Recensione su Manhattan

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Woody Allen: una cosa per cui vale la pena di vivere. / 26 Giugno 2012 in Manhattan

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C’è un principio di perfezione assoluta, di tempi comici brillanti, di dialoghi estasianti, di prove attoriali di livello, alla base di quello che è ad oggi il miglior film di Woody Allen ed una delle migliori commedie della storia del cinema. C’è tutto l’Allen pensiero, filosofico e sessuale, laico e artistico, umano e magico, ci sono decine e decine di omaggi al cinema del passato, alla musica, alla bellezza dell’arte, c’è un inno all’amore puro e senza frontiere, c’è una lettera d’amore per una città amata e odiata allo stesso tempo. Ed è proprio da qui che si deve partire. Il film si apre con la celeberrima ‘parata’ attraverso la città di New York, tra luci e ombre in un bianco e nero che emozionante. La voce off dice ‘Capitolo primo: adorava New York. La idolatrava smisuratamente’. Basterebbero queste prime poche parole per riassumere l’effetto che la cittadina ha sul cinema e sull’arte di Allen. Allen che, nel film, interpreta Isaac Davis, ex autore televisivo che vuole scrivere il romanzo della vita, ma non trova l’ispirazione. Il film narra delle sue mirabolanti avventure amorose: dall’amore per una ragazza decisamente più giovane di lui, al rapporto con la ex moglie, a quello con la fidanzata di un suo amico. E’ un film d’amore, in cui si ride da matti, si piange. E’ un film che si ama incondizionatamente. Ormai è praticamente impossibile non conoscerlo, poiché il film è stato omaggiato varie volte da molto cinema, soprattutto indipendente americano, e per alcune scene di culto. Dai dialoghi con Mary(la miglior Diane Keaton alleniana, addirittura meglio che in quel capolavoro assoluto che è ‘Io e Annie’) su Ingmar Bergman, alla scena del licenziamento, alle passeggiate con Tracy, ai dialoghi sul matrimonio con il migliore amico del protagonista- Un film eterno, immenso, immancabile nella cineteca di ogni cinefilo o anche solo amante del grande schermo o della commedia americana. Probabilmente è in questo film che Woody Allen diventa veramente Woody Allen: dopo essersi abbandonato al cinema comico, e dopo la virata intellettuale e satirica del già citato ‘Io e Annie’, è grazie a questo film che finalmente può essere inserito nel vocabolario cinematografico il termine ‘alleniano’, per definire i personaggi molto intelligenti, insicuri e con una vita difficile, e per definire le donne un po’ strane, rese bellissime e quasi a livello divino. Allen introduce anche un altro concetto nel suo cinema, quello dell’autobiografismo(ispirato probabilmente a Federico Fellini): il personaggio di Ike Davis è quello in cui Allen mette di più del se stesso autentico e sembra che stia scrivendo il film della sua vita, poiché guardando ‘Manhattan’, sembra davvero di star guardando dentro il mondo di Woody Allen, dentro quello vero. E’ un film perfetto: c’è qualunque cosa, non manca assolutamente niente, gli attori sono tutti in forma smagliante, non solo la Keaton e Allen, ma anche Michael Murphy, il quale aveva già lavorato con Robert Altman, e anche Mariel Hemingway nel ruolo difficile della giovane Tracy. E’ anche un film tenero: indimenticabile l’arrivederci/addio finale tra Ike e Tracy, la quale gli chiede di aspettarlo sei mesi, e soprattutto la scena delle cose per cui vale la pena di vivere, la più famosa dell’intera pellicola e forse la prima cosa a cui si pensa quando si parla di Woody Allen e del suo cinema. Infine, per concludere, ‘Manhattan’ è una lettera d’amore poetica, filosofica, artistica e magica alle donne, ad una citta bellissima ed infine al cinema. Che sentitamente, nella sua carriera, ha ringraziato spesse volte Allen. Si sorvoli sullo scarso appiglio agli Oscar del film, quando nel 1979, con due nomination non riuscì a portarsi a casa nessuno dei premi. Premi che comunque sarebbero stati decisamente poca cosa, rispetto a quello che meriterebbe il film. E che forse il film ha raggiunto e/o raggiungerà: l’immortalità.

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