Recensione su Mortdecai

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21 Febbraio 2015

Il regista David Koepp, anche sceneggiatore di svariati blockbuster tra cui “Jurassic Park” (1993), “Mission: impossible” (1996) e “Spider-Man” (2002), cede ad una nuova collaborazione con Johnny Depp per “Mortdecai”, un’action comedy dal sapore tutto inglese (benché la produzione sia, invece, completamente hollywoodiana) tratta da un romanzo di Kyril Bonfiglioli. Koepp e Depp avevano già lavorato egregiamente su un’altra trasposizione letteraria, “Secret window”, nel 2004, da un racconto di Stephen King. Una sinergia che, nel caso di quest’affascinante aristocratico mercante d’arte (a dirla tutta, un bel po’ farabutto), collima con un guazzabuglio approssimato di errori stilistici difficili da perdonare.

Charlie Mortdecai, per la prima volta presentato al pubblico italiano sia nelle sale che nelle librerie (sottoforma di quel che di certo diventerà il prossimo best-seller da bancarella richiamante un po’ di fortuna al cinema), avrebbe tutte le carte in regola per avere successo sullo schermo: il suo è uno charme atipico e ironicamente goffo, e le sue imprese al limite dell’assurdo e dello scapestrato. L’ispirazione per il personaggio ammicca decisamente ai grandi comici della storia del cinema britannico, come Peter Sellers, Sid James, Bernard Cribbins e in particolar modo Terry Thomas, che per generazioni, con il suo caratteristico spazio tra i denti, ha calzato a pennello la rappresentazione del “borghese imbecille”. Ma niente di fatto. Purtroppo, e ormai è chiaro, Johnny Depp si è fossilizzato nella reiterazione del personaggio che più l’ha reso celebre e idolatrato, quello di Jack Sparrow: è imbarazzante come l’attore non faccia altro che imbattersi nel suo fantasma, plasmando i propri ruoli su un modello che incorre sempre più spesso nel cattivo gusto. Un talento che negli anni è andato via via sprecandosi, e che stavolta conferma la sua peggior interpretazione, dopo quella in “Alice in Wonderland” di Tim Burton.

Non va meglio al resto del cast, che dimostra altrettanta superficialità: da una Gwyneth Paltrow che di scialberia ne ha da vendere in quantità (memorabile esclusivamente in “Sliding doors” e “Sylvia”) a un Ewan McGregor che farebbe meglio a tralasciare i ruoli comici per quelli drammatici, per i quali è assai più adatto (un esempio calzante è “Perfect sense” del 2011, la sua miglior prova ad oggi). La storia, nondimeno, strizza l’occhio ad un tipo di humour British di una certa classe, con azioni fine a se stesse e condite con sprazzi di sesso e vomito a volontà, una scelta decisamente infantile e davvero poco divertente. Tra inseguimenti, furti e palpatine, l’unica reale motivazione di “Mortdecai” sembrerebbe quella di ostentare la fama dei suoi interpreti per propinare una risata forzata, più simile a un’irritante paresi. E pensare che quei ridicoli baffetti avrebbero dovuto essere la cosa più disgustosa!

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