggio della madre contraria a tutto il baraccone che, come dice il cognato john “che è venuta a fare?”. personalmente, ho trovato carina la scena della limousine incagliata nel vialetto, che fa molto vita vissuta (a chi non è capitato di non riuscire a smuovere la propria limousine, andiamo).
nella seconda parte del film, a matrimonio ormai sfasciato, ci si concentra più sulla sorella già sposata con prole, ugualmente infelice, e sul pianeta che dà il titolo al film: la minaccia di una distruzione totale dell’intero apparato terrestre è prossima, i personaggi reagiscono ognuno alla sua maniera ma, in mezzo a cotanto bailamme di confusione e certezze, solo la giovane ex sposa psicopatica saprà reagire con dignità perchè spogliatasi di ogni illusione riguardo alla vita terrena. the end.
a parte le sparizioni insensate di tre quarti di personaggi che, nella prima parte matrimoniale, sembravano avere gran rilievo nella vicenda, il film non è malvagio: in sintesi, lars ci offre due pellicole totalmente diverse per genere e finalità, con stacco pubblicitario incluso, al prezzo di una; gli artifici fotografici volti a rendere il passaggio del deprecabile pianeta sono affascinanti e (per quanto ne so io di astronomia) convincenti; la scenografia rende al meglio l’opulenza e il vuoto interiore dei protagonisti, circondati da un’indiscutibile ricchezza che non basta, come da tradizione, a garantire loro se non la felicità almeno una parvenza di sicurezza. un po’ scontato il messaggio finale: la depressione ha i suoi lati positivi e si dimostra una valida e solida ancora di salvezza in caso di catastrofe, il che spiega finalmente perchè bruce willis non aveva speranze contro l’asteroide di armageddon.

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Il prologo è meraviglioso / 19 Settembre 2014 in Melancholia

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Più o meno in ogni recensione su Melancholia, specialmente in quelle negative, prima o poi ci si imbatte su una qualche lode al prologo, ritenuta l’unica parte degna di nota del film. Per quanto mi riguarda il prologo serve principalmente a due cose: la prima è dimostrare che Lars in futuro sarà in grado di girare splendide pubblicità di profumi, la seconda invece è svelare la mania di taluni a guardare troppo i canoni estetici di una pellicola, snobbando i contenuti.
Ora, ogni tanto ci si imbatte in qualche autore le cui opere (tutte, anche le più brutte) appaiono particolarmente perfette, probabilmente a causa della somiglianza caratteriale tra creatore e fruitore dell’opera. Per me è il caso di Lars Von Trier. Provo un innato amore per ogni cosa partorita da questo individuo, e sto parlando di tutto, che siano film o stupide provocazioni infantili rilasciate in pubblico (leggasi Cannes). Detto questo posso anche parlare un po’ del film in maniera assolutamente non parziale.
Il film è meravigliosamente dicotomico. Abbiamo un prologo elegante che cozza notevolmente con il resto del film girato con la telecamera a spalla, abbiamo una seconda parte di film che sembra completamente sconnessa alla prima parte, ed infine abbiamo due sorelle dai caratteri pressoché opposti (ma solo in superficie). Da una parte Justine, apparentemente gioiosa ma che nasconde un animo malinconico, dall’altra invece Claire, personaggio molto preciso e freddo, ma che cova dentro sé una discreta ansia.
Questa relazione/contrapposizione tra sorelle mi ha ricordato molto “Il silenzio” di Bergman, anche lì infatti le sorelle rappresentavano due aspetti dell’umanità ben distinti (razionalità/istinto). Tuttavia Von Trier va leggermente oltre, circonda le protagoniste di altri personaggi allargando decisamente lo spettro. Ci troviamo quindi con il marito di Claire che rappresenta la mentalità scientifica, il datore di lavoro di Justine che rappresenta l’eccessivo legame con affari e denaro etc.
Troppe persone secondo me si sono concentrate sull’aspetto apocalittico del film a discapito di quello che mi pare il reale senso del film, ovvero voler mettere in luce le diverse reazioni umane di fronte a una catastrofe. La collisione planetaria è solo un pretesto, l’uomo viene messo di fronte alla morte imminente e alla conseguente perdita di significato della vita (un po’ il senso dell’assurdo di Camus). E così Lars ci mostra le varie reazioni. La scienza è la prima a soccombere davanti alla morte, riconoscendo il proprio limite, la calma apparente di Claire lascia spazio sempre più ad un’angoscia invalidante e alla fine l’unica in grado di reagire sarà proprio Justine, colei che pareva la personalità più debole. Justine infatti entra in crisi all’inizio del film, quando ancora la minaccia del pianeta Melancholia è lontana, entra in crisi non per l’eventuale collisione bensì perché corrosa dal mondo che la circonda. La vera differenza tra Justine e la sorella è la capacità della prima di riconoscere l’assurdità della vita in tempi non sospetti, ovvero quando ancora la minaccia di una morte inevitabile è nascosta. Una volta capito questo, niente la spaventa più (“Se pensi che abbia paura di un pianeta, allora sei proprio stupida”).
La depressione come processo di rafforzamento quindi. Un film poetico, desolante e forse troppo sopravvalutato.

P.S.
Il prologo è davvero fantastico, altro che pubblicità dei profumi.

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25 Luglio 2014 in Melancholia

Un film diseguale, che sembra composto di due film molto diversi: uno girato in chiave grottesca, con le nozze della protagonista che deragliano in una farsa sopra le righe; l’altro in chiave drammatica, che studia come quattro personaggi reagiscono all’incombente fine del mondo (che viene vista da un punto di vista completamente privato: non c’è che qualche minimo accenno al mondo esterno): con viltà, con incoscienza, con terrore, con distaccato coraggio.
Ho pensato all’inizio che ad unire il film fosse l’intenzione del regista di mostrare come l’umanità ritratta nella prima parte e divisa in pazzi e idioti fosse in fondo degna di morire; ma la seconda parte si è rivelata troppo diversa, troppo misurata. L’unico collegamento è la figura della protagonista – una eccellente Kirsten Dunst – la cui depressione evolve durante il film, prima rovinandole il matrimonio e poi dandole il distacco necessario ad affrontare la fine. Un po’ sprecata Charlotte Gainsbourg nella parte della sorella.

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Ti presento Lars / 12 Maggio 2014 in Melancholia

Lars Von Trier è un regista a me completamente sconosciuto. Questo Melancholia rappresenta il mio primo e sincero approccio al suo cinema. Un approccio assolutamente positivo.
Il prologo, un misto evocativo di desolazione e grazia, è senz’altro da lodare.
Quando inizia la storia vera e propria, ho fatto un po’ di fatica (lo confesso) a farmi piacere la tecnica della telecamera a spalla, ma nulla di particolarmente serio: dopo un po’ ci si abitua senza problemi.
Originale il tema della depressione affiancato a quello della fine del mondo, messo in scena e consumato dalle due tragiche figure di Justine e Claire.

