ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama
(Sei stelline e mezza)
Si tratta di un film altamente imperfetto, prolisso e, purtroppo, pensando e ripensando al finale, inconcludente.
Intrattiene, questo è vero e ciò è ovviamente gradevole: visto l’impianto narrativo del film, la platea è portata alla curiosità perpetua, al colpo di teatro definitivo, che, però, mai arriva davvero, nonostante la sequela di piccoli scarti (la parentesi nel motel, quella nella casa sul lago).
Ciò che non convince appieno è la palese “presa di parte” della sceneggiatura all’atto della caratterizzazione dei personaggi: complice un’algida, quasi robotica Rosamund Pike, Amy non risulta simpatica, non genera empatia neppure in veste di vittima e, in quanto villain della vicenda, non affascina mai, e a nulla contribuiscono gli accenni ad un’infanzia e ad un’adolescenza da “ragazza prodigio” manipolate da un ingombrante alter ego (assolutamente inconsistente, poi, il ritratto della sua famiglia upperside).
Carico di coppe: una certa mancanza di ambiguità in Nick (bietolone Ben Affleck) che suscita ben pochi dubbi nello spettatore (leggi: me).
Sono convinta che, per via di questo “errore”, il film soffra di un fondamentale ammanco: il gioco delle ombre e delle doppiezze entro cui dovrebbe muoversi Nick non gira mai come dovrebbe ed è in funzione della sua ambiguità (assente, appunto) che il film dovrebbe procedere.
È lampante, da subito, che Amy nasconda molto di sé, mentre Nick è lineare, paradossalmente quasi limpido.
C’è qualcosa che non va: preso atto della follia psicotica di Amy (pronta ad uccidersi, pur di distruggere il marito) manca il mistero.
Invero, ci sono alcuni indizi che fanno sorgere dei dubbi: quanto di ciò che Amy ha scritto nel diario è vero? Durante le indagini, Nick risponde ad alcune domande in merito, ma chi può smentire o confermare le sue parole? Benché il diario sia finto, è sorto in me il dubbio che i dettagli sulla relazione dei Dunne non siano poi tanto lontani dalla realtà, violenza fisica compresa.
Ebbene, credo che il film abbozzi solo questo sovrapporsi di livelli, disfacendo ottime premesse: Fincher ha, come dire, perso di vista l’obiettivo, limitandosi a descrivere il complicato progetto criminale di una donna folle.
La critica alla cultura massmediologica è interessante, ma -forse volutamente- sfiora l’involontario grottesco (la conduttrice tv che si accanisce su Nick è una vera e propria macchietta), rischiando di perdere ancora la partita su un ulteriore fronte, nonostante il “nobile” intento.
Tornando al finale, ho idea che, in fase di montaggio, sia andato perso qualcosa: come e perché il pubblico dovrebbe comprendere che Amy è rimasta incinta? Il figlio è di Nick, ma lui dice che, dacché lei è tornata a casa, non hanno avuto alcun rapporto fisico. La spiegazione fornita da Wikipedia suggerisce che Amy si sia recata nella clinica in cui Nick aveva depositato il proprio sperma, per farsi inseminare artificialmente. Eppure, non c’è una sola micragnosa sequenza in cui ciò si possa intuire (non so: Amy che sale in macchina, Amy che prende le chiavi ed esce di casa, ecc.). Vorrei leggere il romanzo da cui è tratto il film solo per capire se, come e perché questo dettaglio sia stato omesso .
Per concludere: trascorso un certo lasso di tempo, tanto da far spegnere i riflettori sulla vicenda e posto che Nick sia abbastanza cinico da decidere di non prendersi cura di suo figlio, perché non potrebbe lasciare Amy? Solo per non alimentare i pettegolezzi? Davvero la libertà personale può essere a tal punto condizionata?
Forse sì, ecco questo sì che sarebbe un interessante argomento di speculazione, ma Fincher lo butta lì, sprecandolo in un finale frettoloso ed incerto.
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