Recensione su Margin Call

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Nè buoni, nè cattivi / 21 Maggio 2012 in Margin Call

La prima mezz’ora vorresti uscire, certo di essere incappato nell’ennesimo film popolato da esseri dagli occhi di ghiaccio, vecchi e imbolsiti, di quelli che godono solo nel fare soldi e non riescono a finire una frase senza aggiungere la parola “fuck!”. Poi capisci che l’intenzione del regista (J.C. Chandor) non è fare il verso alla realtà, questa è la realtà! Lo sottolinea l’estremo realismo delle riprese: i primi piani sulle rughe di Kevin Spacey, le uova strapazzate consumate in fretta, il silenzio inquietante di una New York vista sempre dall’alto, attraverso i vetri di una banca. L’istituto di credito non viene mai nominato, ma la vicenda è chiaramente ispirata al collasso economico della Lehman Brothers.

Nel 2008 un giovane impiegato scopre che i conti non tornano e lancia l’allarme. I capi sono preoccupati del crollo imminente, eppure nessuno di loro è in pericolo di vita, si tratta una sofferenza intangibile, inconsistente come il denaro che c’è ma non si vede mai. È lui il vero protagonista, nei discorsi, nelle cravatte costose, negli appartamenti di lusso. È una realtà di pochi, svenduta ai più sotto forma di sogni, o meglio di mutui.

“Margin call”, così è definita la telefonata che fanno i broker ai propri clienti per chiedere una sorta di deposito come garanzia, ma niente panico: potete vederlo anche se non capite nulla di economia. Del resto non ci capiscono niente nemmeno quelli che dovrebbero, almeno così ci racconta il film.

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