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Fino alla fine del mondo / 27 Gennaio 2014 in Melancholia

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

A modesto parere di chi scrive, Lars von Trier è il regista più ambizioso, arrogante, sopravvalutato, presuntuoso e antipatico della Storia del Cinema. Per alcuni è un maestro che realizza una meraviglia dietro l’altra, per altri uno sbruffone che invece di sedere dietro la macchina da presa sarebbe meglio se cambiasse mestiere. Come spesso succede in questi casi, la verità, probabilmente, sta nel mezzo: Trier non è un genio, ma non è neppure un incapace. E’ un abile e astuto provocatore che, nel bene e nel male, riesce sempre a far parlare di sé e a far credere a molti di essere più bravo di quanto non sia in realtà.
Uno dei suoi difetti più grandi è quello di dire stupidaggini ogni volta che apre bocca, come quando, tra lo sconcerto dei presenti, durante la conferenza stampa di presentazione di “Melancholia” al Festival di Cannes 2011 rilasciò imbarazzanti e deliranti dichiarazioni antisemite che, giustamente, causarono la sua espulsione dalla manifestazione cannense. A noi, comunque, interessa il Trier regista, ossia quello che gira i film, belli o brutti che siano, non quello che spara caz**te a destra e a sinistra. “Melancholia” è un film diviso in due parti, la prima dedicata a Justine, la seconda a Claire, ovvero le protagoniste dell’opera in questione, che affronta temi impegnativi come la depressione e la fine del mondo. Justine è una ragazza che ha tutto quello che occorre per essere felice: è bella, ha un buon lavoro (da copywriter viene promossa dal suo capo ad art director) e si è appena sposata con un uomo, Michael, che l’ama alla follia.
Ella, però, è afflitta da un disagio psichico che si acuisce in maniera esponenziale proprio nel giorno del suo matrimonio, e il fastoso ricevimento nuziale è inevitabilmente rovinato. Suo marito vorrebbe fare l’amore con lei, ma Justine lo respinge preferendo concedersi a un suo giovane collega che la segue ovunque lei vada. La festa finisce mestamente, e tutti se ne vanno a casa infelici e scontenti, compreso Michael, che da quel momento sparisce dal film per non vedersi mai più (a proposito: ma che fine fa?). Justine sta così male da non riuscire neanche a prendere un taxi da sola, e sua sorella, Claire, che insieme al suo consorte, John, si era fatta in quattro per organizzare il banchetto di nozze, decide di ospitarla nella sua lussuosa casa di campagna per prendersi cura di lei.
Comincia così la seconda parte del film, quella in cui il racconto si focalizza maggiormente su Claire e sull’imminente fine del mondo. C’è, infatti, un misterioso corpo celeste, Melancholia, che si sta avvicinando pericolosamente alla Terra. Se i due pianeti dovessero entrare in collisione, non ci sarà scampo per nessuno. John afferma che non c’è alcun pericolo di impatto, perciò dice ai suoi familiari di stare tranquilli, ma in realtà il primo ad aver paura che Melancholia possa schiantarsi contro la Terra è proprio lui, che quando capisce che ormai non c’è più nulla che si possa fare per evitare la catastrofe si uccide lasciando che la moglie, il figlio, Leo, e Justine affrontino impotenti la sciagura che spazzerà via tutto. Come detto all’inizio, Trier è un regista ambizioso ma dato che non è un genio come Béla Tarr o Terrence Malick non possiede gli strumenti adatti per sobbarcarsi l’ardua impresa di trattare nello stesso film questioni gravose come la depressione e la fine del mondo.
E da una sceneggiatura scritta dallo stesso Trier, infatti, è nato un film squilibrato ma non privo di interesse. Dopo un prologo suggestivo e ipnotico, che in pochi minuti, sulle note del “Tristano e Isotta” di Richard Wagner, riassume quello che ci verrà narrato in seguito (i detrattori del regista de “Le onde del destino” potrebbero dire che non era necessario allungare il brodo fino a superare le due ore), assistiamo a una prima parte abbastanza noiosa caratterizzata da dialoghi scontati e da scene prolisse e superflue, che sarebbe stato meglio tagliare in sede di montaggio, come quella in cui i due sposi, dopo essere convolati a nozze, rimangono bloccati con la limousine su cui viaggiano a causa dell’incapacità dell’autista di condurre il mezzo di trasporto.
Il ritmo sonnolento rischia di far cadere lo spettatore tra le braccia di Morfeo, ma incredibilmente, quando ormai si è quasi rassegnati a dover sorbire un’opera soporifera, nella seconda parte le banalità spariscono e la pellicola diventa intrigante. Trier si concentra su pochi personaggi (John, Claire, Leo e Justine) e riesce a creare un’atmosfera cupa e opprimente che turba e inquieta lo spettatore.
Sul film aleggia l’ombra lunga di Andrej Tarkovskij: i richiami alle opere del maestro russo sono evidenti, a cominciare da “Sacrificio”, di cui “Melancholia”, pur essendo qualitativamente inferiore, condivide il tono apocalittico e la cadenza esistenziale e meditativa, e ci sono anche citazioni pittoriche, come quella de “I cacciatori nella neve” di Pieter Bruegel, che Tarkovskij aveva citato in “Solaris” e “Andrej Rublëv”, che fanno tanto cinema d’autore e che sicuramente manderanno in visibilio gli ammiratori del regista danese.
Nonostante l’evidente squilibrio tra la prima e la seconda parte, il film, bisogna ammetterlo, non lascia indifferenti. I pregi, seppur di poco, superano i difetti. Per quanto riguarda il cast, tra l’affascinante Kirsten Dunst (Justine) e la brava Charlotte Gainsbourg (Claire) convince di più la seconda, mentre Kiefer Sutherland (John) è il solito pesce lesso. Alcuni, esagerando, hanno affermato che “Melancholia” è qualcosa di unico e incredibile; ma è probabile che costoro non abbiano mai visto “Il cavallo di Torino” di Béla Tarr, che, vedere per credere, mette in scena l’Apocalisse con una radicalità visionaria che Lars von Trier nemmeno si sogna.

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A che ora è la fine del mondo? / 12 Novembre 2013 in Melancholia

La prima parte del film mi ha intrigata moltissimo e, ecatombe a parte, trovo sia sufficientemente compiuta al punto da farmi apparire quasi superfluo il secondo capitolo.

La sezione iniziale della pellicola ha forti connotazioni pittoriche: come didascalicamente suggerisce lo stesso regista nel (bellissimo) incipit, la fotografia e la composizione del corpus di questa prima parte rimanda in primis ai paesaggisti fiamminghi ed a Bruegel , ricordato con insistenza nelle scene di massa nella sala del rinfresco matrimoniale e nell’uso reiterato di tinte dorate e terrigne, ai preraffaelliti (non solo Millais, per via dell’ Ofelia, ma anche Tennyson con le sue diverse versione della Lady of Shalott) e alle forme femminili (quasi) opulente ma cesellate della Dunst che ricordano certe dame di Tiziano (la sua nudità, nel secondo capitolo, mi ha ricordato quella della Venere di Urbino, per esempio).

L’intera sequenza del banchetto, messinscena metaforica (ho voluto intendere) delle prassi sociali, è davvero soffocante e l’evidente difficoltà di Justine, stretta in un bustino che le dà scarse capacità di movimento, di mantenersi lucida ed equilibrata durante lo svolgimento dei festeggiamenti rappresenta la fatica quotidiana di mostrarsi ragionevoli, accondiscendenti ed assennati dinanzi alle costrizioni ed alle convenzioni sociali talora castranti.

Dopo una tale potente rappresentazione, tutto ciò che accade nella seconda parte del film non mi ha praticamente toccata e l’ho accettata come “naturale” conclusione di un racconto che attendeva “solo” una conclusione narrativamente comprensibile.

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14 Luglio 2013 in Melancholia

Anche su Melancholia penso sia già stato detto di tutto, ma visto che ormai mi è presa bene a scrivere di cinema, due parole gliele voglio dedicare, dal momento che è indubbiamente tra i film della mia personale top-ten. In quanto a coinvolgimento emotivo, penso sia una delle migliori pellicole degli ultimi anni. Un film in cui mi sono ritrovato (o perso a seconda dei punti di vista), ti afferra il cuore sin dall’inizio, te lo stritola un po’ e poi ti trascina con una forza sempre maggiore verso il finale che è forse uno dei più belli di sempre.

