Recensione su In trance

/ 20136.0132 voti

6 Settembre 2013

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

E’ un progetto abortito, tipo Sunshine, ma Sunshine è visivamente molto più potente e affascinante. Il problema per me è proprio la costruzione del gioco di incastri che per un’ora si avvolge e si svolge come un gomitolo, lì complicandosi per nascondere e là rilasciando indizi per svelare.
E per un’ora ti viene anche da pensare “Ma chi se ne frega di questo tipo che ha dimenticato dove ha messo un quadro rubato?” il che non depone a favore per nulla fra richieste di sospensione di credulità al limite dell’assurdo (ma mica li avranno pagati gli ex guerriglieri di qualche landa ex sovietica gabbati da una automobilina elettrica?) e sgami giganteschi poco convincenti (lei inquadrata che piange subito subito). Film involuto che cerca una sua strada visiva e poco ci riesce a parte la bella fotografia virata sui toni blu, spinge sui vuoti (praticamente, a parte l’incipit, a Londra ci abitano 7 persone sette) che non è male come idea, l’isolamento dei personaggi potrebbe essere il riflesso del gigantesco sovrapporsi delle coscienze e subcoscienze di ognuno, ma in effetti a parte i tre protagonisti principali gli altri pochi sono appena abbozzati. La fragilità della sceneggiatura è macroscopica (tutti dietro ad una ipnotista, ma proprio tutti), non capisco neppure la voce off di lui che racconta/si racconta/ci racconta il meccanismo della sicurezza nelle aste d’arte.
Infine c’è il colpo di coda che rilegge tutto quello che è accaduto. Ma per avere un impatto deflagrante ci saremmo dovuti affezionare al piccolo fragile antieroe torturato, mentre la simpatia, tutta, va a Cassel, l’unico uomo maturo del il film, guidato da una etica criminale precisa e coerente e da uno spessore di maschio nella relazione triangolare che si viene a creare (McAvoy, infantile nella sua libido, non può che avere una patologia in amore). Poi c’è lei e mi va bene la freddezza del personaggio che anzi avrebbe dovuto essere accentuata, dopo tutto il suo cognome è già un suggerimento al ribaltamento dei ruoli, non ci si può chiamare agnello ed esserlo sul serio.
E lei certo non lascia nessuna scelta a McAvoy circa la sua possibilità di dimenticare o ricordare, mentre ha sicuramente un rapporto paritario con Cassel che chiama come attore del loro gioco di ricordi.
quello che mi è sembrato interessante è proprio il triangolo, relazione fallimentare con McAvoy che ha un profilo infantile (anche infantile è il rivestire la sua preferenza intima di una pennelata di cultura con la spiegazione del pelo/animalità che rivela appunto il contrario, lui è il più animale al livello del guardaspalle nero violentatore) e che va sulla patologia; reazione di lei, ferma, fredda, misurata; relazione con Cassel che è paritaria e matura nel sesso, nei dialoghi, nel fronteggiarsi (Cassel non sfugge e non ha paura del femminino di lei, le si mostra nudo integralmente, McAvoy per una settimana non sa cosa fare con lei), finale con lei che lo chiama a giocare, conoscendone la pericolosità criminale, ma sapendo di poter giocare

1 commento

  1. Stefania / 23 Marzo 2014

    Ho riflettuto più o meno sugli stessi punti, compreso il valore del cognome di lei, agnello camuffato. In particolare, mi ha colpito un dettaglio che hai valentemente sottolineato: la simpatia dello spettatore per Franck, il vero uomo della situazione, caratterizzato da una coerenza ben precisa, al contrario di Simon, infantile nelle reazioni e nelle pulsioni.

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