Recensione su L'amore bugiardo

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Balletto paranoico… / 2 Gennaio 2015 in L'amore bugiardo

Nel XI° secolo nulla è come sembra, viviamo ed agiamo in un mondo impazzito, cambiato tanto che stare al passo con il continuo cambiamento può diventare una vera e propria missione, una mania, un’ ossessiva ossessione, la realtà è ormai inscatolata, deformata e l’essere o non essere passa attraverso i Media. Il potente ritorno di David Fincher, regista dagli alti e bassi, è un feroce balletto, un’opera asciutta, secca, cattiva, easperata, un film che danzando fra i generi destabilizza, sconcerta e affila discorsi comuni a tutti noi. Fra il plot del classico noir, la satira sociale e un barocco excursus su un bizzarro, per usare un eufemismo, bugiardo, per l’appunto, rapporto matimoniale, Fincher si appropria di una storia palesemente irrealista per parlare di un mondo, di una società del tutto plasmata, completamente in funzione dei media, soggiogata dalla finzione, venduta al consenso popolare.
Amy e Nick vivono nel Missouri e sono una giovane coppia, bella e affiatata, hanno una bella casa e sembrano innamorati, una coppia che fa muro alle difficoltà facendo leva sul loro forte amore, eppure qualcosa và storto. La giovane scompare misteriosamente, un rapimento? Un omicidio? Il paese si mobilita insieme a Nick e alla famiglia di lei e alle forze dell’ordine, ma ben presto tutti i sospetti ricadono su di lui e la gogna mediatica formatasi intorno al caso, divenuto un seguitissimo argomento di cronaca, non aiuta.
“Gone Girl” parte quindi come il più classico dei noir, per poi srotolarsi pian piano in qualcosa di più complesso e conturbante, una vicenda ‘hitchcockiana’ dai risvolti sociali, umani e anche culturali alquanto agghiaccianti. Fincher parla della nostra attuale società, nulla di più, esagerando sicuramente, spingengo la sua visione ai limiti dell’inverosimile per mostrare il punto di non ritorno al quale stiamo andando in contro con il vento in poppa, eppure, il tutto, funziona fin troppo bene. Tutto è posato ma eccessivo, fastidioso ma affasciante e la sceneggiatura è incalzante, viaggia spedita verso una volutamente irreale conclusione “televisiva”, conclusione con un susseguirsi di giochi diabolici che non fanno altro che aiutare la neanche troppo sottile satira sociale insita nel plot. Il film è infatti carico di quella critica satirica sia verso il matrimonio (im)perfetto che verso lo spietato sciacallaggio televisivo di giornalisti e programmi da ‘Prime Time’ che tanto speculano sulle innumerevoli tragedie umane, familiari e non in nome del “Dio” share. “Gone Girl” non è altro, dunque, che un barocco, significativamente iperbolico, discorso sul nostro essere o non essere attuale, attreverso il quale è possibile filtrare tutti i tipi di rapporti umani, dall’amore all’odio, dalla gloria alla caduta, dalla fama, all’anonimato, sentimenti e stati contrastanti che hanno ormai la tragica esclusiva del consenso popolare, senza di quello non si è niente.
Glorificato da una livida fotografia di Jeff Cronenweth, che ne risalta la profonda cupezza narrativa, e da un’ottima, ferma, a tratti rigorosa regia di Fincher attento a sciogliere con accurata destrezza tutti i fili dell’ambiziosa sceneggiautra che, come già detto, viaggia su più binari, dal noir classico alla mordace satira grottesca, “Gone Girl” è un film da vedere, senza se e senza ma, un film che abbiamo il dovere di riconoscere ‘grande’ in quanto tale, significativo, imponente, un’opera che non dovrà piacere a tutti e a tutti i costi, come sarà, ma con la quale bisogna confrontarsi senza affrettarne conclusioni discutibili. Perfetta la coppia di protagonisti con uno spaesato Ben Affleck, mai così azzeccato in un ruolo, e da una bellissima Rosamund Pike nel ruolo della conturbante Amy, “Femme fatale” d’altri tempi, carica di ambiguità e sensualità, una sbocciata rosa piena di spine.
A voi, ragazzacci, prendete e godetene tutti e fatene buon uso. Grande, vorticoso, paranoico, cinema.

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