Un film che con maestria riesce ad incantarti grazie alla potenza delle immagini, mentre ti infligge quelle pugnalate a cui Lars Von Trier ci ha già abituato con film ben più duri di questo, come Dancer in the Dark, Dogville, Idioti e Antichrist… Ma qui il regista aggiunge un’elevata dose di Poesia e dipinge una meravigliosa opera d’arte, a cui la semplice dizione di film, sta forse un po’ stretta. Tanti dialoghi a vuoto, sono solo pochi quelli incisivi e decisivi, ma sono di una forza impressionante, straziante. “Il mondo è malvagio, merita di essere distrutto, nessuno ne sentirà la mancanza” dice Justine alla sorella Claire. “La vita è un errore della natura che si è verificato soltanto in questo pianeta e in pochi altri”… (Sinceramente, nella mia depressione, è ciò che penso da una vita e sentirmelo dire da Kirsten Dust in un film del genere, per me ha un effetto quasi-orgasmico)

Eppure la trama sembrerebbe quella di un pessimo film in mezzo tra lo pseudo-apocalittico e la stupida commediola romantica: Secondo i calcoli scientifici il pianeta blu Melancholia transiterà vicinissimo alla terra per poi allontanarsi di nuovo e continuare nella propria orbita, regalando così all’umanità uno spettacolo straordinario. Nello stesso tempo, proprio mentre il pianeta comincia ad avvicinarsi alla Terra, Justine si è sposata con Alex e si sta recando dentro una limousine verso la sua festa di matrimonio, sorride, sembra felice…
In realtà la scienza si sbaglia, Melancholia si schianterà contro la Terra distruggendola e Justine in verità non è per niente felice della propria vita, ma cerca soltanto di nascondere la propria profonda depressione. Lars Von Trier ce lo dice si dall’inizio, sin dallo struggente, meraviglioso PROLOGO iniziale, una delle sequenze più belle che abbia mai visto in pellicola, sulle note del “Preludio” del “Tristano e Isotta” di Richard Wagner. Si comincia con la sguardo affranto ed ormai rassegnato della bellissima Kirsten Durst (che in questo film recita in maniera divina) e poi una serie di immagini al ralenty, immagini di distruzione e morte. Vediamo animali cadere, come colpiti da un’esplosione e poi di nuovo Kirsten (Justine nel film) che cammina con i piedi legati a terra da delle funi di lana che la bloccano, impedendole di muoversi (scappare?), rendendola incapace di cambiare la sua esistenza…incatenata ad una vita che non vuole, che odia.

E’ un progressivo avvicinarsi verso una tragedia annunciata, anche se molto probabilmente questa tragedia si è già verificata. Quando Justine al suo matrimonio innalza gli occhi al cielo per seguire con lo sguardo le lanterne luminose liberate in aria, si legge nel suo volto che la fine, per lei, è già iniziata. Sorride, sorride a tutti, ma sempre con più fatica. Si allontana continuamente dalla propria festa, urina nel prato. Il mondo in realtà è già stato annientato dalla Disperazione, dalla tristezza, dall’egoismo, dalla vacuità della stragrande maggioranza delle persone. Tanto che per Justine, la fine di tutto sembra l’unica vera speranza e fonte di sollievo. Mentre la sorella Claire precipita per la caduta di tutte le sue certezze, Justine accetta la morte con maggior serenità di quanto non avesse accettato la vita. Prima si getta nell’acqua con il vestito da sposa, (e qui LVT ridipinge il quadro Ophelia di Millais), poi si concede nuda alla luce blu di Melancholia, in una scena estremamente emozionante del film, trionfo di estetica e romanticismo. Ed alla fine è lei a costruire la “caverna magica” per rassicurare il figlio della sorella.

Unico difetto, probabilmente, è la prima parte del film dedicata al cenone per il festeggiamento del matrimonio, che poteva essere un po’ meno lunga e didascalica. In ogni caso l’ho trovata funzionale alla seconda parte. I vari personaggi, parlano ed emerge nettamente la loro falsità, la vacuità dei loro discorsi. Borghesi noiosi ed annoiati loro stessi. Un’umanità fragile, in decadenza, un’umanità già morta, malgrado Melancholia non si sia ancora schiantato contro di essa (e nessuno ancora sa che la fine è prossima). C’è il padre donnaiolo, mai stato attento al bene della figlia, c’è la madre ribelle, arrogante che priva di scrupoli incita Justine a non sposarsi, deturpando l’atmosfera. (L’unica persona non falsa, cosa fa? ferisce a morte Justine…bel colpo Lars) C’è il marito bonaccione, che però non riesce ad essere in empatia con la sposia, non ne capisce il dolore, c’è il datore di lavoro di Justine che le da un incarico anche la sera del suo matrimonio, c’è la sorella ossessivamente attenta ad ogni dettaglio, maniaca dell’ordine e della precisione… In ogni caso, alcune scene, alcuni dialoghi sono ideali per farci sentire la pesantezza della situazione vissuta da Justine. La nostra sposa, infatti, ogni poco si allontana dalla festa, urina nel parco , scopa con uno stagista della sua azienda, si spoglia, rimette in (dis-) ordine i quadri della villa, precipita profondamente nella tristezza e manda tutto in fumo in un solo attimo, matrimonio e carriera…
La seconda parte, invece, è un progressivo, claustrofobico, inquietante, ma splendido avvicinamento all’impatto di Melancholia contro la Terra. Si resta sconvolti, ma in modo delizioso. Dopo Justine si sgretolano anche tutte le certezze degli altri protagonisti, non c’è fede nella scienza che tenga, non c’è religione… e da qui in avanti, veramente, si rasenta la perfezione.

Ho parlato di una sola sorella. Motivo? Mi sento lei, pienamente.

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“Io.. arranco tra tutti quei fili di lana grigi che mi si attaccano alle gambe. Sono così pesanti da trascinare.” / 30 Aprile 2013 in Melancholia

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Consiglio a tutti di guardare il film prima di leggere quanto segue.
Come aveva già fatto nel suo film precedente (Antichrist), von Trier, mette in scena la depressione di cui soffre e ci regala in 130 minuti un film profondo e carico di immagini suggestive e metafore su questa terribile patologia che colpisce l’animo umano.
L’opera è suddivisa in tre blocchi, un’ouverture iniziale e due “Capitoli” ognuno dedicato ad una delle due sorelle Justine e Claire.
Nel prologo iniziale troviamo una sorta di riassunto visivo dell’intera pellicola. Sulle note toccanti del “Tristano e Isotta” di Wagner scorrono, come dei dipinti, una serie di immagini che rappresentano l’intera vicenda per concludersi poi con l’impatto finale del pianeta Melancholia con la Terra. Von Trier stesso era convinto che il pubblico dovesse sapere fin dall’inizio come sarebbe andata a finire la sua storia.
Protagoniste dell’opera sono due sorelle, Justine e Claire, interpretate rispettivamente da Kirsten Dunst e Charlotte Gainsbourg.
Nel primo blocco, intitolato per l’appunto Justine, ci vengono presentati i personaggi durante il ricevimento per le nozze della protagonista. Questa parte del film è più fedele ai concetti del Dogma 95 (movimento cinematograficocreato e fondato su precise regole espresse in un manifesto pubblicato nel 1995 (da cui il nome) dai registi danesi Lars von Trier, Thomas Vinterberg.), mentre nel prologo e nella seconda parte il buon vecchio Lars si mette alle spalle ogni Dogma. Questa parte della pellicola ci ricorda, sotto certi aspetti, il film Festen ,dell’amico di Trier, Thomas Vinterberg. Una festa di famiglia borghese carica di ipocrisie e falsità.
Riguardo alle due protagoniste lo stesso Trier ha dichiarato: “Justine mi somiglia molto. Il personaggio è ispirato a me e alle mie esperienze di profezie apocalittiche e di depressione. Claire, invece, dovrebbe essere una persona normale”.
Il dramma di Justine ci viene presentato dopo pochi minuti, questa povera ragazza tenta di sfuggire ai rami della depressione-malinconia che la attanagliano rifugiandosi nell’amore provato dal marito convinta così di guarire ma purtroppo il pianeta Melancholia (nient’altro che la sua Malinconia) è in agguato e proprio quando sembrava allontanarsi eccolo che torna indietro per annientarla completamente, vi ricorda qualcosa? Questa scena la ritroviamo “metaforizzata” anche nella seconda parte (Claire con il bastoncino)… Il primo blocco del film si chiude con il totale fallimento del matrimonio, Justine lascia andare via il marito e viene totalmente ignorata da entrambi i genitori che non solo non si interessano del suo problema ma neppure se ne accorgono.

