Recensione su La foresta dei pugnali volanti

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Un vento di libertà / 11 Gennaio 2015 in La foresta dei pugnali volanti

Nella perfetta cornice di una foresta non antropizzata, simbolo dell’impervia natura delle emozioni, sinuoso si snoda fra i suoi alti fusti, un desiderio, una passione, che poi sfocia in amore. Amore orfano di un’epoca di conflitti, che oltre a rimarcarne l’indole violenta, ne delinea anche l’immiserimento, in netta contrapposizione con l’amena rappresentazione dei suoi paesaggi.
Zhāng Yìmóu, da navigato poeta che si diletta a giocare con le immagini, crea un contesto nel quale il rimpianto è un vento pellegrino, che soffia perpetuo in ogni direzione, e non quella leggera brezza invisibile che decide di estinguersi per lambire il petalo di un fiore.
In questa pellicola, paradossalmente per quei tempi, si può evincere una forte caratterizzazione del personaggio femminile, sempre più improntato verso un tipo di archetipo non classico, che dona più colore all’ambiente di quanto la pregevole fotografia ( con le sue sgargianti tinte, e i suoi sfumati toni ) possa fare.
Più che sul genere “wuxiapian”, ci si deve soffermare sul velato messaggio che si cela dietro questo abito di poesia e di arcani silenzi. Un messaggio importante, perché indicativo di un sistema che ha corroso lo stesso concetto di amore.
Da un lato c’è quello inteso come possessione, che non può definirsi tale, rappresentato dall’odio, dalla gelosia, e da un monomaniaco desiderio di padronanza, che non può che tradursi in violenza. Dall’altro c’è la libertà, la giocosa brezza e il fiore selvaggio, che per quanto piccoli all’occhio del mondo, o classificabili come mere pedine in un disegno di potere, allo sguardo dell’amore si mutano in ali in grado di alzarsi in cielo, e sfuggire da ogni restrizione o limite. Un amore pronto al sacrificio, e alla perdita del più prezioso dei beni, la libertà.

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