Recensione su La donna che canta

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22 Dicembre 2012

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Spettacolo serale di venerdì, ore 19.25. Entro in sala dopo la mia bella giornata di sala studio. Sono palesemente la persona più giovane in sala.
Euh…. boh, vabbè, amen.
Uno legge “film canadese” e si figura una di quelle robe con la neve e le foglie e lo sciroppo d’acero. Perché il mio criterio è che quando decido di vedere un film al cinema poi, finché non lo vedo, non mi interessa sapere altro. Ecco, invece no.
Mi trovo di fronte a quest’epopea calda e polverosa quasi tutta ambientata sotto il sole e i proiettili del Libano, lungo molteplici traiettorie temporali che seguono in parallelo due o tre flash-back diversi; creando a volte un po’ di confusione e raccordando falsamente le scene di modo che a un certo punto ci si trova sfasati temporalmente rispetto alla scena prima, anche se il raccordo era cinematograficamente corretto.
Il film è bello inaspettatamente e un po’ pesante, la storia la racconto perché mi va e tanto non lo vedrete. Muore una donna, lasciando ai suoi due gemelli, lui e lei, una lettera a testa con dei compiti. Cioè consegnare due lettere, una al padre disperso, la seconda al fratello disperso. Lei è la prima a iniziare il viaggio alla ricerca delle sue origini, nugoli di flash-back la seguono e raccontano la storia della madre, anche nota come la donna che canta. La storia della madre è fiera e terribile, come terribili dovevano essere quasi tutte quelle del periodo delle rappresaglie e stragi tra musulmani e cristiani in Libano.. boh, non so, sempre, no, tra ’70 e ’80, credo. C’è di buono che lì si ammazzano sempre, non c’è timore di sbagliare di troppo.
La scena che vince sono i miliziani cristiani che crivellano a suon di mitra un autobus zeppo di musulmani, e lo fanno sul kalashnikov LA FIGURINA DELLA MADONNA; porche e maiale e troie tutte le religioni du munnu, e con le crociazze, dorate e tamarrissime, al collo. All’autobus in seguito danno pure fuoco con la benza, metti il caso che ne sia rimasto qualcuno che respira.
Per farla breve, finisce che scopriranno di essere nati da uno stupro subito dalla madre in carcere, quello era il padre. E il fratello? Beh, il fratello era stato rapito in un orfanotrofio durante la guerra, e cresciuto nell’odio. E sai dov’era finito? A fare l’aguzzino, aka stupratore, in quello stesso carcere.
UH O_O_O_O_O_O ma sticazzi!
É la stessa persona! (io e il vecchio pubblico in sala tutti a fare “uhhhhhhhhhh”). Anvedi ‘ste storie coj’arabi che stanno in Canada!

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