La seconda parte del film è incentrata su Claire che accoglie in casa con se Justine rimasta sola e completamente abbandonata alla sua depressione. Claire, sposata con un figlio, fa di tutto per cercare di risvegliare la sorella che ormai sembra persa.
Nel frattempo un pianeta si sta avvicinando alla Terra destando ansia e paura in Claire.
Solo una volta rassegnata alla sua fine Justine riesce ad affrontare l’imminente catastrofe con una sorta di cinismo e indifferenza a dispetto di una Claire disperata.
Lars Von Trier a riguardo ha affermato: “Il mio analista mi ha detto che nelle situazioni disperate i depressi tendono a restare più calmi delle persone normali, perché si aspettano sempre il peggio! Ma anche perché non hanno niente da perdere”.
La critica più frequente che viene mossa a questo film è la seguente: “Che noia mortale! Non succede niente! Che schifezza!”.
Beh, la noia è il nemico mortale del cinema, pretesto ideale di tutti coloro che non vogliono/riescono ad andare oltre al loro naso. Non per niente anche 2001: Odissea nello spazio viene definito da molti : “Una noia mortale” o ancora peggio “Quella boiata con le scimmie nello spazio!” Il film può piacere come no (e su questo non si discute) però la noia non può essere un alibi. Forse una ventina di minuti in meno nella prima parte avrebbe reso il film più fruibile a tutti ma è questa la grandezza del film, il non essere accessibile a tutti. Può toccare in maniera importante le corde solamente di chi certi stati li ha vissuti o li ha visti vivere a gente cara. Degne di nota le interpretazioni notevoli delle due protagoniste, specialmente di Kirsten Dunst perfetta in questo ruolo.
Ingmar Bergman ha detto: “Il film quando non è un documentario è un sogno”, beh questo film ha il merito di essere entrambe le cose.

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Voluta lentezza per far sì che persone come me la contestino e vengano attaccate perché incapaci di comprendere il vero significato del film / 4 Aprile 2013 in Melancholia

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Titolo lunghetto, eh?, ma mi sento in dovere di giustificare la stellina.
Amo i film lunghi, amo i film pesanti, non so perché sono inconsapevolmente, o forse no, attratta da questi, ma mi sono sentita male, e non perché colpita positivamente dal film, per tutte e due le ore piene.

Dal principio:
una ragazza apparentemente felice, appena sposata, si trasforma pian piano in quello che in realtà è sempre stata ed apparentemente ha voluto mascherare per accontentare tutti quelli che la circondano.
Si ammutolisce, è incapace di rispondere, di parlare, e quasi ti esaspera e ti viene la voglia di urlarle in faccia di reagire, di fare qualcosa, almeno di gridare a tutto il mondo che non ti importa della ricchezza, dello sfarzo, delle finzioni!
E invece no, lei diventa incapace di camminare, parlare, pensare, e non venite a dirmi che la sua malattia era la sensibilità, perché quella che mostra è tutto l’opposto: non è in grado di fare almeno finta di interessarsi del mondo che la circonda, del marito che la ama ma che fa a sua volta finta di non vedere come non è capace di vivere la sua donna… e che fa?, la sposa?
Non aveva mai mostrato sintomi così gravi della ‘malattia’ da convincere il ragazzo a non sposare la donna con cui dovrebbe condividere il resto della vita?
Non credibile neanche un po’.
Passiamo al momento in cui entrano in camera: lei lo interrompe perché sembra quasi che le manchi l’aria -fattibile- ma poi esce e tutta la depressione che spacciate per sensibilità la spinge a ‘cedere’ tra le braccia di un quasi totale sconosciuto in mezzo alla sabbia (il sesso mi è sembrato piazzato lì molto forzatamente)

Saltiamo poi quando lei si rende incapace di vivere gravando sulle spalle di chi la ama, e per favore non facciamo passare questa per malattia.
Perché i malati sono deboli, fragili, vanno appoggiati, ma non assecondati, e soprattutto non sono in grado di comportarsi come invece Justine fa.
Quando la si tratta normalmente, facendo finta che la sua malattia non esista, accentua ancora di più gli atteggiamenti; quando, invece, la si tratta come una bambina, come quando si parla con una persona che sai potrebbe non capirti, allora si arrabbia, risponde con aggressività, con cattiveria pura, perché l’intento è quello di pungerti e farti male.

Verso la metà avanzata ancora un nudo -a parer mio- totalmente inutile e forzato, in completa contrapposizione all’apatia e al non contatto che c’è tra le sorella e il marito di quest’ultima: né un sorriso, né un bacio, né un’occhiata anche rabbiosa ogni tanto che ti permettesse di capire che fossero davvero marito e moglie, con tutti i battibecchi, le frecciatine, i periodi critici, quelli più leggeri, che normalmente ci sono in una famiglia.

Tutto continua a scorrere con un ritmo talmente lento, ed è voluto, certo, ma il fatto che sia tutto studiato nei minimi particolari per apparire appositamente pesante mi ha dato un certo fastidio, e questo perché, lo so, se provassi a contestarlo mi troverei davanti persone pronte a puntarmi il dito contro perché incapace di comprendere la grandezza dell’opera.
Ma quello che vorrei dire a molti è che tanti film sono posti in maniera leggera e scorrono per tutta la durata così, con finta, e lo sottolineo, serenità, celando invece una pesantezza di contenuti e significati davvero incredibile, ed io apprezzo quella finzione perché è una mano che va incontro allo spettatore, un sorriso nei suoi confronti.

Affrontando invece il tema fisico, è inutile dire come sia tutto così finto e inverosimile, arrivando sulla scena finale con un pianeta faccia a faccia con l’altro, senza che prima si siano verificati altri fenomeni in preannuncio alla fine imminente, ad eccezione di una pioggerellina di grandine, che in più, quasi mi sono venuti i brividi per lo shock, in-credibilmente (proprio perché non-credibile), ha ricoperto totalmente il prato, ma sui due personaggi nada, niente, nothing, neanche un chicco.

Lento, pesante, con quel voluto che non mi tocca neanche un po’, finta sensibilità e non credibilità.
No, non ce la faccio ad arrivare a sei stelle.

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Guardarsi Dentro / 17 Marzo 2013 in Melancholia

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

E con un paio di giorni di febbre alta alle spalle e di ore e ore passate a letto che decido di
rivoluzionare la mia giornata guardandomi un film, un pò di forze le ho riprese e allora fiducioso
scelgo di vedere Melancholia.

Come al solito non mi sono documentato prima su che cosa mi aspettasse, anche se già la scelta del
regista lasciava poco spazio all’immaginazione.

Come al solito dicevo non andrò a recensire ma a raccontare ciò che sono state le riflessioni e i
pensieri che ho incrociato durante e dopo la visione di questo film.

La parte iniziale è per menti sottili, spunti di arte, immagini di comunicazione, stimoli sensoriali
che ti lasciano solo il silenzio per osservare; piatto l’elettroencefalogramma, non c’è tempo per gli
impulsi elettrici, rapinati anche loro alla ricerca di capire come tradurre le sensazioni.

Passata questa fase inconscia ecco che il film ha inizio.

Regia e sceneggiatura ci regalano subito il grande controsenso delle nostre vite, quella limousine
immagine di ricchezza, ostentato lusso e lussuria, eleganza e potenza che nel giorno più importante di quella che dovrebbe essere la nostra vita non riesce a muoversi e a passare lungo una piccola e stretta strada di montagna.

Tutti i tentativi fatti dall’autista, dallo sposo e poi dalla sposa, la lenta goffaggine di quel macchinone
su quella piccola strada sperduta sono il simbolo di un pò tutto il film, è il preludio al “controccorrente”
che noteremo durante tutta la pellicola.

