ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama
Quando leggi un libro come Fight Club, dubiti che qualcuno possa riuscire a portarlo sul grande schermo senza farti storcere il naso.
Beh, tanto di cappello a David Fincher che, nonostante tutto, non delude quasi mai.
Innanzitutto, premetto che la mia recensione è di parte, poiché mi ritrovo a parlare di uno dei miei film preferiti (tratto da uno dei miei libri preferiti), quindi perdonate l’euforia; quando si tratta di cose che mi piacciono molto tendo ad essere meno obiettiva del solito.
“Distruggeremo la civiltà per poter cavare qualcosa di meglio dal mondo.”
Fight Club è una critica. Critica la società del consumismo e del materialismo – come già in passato aveva fatto Marx (che ovviamente ha ispirato sia libro che film) paragonando la merce ed il denaro a dei feticci, degli oggetti di culto, degli idoli.
Il denaro è religione e ragione di vita. Il denaro ti consente di comprare oggetti inutili ma, al tempo stesso, essenziali per la sopravvivenza in una società materialista.
Spesso si dice che “il progresso è regresso”, e mai frase fu più vera se si osserva il tutto dal punto di vista di Tyler Durden, l’alter-ego del nostro protagonista, nonché l’emblema di Fight Club.
Insomma, lo stesso Durden attira a sé adepti che iniziano a pensare e a muoversi come lui. Il tutto passa per lo scantinato del Fight Club, culminando infine nel Progetto Mayhem (o Progetto Caos – nel libro) attuato dallo stesso gruppo di adepti – pronti a sacrificare la vita pur di portare scompiglio nella società moderna e ribellarsi allo stile di vita americano.
Quindi Tyler diventa leader, maestro ed esempio da seguire. Una specie di divinità agli occhi di questi uomini alienati ed oppressi.
Ovviamente, solo verso la fine scopriamo che Tyler non è altri che lo stesso protagonista, psicologicamente instabile e bipolare. A quel punto, il personaggio stesso tenta di distruggere il proprio alter-ego, ma è ormai troppo tardi poiché ha dato inizio a qualcosa di ampio e ben radicato, impossibile da frenare.
Ho trovato adorabile il personaggio di Marla Singer, inoltre – come trovo adorabili, in generale, tutti i personaggi femminili creati da Palahniuk ( a parte la Shannon McFarland di Invisible Monsters). Infatti, Palahniuk riprende un po’ il carattere di Marla con la Fertility Hollis di Survivor (la sua opera migliore, a mio parere).
In ogni caso, penso che questo sia uno di quei film difficili da dimenticare, una di quelle opere che ti segnano nel profondo. Ammetto che, la prima volta che mi sono ritrovata a fare i conti con film e romanzo, ero appena adolescente e, ahimé, io stessa ho considerato Tyler Durden un idolo ed un esempio da seguire (probabilmente non ho mai smesso), ma ‘tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare’.
Sono passati anni, ma più guardo questo film – più rileggo il libro – e più non riesco a smettere di pensare che sia assolutamente geniale, ed invidio quasi Palahniuk per aver scritto qualcosa di così ben architettato e costruito (così come invidio Burgess per Arancia Meccanica).
Ormai questo film è un cult, storia, così come il romanzo. Non posso fare altro che consigliare vivamente la visione e la lettura di quest’opera.
Non per niente Fight Club è stato inserito nella classifica “500 Greatest Movies of All Time” dell’Empire – al decimo posto – subito dopo Pulp Fiction.
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