Recensione su Il giovane favoloso

/ 20147.0341 voti

Brutto e fedele / 26 Marzo 2015 in Il giovane favoloso

Due generi di difetti si possono imputare al film di Martone: difetti dovuti alla modalità secondo cui il biopic è stato realizzato e difetti che non dipendono dal film medesimo ma che, dal contesto culturale in cui esso è stato prodotto, finiscono per incombere come zavorre inevitabili.

Al primo genere è ascrivibile quella piaga che, parafrasando Croce (il quale si riferiva alla pratica della traduzione), divide i film storici e le trasposizioni secondo la dicotomia brutti e fedeli/belli e infedeli. Purtroppo “Il giovane favoloso”, nel suo rigore filologico, appartiene alla prima categoria.
A questo vada aggiunto uno stile, narrativo e recitativo, improntato sull’esplicitazione, restio alla sfumatura, alla costruzione paziente di situazioni e stati d’animo, e tutto questo nonostante la durata del film, che avrebbe dovuto consentirlo. Il padre Monaldo non è un padre-padrone uscito da un film di Bergman, ma un kattivo scolpito col martello pneumatico. Allo stesso modo l’animo di Leopardi, pur nella complessità del suo tormento, risulta in ultima istanza non cesellato, ma abbozzato nei continui tic nervosi e nella goffaggine che sfiora più volte la parodia e la caricatura. È difficile mantenere un equilibrio tale da permettere di non valicare quella sottile linea che divide il pathos dal patetismo e Martone non sempre ci riesce.
A ciò contribuiscono le scene in cui il poeta recita i propri versi a se stesso che, se sono facilmente spiegabili con la necessità di far parlare in qualche modo la lettera scritta, risultano nondimeno eccessivamente artificiose.
Appare incomprensibile anche la scelta di sottolineare l’immagine con musica elettronica e cantato in inglese, con effetti di straniamento che forse, nelle intenzioni del regista, volevano creare un contrappunto originale, ma che di fatto generano soltanto strambe dissonanze fra gli arzigogolati dialoghi ottocenteschi, le immagini d’epoca, e le algide sonorità contemporanee.

Riguardo ai difetti derivati dal contesto socio-culturale odierno, si può dire che l’idea di realizzare una pellicola su un poeta con una sensibilità così anacronistica rispetto alla nostra (e forse per questo estremamente attuale nella sua conflittualità) potrebbe apparire alquanto coraggiosa. Tuttavia è innegabile che il medium cinema, in questo caso particolare, soffra dello sguardo smaliziato e tutt’altro che romantico con cui lo spettatore contemporaneo è abituato a osservare ciò che lo circonda. Il tormento interiore del protagonista, seppur sublimato nella riflessione filosofica e nella creazione poetica, non può che risultare stucchevole nella dimensione sociale, collettiva e manifesta dell’immagine proiettata in una sala cinematografica. Certi sentimenti, oggi, risultano affrontabili soltanto nell’intimità della lettura individuale, in cui il dialogo interiore con l’opera non teme la vergogna della pubblica esposizione.
Se c’è infatti un punto su cui l’esperienza di Leopardi invita a riflettere (riflessione che, come sempre, non può essere che riflessione sull’oggi e su di noi) è proprio questo: lo squarcio aperto tra la sua insistita, ostentata, intrepida e coraggiosa volontà di non abbassare lo sguardo di fronte alla parte oscura e infelice della vita e l’atto di rimozione che di quella stessa parte avviene nella nostra epoca, in cui il tabù culturale imposto su ciò che invariabilmente caratterizza in diversa misura la vita di tutti (l’infelicità, appunto), assieme al godimento obbligatorio, istituzionalizzato e a tempo pieno, nasconde soltanto lo stigma sociale e il bieco moralismo verso chi esibisce o non riesce a nascondere la propria angoscia.
Angoscia da cui peraltro, almeno nel caso di Leopardi, scaturisce un irrefrenabile e felicemente sovversivo desiderio di abbandonarsi alla vita.

3 commenti

  1. paolodelventosoest / 26 Marzo 2015

    Grazie e complimentoni per questa puntuale recensione. Avevo in mente di vedere questo film, devo ammettere che mi hai decisamente scoraggiato… non posso pensare a musiche elettroniche con un cantato in inglese, no dai, ma davvero arriviamo a questo?!

    • Socrates gone mad / 26 Marzo 2015

      La scelta musicale non mi scandalizza. Come avrai capito, in ambito estetico sono disposto ad accettare l’infedeltà se questa conduce alla bellezza, che poi si traduce in un genere differente di fedeltà, molto più prezioso. Per quanto mi riguarda Martone avrebbe potuto metterci anche i Cannibal Corpse, il fatto è che l’abbinamento, in questo caso specifico, non funziona.

  2. paolodelventosoest / 26 Marzo 2015

    No so, a me queste commistioni non piacciono per niente.

Lascia un commento