è la scena iniziale e non credo lo sia per caso.

Matrimonio, sposo e sposa che vedono investite le loro vite dagli eventi, che subiscono dapprima apparentemente felicemente ciò che “la società benestante e ben pensante” ha previsto per loro e non si rendono conto di essere semplicemente delle comparse ma sono, in quel momento, convinti di essere i protagonisti, così come quella limousine che diventa inutile se messa realmente davanti a ciò per cui dovrebbe esser nata, cioè lo spostarsi lungo una strada.. se quella strada esce un attimo dai canoni abituali ecco che la nostra lussuosa limousine si trasforma in un inutile dinosauro mobile che non è in grado di adattarsi non tanto ad un imprevisto ma ad una diversa versione della realtà che conosceva fino a quel momento.

Veniamo ora un attimo al primo profilo dei due protagonisti del lieto evento:

Lei sposa dominante, ragazza brillante dal grande intuito e dalla sensibile intelligenza, sorriso coinvolgente cerca di gestire con un pò di timore l’evento che gli si stà realizzando davanti; lui sposo timido e impacciato molto probabilmente cresciuto in un regime di protezione ed indirizzamento poco abituato al “fuori pista della vita” sembra quasi il classico ragazzo per bene costruito in laboratorio da una famiglia che indubbiamente ha trasmesso l’educazione ma si è dimenticata di lasciare quella dose di libertà e di piacere per la vita che per altro lui non sembra ricercare mai.

Superato l’ostacolo limousine il sogno stà per diventare realtà, matrimonio regale in una villa da sogno
con un sacco di invitati pronti e adatti alla festa di lusso. Il confronto tra finzioe e realtà tra costruzione e spontaneità, tra normalità e ricerca della divinità appare lampante fin dalle prime scene e le caratteristiche personali che emergono dai protagosnisti della prima parte del film, quella dedicata a Justine non fanno che accentuarle.

Anche il paralello indiretto tra lo sposo e la sposa viene messo in luce dai lati caratteriali delle
persone che quei protagonisti hanno contribuito a crearli, la famiglia originale di lei, notevolmente
incompatibile che evidentemente non ha mai contribuito con l’istruzione e il rigore all’educazione
delle figlie come può aver fatto la famiglia dello sposo ha creato in Justine una persona dai parecchi lati geniali;

vero è che la sorella è apparentemente più normale ma anche in questo caso credo ci sia una spiegazione che vedremo però nella seconda parte dell’analisi, ad essa dedicata. La famiglia di lui, famiglia come tante altre, come quelle disegnate nelle favole che ha creato questo esempio di uomo educato, colto e rispettoso che però manca di quel qualcosa che lo può rendere interessante anche dopo i primi 10/15 minuti di conversazione.

Il confronto tra la figura della madre, ostile, maleducata, fredda ma intensamente sincera e il padre
leggero, stravagante e caloroso che sembra in grado di non dare importanza a nessun lato della vita ma allo stesso modo sembra non dimenticarsi mai dell’amore per la figlia sono il contorno all’evento che contribuiscono a spiegarci quanto Justine sia in un contesto che non le appartiene e quindi sbagliato, sbagliato se volto alla ricerca della sua felicità.

Ancora un personaggio, a mio avviso interviene per dare il senso di quanto sia sbagliato, in termini assoluti, dedicare la nostra vita a qualcosa che non ci appartiene e quanto questo non possa che portare ad un epilogo che mai sarà realmente piacevole, la discriminante è data soltanto da quanto siamo in grado di guardarci dentro e di ammetterlo e quanto siamo in grado di fingere.

Stavo divagando, questo personaggio è ovviamente, per chi ha visto il film, il datore di Lavoro di Justine che prendendo la palla al balzo comunica le evoluzioni dei suoi affari lavorativi in un giorno in cui questi non dovrebbero nemmeno avvicinarsi con il pensiero. Prendere a pretesto, usare come alibi per fingere benevolenza verso una persona un evento o una situazione è cosa comune nel mondo “della società” e forse non c’è nemmeno niente di male a farlo, rimane il fatto che è un gesto lampante di disinteresse verso le persone e di forte interesse verso la mediaticità dell’evento.

In tutti questi tipi di eventi la persona (anche se spesso non se ne rende conto) che dovrebbe essere al centro dell’evento stesso viene lasiciata in disparte perchè tutte le luci e le attenzioni sono catalizzate dall’evento stesso, io credo che questo l’autore abbia realmente cercato di comunicarcelo.

Non vi racconto altro sulla prima parte del film, così se non lo avete visto magari potete provare un qualche interesse, le mie riflessioni si concludono parificando la conclusione della prima parte stessa:

Perchè ci facciamo rapinare le nostre vite?? perchè chi ci sta vicino, spesso, non è in grado di farlo senza voler disegnare tutta la nostra esistenza o parte di essa?? magari aggiustando ciò che è mancato alla sua, senza pensare che magari non è quello che macherebbe alla nostra o che questa mancanza possa essere per noi così importante come lo è stato per lui/lei?

La seconda parte, è un altro film, è un altra sorella, è un altra storia.

A mio avviso molto più interessante e complessa.

E’ la storia di uno dei tanti limiti della nostra mente, dei limiti che abbiamo nella governabilità delle nostre emozioni e dei nostri pensieri. E’ una storia triste, diranno, io credo sia semplicemente una storia; molto più veritiera di altre, la definiamo triste perchè non siamo capaci di affrontarla con la giusta dose di neutralità ma infondo di triste non ha quasi nulla.

E’ la storia della sorella di Justine tale Claire sposata con un uomo brillante e uno scienziato di successo, con un piccolo bambino molto educato anche lui, che risponde bene alle emozioni a comando.

Una famiglia disegnata e costruita con calma e parsimonia, dove ogni comportamento è supervisionato dall’etica della società delle famiglie rispettate; Un padre che vive per la scienza e non si preoccupa delle passioni, desideri, speranze e abitudini di moglie e figlio tranne nel caso in cui, spontaneamente o meno non combacino con le sue. Dal canto suo, c’è questa figura dismessa e autoritaria nel nulla della madre che come spesso accade è l’unico perno su cui ruota tutta questa forma di famiglia, che però mai appare realmente felice della vita che fa.

Si prende cura della sorella, malata e fuori schema perché deve farlo, dice di odiarla ogni volta che la sorella stessa la mette difronte alla verità del suo destino, della sua vita e ogni volta che la fa rispecchiare su se stessa, finge di amarla e di preoccuparsi di lei in tutti gli altri momenti della giornata nei quali non fa altro che recitare la sua parte.

Claire che passa per la versione ben riuscita, precisa, pignola che aveva organizzato il matrimonio secondo i canoni attesi dagli invitati nella prima parte del film e che si trova a sacrificare la sua esistenza nel nome della vita di suo figlio e della sfortunata sorella malata che probabilmente non avrebbe nemmeno mai chiesto tale aiuto.

La figura del marito, luminare scientifico si sgretola alla luce del sole della vita, l’insuccesso di una società che gerarchicamente eleva persone con valori del tutto discutibili viene posta in evidenza quando lo stesso si rende conto, non soltanto di aver dedicato anni della sua vita a qualcosa di fine a se stesso, ma quando si trova difronte all’errore evidente e non regge, decidendo di farsi da parte e lasciando moglie e figlio al loro destino. Sono queste le figure che la società premia nella vita in comunità, questo credo sia uno dei messaggi che il regista cerca di trasmettere.

E così che difronte all’inevitabile morte l’unica figura che si comporta con dignità e che sembra non soffrire di quell’angoscia che nasce nella menzogna della vita che ci raccontano è quella della sorella malata che riesce con un gesto semplicissimo ad affrontare il suo destino riuscendo a tranquillizzare per quanto possibile le persone a lei care.

