Recensione su Trainspotting

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7 Novembre 2013

Il surreale delirio visivo di Danny Boyle racconta questa storia barbara e abbruttita di una “sana tossicodipendenza”, di giovani rovinati dall’eroina e con l’alibi dell’anticonformismo.
Il tema di fondo è uno schifo, ovviamente, come tutto ciò che ha a che vedere con la dipendenza dalle droghe pesanti.
Ma nell’approccio descrittivo di Boyle (vedi l’insistenza sulla voce narrante), lo schifo risulta vagamente ammortizzato dal senso di immedesimazione (più o meno empatica) che il regista cerca di trasmettere all’osservatore.
E il risultato (visivo ma non solo) é indubbiamente interessante. Ci sono almeno tre scene che colpiscono profondamente:
– Mark che si tuffa in un cesso della “più lurida toilette di Scozia” (meravigliosa, in full HD) per recuperare due supposte d’oppio, come alla ricerca di una sorta di redenzione purificatrice;
– il tentativo di disintossicazione a casa dei genitori e il momento della crisi da astinenza (scena magistrale: quanto di più vicino al viverlo in prima persona, con l’immagine che bombarda, attraverso il nervo ottico, le medesime cellule cerebrali);
– l’overdose di Mark, portato in ospedale dentro un immaginario sarcofago rosso, sulle note di Perfect day del compianto Lou Reed. L’esperienza della morte, vissuta in pectore, di una camera ardente in progress ripresa in prima persona, e del ritorno alla vita.
Ma non sono le uniche scene degne di nota. Vi sono situazioni cariche di drammatica idiozia: su tutte, la morte del bebé (scena grottesca, non fosse che prima se ne erano giá viste di ogni) e il successivo buco espiativo.
I temi del tradimento, dell’educazione familiare, dell’utilitaristico abbraccio alla mediocritá e al conformismo. Dell’ipocrisia, delle dipendenze “altre” (il più schizzato di tutti alla fine é Begbie, quello che biasima pesantemente i tossici ma é sempre ubriaco come una spugna, alimentando in tal modo la sua innata psicolabilitá).
Del tempo che passa e di un cambio generazionale forse epocale, quello degli anni ’90 (“cambiano le droghe, cambia la musica”).
Sicuramente una regia importante, una colonna sonora super (da Lust for life alla Habanera della Carmen), una fotografia innovativa (l’uso del grandangolo che, con metafora visiva, deforma le persone e gli ambienti) e un montaggio impeccabile.
Sarebbe un quasi-capolavoro se non parlasse di un tema così visceralmente indigesto.

5 commenti

  1. alevenstre / 8 Novembre 2013

    Bellissima recensione @hartman
    Non so se hai letto il libro o conosci la tecnica narrativa di Welsh. Lui fa parlare i personaggi e ognuno da la propria versione degli avvenimenti. Lo fa praticamente in tutti i suoi libri e racconti. La genialità del regista secondo me è stata quella di accentrare tutto il punto di vista in un solo personaggio, rendendo il film più fluido e scorrevole. Poi ti volevo chiedere un’altra cosa, in “piccoli omicidi tra amici” (film precedente a questo) secondo te non ci sono alcune scene che come impatto visivo rimandano a Trainspotting? Lo stile è lo stesso, secondo me. Come d’altronde dovrebbe essere. Ciao

  2. hartman / 8 Novembre 2013

    Ciao @alevenstre. Purtroppo non ho visto il film di cui parli (ma penso che lo vedrò, a questo punto).
    E non ho letto nemmeno il libro, ma credo proprio che la genialità di alcuni dialoghi e di quasi tutti i monologhi sia merito suo.
    Poi Boyle ci mette del suo nell’originalità dell’impatto visivo, la parte che, nei libri, è lasciata all’immaginazione del lettore, e che a mio avviso (ripeto, non avendo però letto Welsh) è riuscita grandiosamente.

  3. alevenstre / 8 Novembre 2013

    Una piccola curiosità di cui credo sei già al corrente: hai presente la scena in cui lo spacciatore (Forrester) da la supposta di oppio a Renton? Bè nel libro è descritto come un personaggio orribile sotto tutti i punti di vista, mentre nel film chi lo interpreta? Nientepopodimeno che lo stesso Welsh..

    • hartman / 8 Novembre 2013

      Sapevo che era Welsh ma non di come apparisse nel libro. Dal film sembra un personaggio totalmente marginale, quasi solo un cameo regalato all’autore della storia..

  4. hartman / 17 Gennaio 2015

    aggiornamento: ho finalmente letto il libro e devo dire che nonostante quest’ultimo descriva meravigliosamente le singole scene (quella del bagno pubblico, per fare un esempio), il film è secondo me migliore da un punto di vista complessivo. Intanto la scelta di un’unica voce narrante aiuta parecchio, evitando la dispersività che si può riscontrare leggendo il romanzo. E poi, diciamocelo, Boyle ha fatto davvero un ottimo lavoro, aiutato, quello è vero, da una colonna sonora superlativa, che nei libri, ovviamente, manca e va soltanto immaginata.

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