Probabilmente non lo rivedrò mai più, tuttavia non me la sento di dare una valutazione definitiva su questo film. Tirarne le fila non è facile, né, sopratutto, immediato. […]
E poi Cronenberg, di solito, non mi piace.
A parte Inseparabili – visto molti anni fa ma di cui, a prova del suo indubbio valore, mi è rimasta addosso ancora un’impressione molto forte e una fascinazione potente (tra l’altro, un’interpretazione mirabile di Jeremy Irons) – il resto normalmente non fa per me.
Comunque, Cosmopolis: (qualche pro)
– ha un intreccio curioso, originale, piuttosto oscuro a tratti, ma comunque attraente – in senso letterale: ti tiene lì, a guardare quello che succede e dove vuole andare a parare [delusione del finale compresa : David, non hai voluto scegliere, e ci passi la patata bollente? no a una fine scontata, da cliché; no a una fine sorprendente che avrebbe perso comunque potenza, perché tutto il film lo è; no a una fine in cui vince il potere – sebbene in panni ormai deteriorati… beh, facciamo che non ti dico dove, per questa non-scelta, ti avrebbe messo Dante ;-)]
– offre spesso scelte registiche e riprese interessanti: il contrasto rumore-silenzio, dentro-fuori, eleganza-trasandatezza, e sopratutto il punto di vista quasi sempre ribassato, insomma, una visione tipo “bara”, in particolare riguardo alla limousine, anche se di soffitti alti, cieli e grandi spazi se ne vedono ben pochi comunque a sottolineare (credo) il tema dell'”underground”, versione contemporanea del viaggio agli inferi di mitica memoria, e forse anche l’ineluttabilità di certe svolte, di certe azioni intraprese, che ci costringono e insieme ci si “stringono” sempre più addosso
– la sceneggiatura cerca di rompere gli schemi narrativi classici a favore dell’espressione (ipotizzo) del viaggio interno, psicologico, che non è mai lineare, anche se lo sembra (come l’apparente costante scivolare verso una meta della limousine)
– interessante la carrellata di personaggi così fortemente connotati, proprio come “apparizioni all’uopo”, figure della nostra psiche, parti di noi che esteriorizziamo per incontrarle quando serve (soprattutto in fase di revisioni, come quella che vive Packer), con tanto di uccisione – letterale – del Super-Io (il responsabile della sicurezza) per potersi permettere lo stato di abbandono/trasandatezza da un lato, e per, dall’altro, segnare inequivocabilmente la caduta del potere
Tuttavia (qualche contro)
– i dialoghi sono eccessivamente cervellotici e spesso privi di senso. Sospetto sia voluto, e faccia parte del ritratto del “vuoto pneumatico” di questa epoca in cui viviamo negli aspetti enfatizzati dal film. Ciò non toglie che se mi costringi a rivedere il film per essere sicura di aver colto tutto quello che c’era da cogliere (se c’era), caro David, violi una delle regole di fondo del cinema – e detto tra noi, poiché non parliamo di capolavori, non credo proprio di volerci stare. Certo, bisognerebbe conoscere il libro di De Lillo, ma dal film non mi è certo venuta la voglia di farlo.
– Eccesso di morbosità in alcuni passaggi, es.: l’ispezione del medico che dura… non so… qualcuno ha cronometrato? oppure, lo sparo sul palmo… mah! D’accordo, David, che tali eccessi sono una delle tue cifre, però ce n’è davvero sempre così bisogno? Non avevamo già capito cosa stava succedendo (nell’uno e nell’altro caso) a Packer?
Insomma… potendo, sarebbe stato meglio scrivere un commento a Inseparabili 😉
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