In mezzo a tutto questo struggente per me che sono un giovane padre, la figura del bambino, sovrastato dalla mitologia dei racconti del padre e dall’inconsapevolezza di ciò che ci succede attorno rimane in balia degli eventi e si affida a quegli adulti che dovrebbero aiutarlo a crescere ma che in certi momenti non sono di certo quello che si può considerare un esempio. In fondo siamo tutti uguali, evolviamo e regrediamo in modo differente ma difronte a certe situazioni non esiste età che ti garantisca la capacità di affrontarle.

Sostanzialmente dovrebbe essere un film molto triste e angosciante, credo sia un film che racconta un punto di vista, che fornisce spunti di riflessioni su determinati argomenti e che ci riporta, durante la visione, a sentirci come se fossimo allo stato brado di noi stessi, senza certezze, con diverse paure, ma con la possibilità di scegliere se e come provare ad affrontarle.

Ah si, dimenticavo, sapete di che cosa è malata Justine?? è un qualcosa che se appartiene ad un animale lo riconosciamo come una semplice caratteristica dello stesso, ma se appartiene all’uomo siccome non siamo in grado di provarla, siamo invidiosi per chi l’ha sviluppata e siamo preoccupati per quello che può donare alle nostre vite la consideriamo una malattia, chi ne soffre è spesso considerato fuori dal comune, elemento anormale… la malattia in questione si chiama Sensibilità.

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30 Gennaio 2013 in Melancholia

Dire che è brutto sarebbe una cosa assurda perché questo film non è brutto. Ma, a mio parere, è troppo esasperato. Capisco che sia stato voluto rendere così, in questa maniera così angosciante, con questa luce “mortale”, ma a mio parere è davvero troppo esasperata la cosa. Troppo. Veramente bello il prologo, davvero, ma il resto non sono riuscita davvero ad apprezzarlo pienamente.

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29 Gennaio 2013 in Melancholia

Un capolavoro. Mi ha smosso dentro quasi come The Tree of Life, lasciandomi ammutolita. Il prologo è una prova di bravura, è una sintesi altamenta poetica ed esteticamente perfetta dell’intera trama, con continui rimandi a ciò che Justine “sente”, “vede”. Justine che è interpretata da Kirsten Dunst, capace di mostrarsi vuota, cinica, depressa, rilassata, di spogliarsi in maniera funzionale e risultare splendida. L’intero cast è magistrale in ogni caso.
Infine, forse non avrei avuto le stesse sensazioni, senza quella colonna sonora inquietante, mai scontata seppur ripetuta, e di altissimo livello (Wagner!) e le immagini realistiche del pianeta Melancholia, con la sua luce azzurrata così ben fotografata. Stupendi i riferimenti alle opere d’arte (l’Ofelia di Millais) e le varie scene del prologo ( la sposa avvinghiata tra i rami). Un film impressionante.

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Lars von Trier e una ragazza tutta sua / 24 Gennaio 2013 in Melancholia

Più che Melancholia, direi tristezza. Se non altro fa piacere vedere Muhammad Ali dietro la macchina da presa.

13 Gennaio 2013 in Melancholia

La psicologia umana nel momento della fine del mondo. Film struggente capace di ammutolire lo spettatore non solo per l’estetica perfetta delle sue immagini quanto per l’escalation di emozioni e tensioni enfatizzate da un montaggio che dà certezza alle peggiori inquietudini.

10 Gennaio 2013 in Melancholia

l’ho trovato noioso, superficiale, a tratti insensato, la sceneggiatura è inconsistente. non mi ha impressionato neanche a livello emozionale, però è un piacere per gli occhi. lodevolissimo il “prologo”.

19 Dicembre 2012 in Melancholia

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Grossa, grassa attesa, per l’ultimo film di Lars Von Trier che io, ricordiamo, amo-odio, perché fa dei film che mi sembrano dei capolavori oppure mi fanno incazzare come una iena. Fin troppa attesa, ho molta paura quando tutti ti dicono che un film bello. Mi son messo bello comodo in prima fila.
I primi 10 minuti sono una parte a sé, tutta al rallenti, che anticipa e trascende il finale, con una serie di immagini estetizzanti e bellissime nei loro movimenti lenti che sul momento ci si chiede se siano fini a se stesse oppure no. Alcune torneranno alla fine, altre no. Sogno, immaginazione, premonizione, non si sa cosa sia tutto ciò, ma è perfetto e simmetrico e danza fino all’impatto.
Per il resto il film è diviso in due, come due sono le sorelle protagoniste, Justine e Claire. Prima parte, Justine, una fighissima Kirsten Dunst (a cui però verso i 35 verrà il doppio mento) si è appena sposata, questa parte è tutta sulla festa nella tenuta del marito riccastro della sorella Claire, con invitati, discorsi, persone strambe (il padre che chiama tutte Betty) ecc. Ma lei ha dei dubbi, esitazioni, dei continui ripensamenti, e si comporta strana. Finisce che non la da al neosposo, la da a uno che non sa chi sia nella sabbia del campo da golf, e poi sfancula il suo capo a lavoro e manda via lo sposo. In questa prima parte non si capisce perché tutti la trattino come se fosse normale, quando palesemente lei è un bel poì fuori di melone; lo sposo è servo della gleba tantissimo, lei è da prendere a schiaffi perché non fa una cosa una che sia razionale. Fin qui boh.
La seconda parte, Claire, è bellissima *_* Claire (la solita Charlotte Gainsbourg; ah, e c’è pure Charlotte Rampling) fa venire Justine, che ormai è dichiaratamente depressa ed esaurita, nella sua casa. Al chiacchiericcio degli ospiti della prima parte si contrappone questa silenziosa seconda, dove ci sono solo loro due, il figlio, il marito ricco, un cameriere e due cavalli. Fin dalla prima si sa che il pianeta Melancholia sta per passare vicino alla terra. Gli scienziati e il marito di Claire sono ottimisti, non c’è pericolo. Lei ha paura. Il pianeta si avvicina, è uno spettacolo meraviglioso, come ci fossero due lune, e si allontana. Il giorno dopo però si sta di nuovo avvicinando. Il marito rifà i suoi calcoli, scopre evidentemente che non ci aveva capito una sega e si uccide (con delle pastiglie uguali alla mia paroxetina ma son dettagli-.-). Restano Claire, Justine e il bambino. Claire è quella razionale, l’ultima rimasta a voler cercare un senso nelle cose. Justine invece è fatalista, vuole che l’umanità si estingua, perché è cattiva, e siamo soli, e lei lo sapeva. Finisce con loro tre in una “grotta magica” fatta di rami, che tenendosi per mano aspettano l’impatto.
L’impatto in prima fila è stata una figata devastante O_O avevo gli occhi grandi il doppio del solito e non potevo più sbattere le palpebre, credo.
Non ho capito perché Melancholia si fosse allontanato per poi è ritornato ma chissenefrega. La natura fa da sfondo a questa lenta discesa verso la tragedia conclusiva, con gli animali e gli elementi che appaiono sempre in grado di prevedere rispetto agli umani la gravità della situazione. Lo sguardo di Von Trier, che per una volta non conficca pugnali nello stomaco agli spettatori, è lucido e disperato e triste.
A chi volesse accusarmi di essermi fatto piacere la seconda parte più della prima solo perché si vedono le (grosse O_O che minne!) tette della Dunst rispondo con sdegno che non è vero U_U
Ma anche, in effetti.

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Dopotutto voglio salvarlo. / 20 Ottobre 2012 in Melancholia

Lo salvo.
Decido di salvarlo perché dopotutto qualche pregio ce l’ha questo film.
Però davvero, mi aspettavo di meglio.
La lentezza assurda, una prima parte che comunque trovo insignificante. Puntatemi il dito contro e ditemi che non ho capito un cavolo del film, forse avete ragione, ma oltre un po’ di ansia verso la fine, il film mi ha trasmesso solo apatia.
Che sia la stessa di Justine di inizio film?

