Recensione su The Whale

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Annaspando tra dolori e ricordi / 18 Marzo 2023 in The Whale

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Per cercare di dire la mia sull’ultimo lavoro di Darren Aronofsky, utilizzerò il medesimo sistema che il protagonista del film, Charlie, professore universitario di corsi online, consiglia ai propri studenti quando questi sono chiamati a valutare un’opera.
Un sistema che predilige un certo tipo di narrazione autentica, che affonda le sue radici nelle primigenie emozioni, e che non fa uso di particolari sofismi, né di elaborate o astruse parole.
Parole semplici, naturali, che nel film vanno a levigare gli ispidi tratti di quella che si può definire ”un’anatomia del suicidio”.
Del resto, sin dai primi minuti, da quando la telecamera si sofferma, quasi in un atto voyeuristico e beffardo sull’imponente figura del protagonista, in un suo momento privato, che poi sfocia subito in quello che si può definire il leitmotiv visivo dell’opera, ossia l’ostentazione del dolore, si può evincere l’intento del regista di utilizzare le parole come testimoni dei più veri e reali sentimenti.
Quando Thomas, falso missionario della New Life Church, irrompe nella stanza principale, che è a conti fatti l’intero palcoscenico dell’opera, e comincia a leggere un tema ( che solo più avanti scopriremo essere scritto da Ellie, figlia di Charlie ) incentrato sull’analisi del capolavoro di Herman Melville, Moby Dick; le parole fungono da linea guida nel cercare di veicolare gli spettatori, scaraventati inizialmente in una sorta di Grande Fratello, verso il significato più profondo della pellicola.
Ellie, nel tema, offre il suo particolare punto di vista, asserendo ( o scrivendo ) che tutte le descrizioni fatte da Ismaele sui capodogli siano solo un tentativo di mascherare il dolore, quello che inevitabilmente dovrà affrontare più avanti nell’epilogo, e di quanto la figura del capitano Achab, nella sua monomaniaca ossessione, sia triste.
Forse sarà solo il frutto di una mia sovranalisi, ma ho visto in queste parole la volontà del regista di celare un dolore con un altro dolore, di natura diversa, più personale.
Di mascherare, paradossalmente, la sofferenza intima con quella fisica, strumentalizzandola e portandola alla sua fase culminante.
D’altro canto la figura stessa del protagonista, il suo ottimismo, che va in antitesi con il realismo crudo dell’ex moglie, e al nichilismo della sua giovane figlia, non è propriamente positiva, in quanto in essa si possono riscontrare, oltre a un cieco egoismo dettato dall’amore che ha portato poi ad abbandonare la sua famiglia ( soprattutto Ellie ), anche una certa pavidità nell’affrontare i problemi, lasciando che la gioia del cibo compensasse momentaneamente le sue pene.
Il finale è costruito per dare appunto a Charlie, non il modo di redimersi; Il suo tentativo di ripagare materialmente la figlia col denaro, anche a costo della propria vita, non vale un suo ipotetico sforzo di curarsi e tentare di ricucire un rapporto andato, piuttosto è solo l’opportunità di rialzarsi, anche se solo per un attimo, e di scusarsi, sublimandosi nella contemplazione di un ricordo.

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