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Bello…. / 29 Agosto 2012 in Melancholia

…..ma che angoscia.
Le lanterne…

Da vedere non da solo / 29 Agosto 2012 in Melancholia

Io l’ho fatto e francamente avrei voluto vicino a me qualcuno che amo perché anche se molto particolare e bello anche molto triste e angosciante.
Tutto molto fantastico quanto catastrofico.
Un bel film.
Accompagnati, mi raccomando… Io non l’ho fatto e me ne pento…
Dimenticavo le lanterne: per me un momento commovente. 😉

Quadri viventi / 8 Agosto 2012 in Melancholia

Emotivamente molto forte e soprattutto capace di trasmettere tutta la propria angoscia ed il proprio frastuono con le sole immagini, anche senza l’ausilio della parola.
E’ per questo motivo che ritengo un’ottima trovata nonchè molto funzionale quella di aver sfruttato unicamente “fotografie” in parziale movimento per il prologo.
Aspetto tipico delle pellicole di Von Trier è, tra gli altri, la lentezza.
Inesorabilmente predominante nella sezione di maggiore tensione: la seconda metà.
Tra le due protagoniste non si può non premiare la Gainsbourg che ha portato a testa alta fino all’ultimo momento la propria essenza, ogni espressione è indicativa di uno stato d’animo e perfettamente riuscita.
Misticheggiante ed incognita rimane invece la Dunst,perfetta maschera tra la depressione ed il dovere.
Devozione ad uno stato d’animo, materializzato in un pianeta: pronto a toccare e distruggere.
Attimi tentennanti, carichi di aspettativa, volti ad una fine inevitabile.

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Un’apocalisse da ricordare / 25 Giugno 2012 in Melancholia

A Melancholia non si crede fin da subito. Quelle immagini iniziali strazianti,pieni di lamenti e tormenti dell’animo,quasi quadri surrealisti. Andiamo! Quella sposa in abito bianco che non sa che i suoi ultimi giorni son vicini. Quell’uomo che non riesce a distogliere lo sguardo dal suo amore. Quel matrimonio vinterbergeriano(impossibile non pensare a Festen). Eppure,nel suo lento e inesorabile scandirsi di battiti cardiaci,sospiri e starnuti,riesce a realizzare un’ode profonda alla filosofica ricerca della tranquillità su questa terra. Melancholia è un epitaffio fulmineo al Pianeta Terra,con una trasgressiva intemperanza e un dogmatico(perchè di Dogma si tratta) uso della cinepresa come arma affilata per infliggere colpi su colpi agli spettatori. Von Trier è quel danese che non ti aspetteresti mai possa ancora stupirti dopo essersene uscito fuori con sparate non molto signorili al festival di Cannes. Eppure,involatosi come nuovo Hugo,dallo strabiliante talento cinematografico troppo spesso mascherato dalle sue interminabili provocazioni,Von Trier forse non sforna il suo miglior film,ma sicuramente dà una grande prova di stile,riuscendo a non cadere nei didascalismi hollywoodiani sul cinema catastrofico. Qui,infatti la catastrofe più che reale,imminente è mentale. I personaggi,altra grande genialità del regista danese,sono tutti collocati sullo sfondo,senza approfondimento psicologico. Il vero protagonista della vicenda narrata è il pianeta che si sta avvicinando inossidabilmente alla Terra. La presenza dei tratti stilistici classici del regista di Dancer in the Dark,tra cui le grandi inchieste mentali,l’esuberanza stilistica e la manualità fulminante delle inquadrature più profonde,risulta proverbialmente efficace,specialmente quando il film prende una svolta diversa da quella che ci si poteva aspettare. La surrealità del matrimonio tra due giovani che aspettano una vita insieme viene occultata dalla notizia che un pianeta si sta inossidabilmente e minacciosamente avvicinando alla terra. Se la malinconia è la felicità d’essere tristi,Von Trier è l’uomo più felice del mondo. Son sempre i rapporti familiari quelli che Von Trier sa sviluppare meglio. Delle due sorelle non si sa poi un granchè,si sa solo che sono in lite e che la loro unione vacilla. Ed è qui che Von Trier riesce sublimemente ad offrirci uno spaccato del destino dell’umanità,in versione esageratamente apocalittica e decisamente iperrealista. Si rifiuta di credere a Melancholia,perchè ammettere che,come sosteneva Travis Bickle “un giorno arriverà un nuovo giudizio universale che spazzerà via i mali di questo mondo”,è impossibile. Meglio lasciarsi sprofondare. Von Trier,in forma filosofica perfetta,realizza un sentito omaggio alla Natura. Dopo il capolavoro Antichrist,in cui la natura era maligna e perversa,qui diventa una madre amorevole in attesa dei propri figli,salvo poi rilasciare sorprese non troppo piacevoli. Melancholia non è un capolavoro,ma bensì un film eccitante e ricco di suspance e pathos,pur potendo sembrare palesemente fermo. Insomma,tra Wagner e Tarkovskij c’è anche Lars Von Trier.

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22 Dicembre 2011 in Melancholia

Mi è piaciuto, molto. Tanto era farlocco il precedente tanto è affascinante questo. Due parti che mi sembrano l’una l’allegoria della vita, l’altra della morte. Perchè la sezione Justine è metavita, tutto un discorso su cosa è vivere: uno spettacolo, parti attribuite da altri, la mancanza di vera libertà, ruoli che si assumono per convincimento, per noia, per dovere, per amore e così via. Cosa è la vita se non una recita continua? E quale costrizione essa ci impone? E Von trier usa il matrimonio perchè è un rito sociale rigido e riconoscibile universalmente, facendo esasperare tutte le personalità attorno all’illogicità di quella serata che ha una scaletta (e va a marengo), ha un direttore d’orchestra, ha aiutanti, ha personaggi e nessuno se ne libera mai anche di fronte al fallimento, anche di fronte ai litigi, anchde di fronte alla mancanza di senso. Un luogo asfittico (sono tutti piagitissimi) in cui tutti recitano se stessi e soccombono alla recita.
La sezione Claire è dominata dal senso della fine e della morte. Qui l’innocenza e la consapevolezza sono facce della stessa medaglia, c’è un senso di calma nel bambino e nella depressa che non può appartenere agli altri. E gli altri siamo noi, più o meno, ossia chi si toglie la vita e chi vuole bere un bicchiere di vino, gesti inutili, lui sarebbe morto ugualmente di lì a poche ore, ma come urlare altrimenti la sconfitta della ragione? C’è un senso enorme di umanocentrismo in quel gesto, lei morirà comunque, ma essendo emotivamnete sensibile e matura pensa all’ultima cosa bella da fare.
Perchè Justine è depressa? La vediamo arrivare abbastanza serena, il marito poi dice che la vedeva strana almeno dal giorno prima, eppure Justine è schiacciata rovinosamente da tutto il gioco del matrimonio che squaderna relazioni affettive, lavorative, sociali, economiche, insomma appunto la vita. E lei abbandona tutto. Il senso della morte della seconda sezione le dona invece la sua dimensione, il suo equilibrio, perchè all’interno della fine lei è la portatrice di consapevolezza. Ecco che l’acqua diventa elemento di annullamento, il primo bagno, e di acquisizione del sè, il secondo bagno, elemento contenitivo e primordiale (lei che galleggia, la pioggia che si fa grandine). Cosa costruiamo per salvarci dalla paura della morte? La scienza (calcoli, previsioni, strumenti), il racconto, il mito (la caverna magica è una invenzione culturale pura), tutti e due sono inutili, si muore.
Claire ripete due volte il suo odio per la sorella, nella prima parte quando tutto va a rotoli e Justine fa fallire quella serata nata davvero per traverso e che Claire sente di dover portare avanti comunque; la seconda volta quando Justine non demorde dal ricondurre Claire ad una verità che non si può fuggire e che l’equilibrio emotivo (ossia la normalità) di Claire non riesce a governare.

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Appunti per una recensione che, passato il forte senso di impressione ancora presente, forse scriverò / 5 Dicembre 2011 in Melancholia

Un film intenso, che lascia strascichi profondi. Un film immaginativamenteestremamente curato, dalla forte potenza espressiva ed evocativa. Tuttavia…

C’è un tuttavia che impedisce di inserirlo nella rosa dei migliori film di Lars, a mio parere: la prima parte dedicata a Justine si apprezza e si comprende solo grazie alla seconda parte, e non un istante prima. Una lunga attesa, vista la pressione emotiva a cui il film sottopone – anche se ne vale decisamente la pena.

Tra la Dunst e la Gainsbourg la seconda è dieci volte meglio nella recitazione e nell’intensità espressiva.

Lungo sarebbe il discorso da fare sulla Melancholia, riduttivamente e erroneamente sovrapposta alla depressione. Chi la conosce sa che sono due sentimenti del tutto diversi, e la prima ha un calore passionale sebbene ombroso, sebbene relegato in profondità inavvicinabili, incondivisibili, incomunicabili che alla prima manca del tutto. Justine è malata di Melancholia, o non avrebbe la passione per una quasi-masturbazionealla luce del pianeta, o l’affetto per guidare il bambino alla morte con tanta sottile comprensione della psicologia ed emotività infantile, o non farebbe sogni così “estetici”… ecc. ecc.

Certamente varrebbe soffermarsi sulle assurdità di critica e dintorni che sono state sollevate intorno al film e a Lars – giusto il tempo per definirle inutile spazzatura che ancora una volta lascia vedere con chiarezza il livello di profondità e competenza che viene usato per affrontare un fenomeno – il cinema d’autore – che è certamente e prima di tutto una forma d’arte espressiva.

Mai visto un film che preannuncia una catastrofe così totale più poetico di questo. Spietato come solo la poesia può esserlo, perché non ci sono interpretazioni possibili, perché non si può divagare, perché non si può dirlo in un altro modo, più edulcorato… Quello che spazza via, oltre all’umanità gretta e ipocrita, sono decenni di (ben altro) cinema.

Non ho ancora risolto il quesito sull’uso delle immagini pittoriche. Lars, non ho capito: i cacciatori di Bruegel per es., troppo coincidente con Solaris per essere un caso vero? E i libri con diverse opere… una strizzatina d’occhio a Sacrificio? Oppure? Perché Justine sostituisce Kandinsky e altri astrattisti con figurativi di grande intensità emotiva? Certamente è tutt’altro che depressione, ma non solo sospetto. Meriterebbe almeno cercare di ricordarli tutti… Per non parlare dell’ispirazione surrealista – e così evidentemente magrittiana in alcuni casi – dell’inizio.

Insomma… bravo Lars, hai toccato apici più elevati, ma rimani un grande.

P.s.
Vorrei tanto passare sotto silenzio gli evidenti errori di traduzione e la pronuncia anglosassone del pianeta! (sic! non solo per l’eventuale traduzione, ma perché, se proprio vogliamo, i nomi di pianeti e costellazioni storicamente vengono dal latino, e il nome scelto HA orgine latina: melancolìa, ragazzi, non melanchòlia

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Misoginio o misantropo? / 9 Novembre 2011 in Melancholia

Una delle tante accuse rivolte al cinema (e alla persona) di Lars Von Trier è quella di essere decisamente misogino. Per me è un colossale abbaglio; piuttosto è vero il contrario. Tranne “Elementi del crimine”, le donne sono sempre protagoniste assolute dei suoi film; agli uomini sono riservati ruoli di contorno, spesso insignificanti.
Le eroine di Von Trier combattono, mettendoci l’anima e il corpo, battaglie quasi sempre perse in partenza. Affrontano le situazioni a testa bassa, più con l’intuito che con la ragione (riservata agli uomini e quasi sempre ridicolizzata); non si arrendono mai, al contrario degli uomini che gettano la spugna, senza grande dignità (vedi John, il marito di Claire, gretto e pusillanime).
Justine è l’eroina indiscussa di Melancholia.
Personaggio un po’ misterioso, di cui non è ben chiaro il motivo del suo evidente “male di vivere”. Non si fa ingabbiare nelle pastoie di un rapporto matrimoniale imposto (che non si capisce bene perché abbia accettato prima) e in poche ore, con fare autodistruttivo, rompe tutti i legami della sua vita precedente. E, specchiandosi beata alla luce del nuovo pianeta, cresce nelle sue sicurezze, non si fa prendere dal panico, trova significati oscuri agli altri, capisce che è il male che governa l’universo, comprende che il mondo è corrotto e che una nemesi è necessaria.

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6 Novembre 2011 in Melancholia

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Questo era davvero un film bello. Era bello, esteticamente, in un modo che non ho bisogno di commentare perché basta vederlo, per comprendere. Era bello per gli occhi e per le orecchie.
E al contempo sembrava così vecchio, ripreso da qualcuno che si trovasse fisicamente lì, ad assistere a quelle vicende, e non tanto bravo con lo zoom.
Ma non c’era nessun “lì”, in questo film. Questo film era Justine.
Un personaggio così vero che mi sembrava di conoscerlo. Il film era un dipinto di Justine.. Tanto che mi veniva da pensare che fosse stata lei ad attirarè sulla Terra Melancholia, tanto forte era il suo desiderio di annientamento totale. Un desiderio così potente che non poteva risolversi col suicidio.. no, era la scomparsa totale di ogni forma di vita l’unico modo per far tornare l’universo a ciò che dovrebbe essere: una catena di eventi senza causa e senza scopo. Il tentativo dell’uomo di spiegare tutto con la scienza era talmente disperato, che la collisione con Melancholia giunge alla fine con la dolcezza di un’eutanasia. La vita non ha senso, non ha valore, non rispetto all’universo.. questo rende Justine così calma.
La consapevolezza del Nulla.
Sono rimasta senza fiato.

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1 Novembre 2011 in Melancholia

Buona prova di Von Trier, che dopo il pessimo “Antichrist” sforna un film intenso, splendidamente interpretato da Kirsten Dunst (premiata a Cannes) che rappresenta una sposa infelice, ma anche una specie di Cassandra e al tempo stesso è una personificazione del pianeta Melancholia. Il miglior ruolo della sua carriera; il suo sorriso aperto velato di tristezza diventa l’emblema dell’infelicità e il suo corpo pallido, immerso nella luce del pianeta della malinconia è una perfetta trasposizione del suo stato interiore. La sontuosa festa del matrimonio diventa il simbolo del consumismo, sciocco e disattento; un datore di lavoro che non ha altro interesse che il suo lavoro e che neppure nel momento delle nozze da tregua alla ragazza è niente più che un “Nulla”. Un padre rimbecillito da ragazzine con meno della metà dei suoi anni e una madre sciatta, odiosa e irritante non sono vicini alla protagonista. Solo la sorella (altra bella prova della Gainsobourg) in una qualche maniera sa rimanerle vicina.
Ed è a lei, alla sorella, che è dedicata la seconda parte del film. Per la prima volta i capitoli sono solo 2 e sono dedicati alle due sorelle, il cui rapporto è al centro del film. Quella che sembra debole in realtà nasconde una forza ed una sicurezza interiore derivatale probablmente dall’autocoscienza, l’altra, che sembrava una perfetta organizzatrice della sua vita e di quella degli altri da forti segnali di cedimento. Nell’inversione delle parti e nella ricerca di un rapporto, finalmente si incontrano, proprio come Melancholia e la Terra.
Un film ai livelli di “Dogville”, con un prologo splendido (anche quello di “Antichrist” lo era ed era l’unica cosa bella del film, a conferma che gli incipit di Von Trier sono perle rare) ed un cast superlativo.
Lascerà interdetti molti, ma a posteriori – e agli appassionati – piacerà.

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Bel film ma che angoscia ! / 18 Ottobre 2011 in Melancholia

Film girato molto bene e dalla prime scene ti fa venire un senso di angoscia che non ti lascia fino alla fine !

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