Recensione su Departures

/ 20088.0221 voti

riflessione sulla vita o sulla morte / 8 Febbraio 2012 in Departures

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Dopo aver visto il film, tanti pensieri e tan te sensazioni che già in passato la mia mente aveva elaborato sono tornati alla mente… molti dei quali sono sempre stati li, pronti ad essere rievocati all’occasione e alcuni invece stavano nell’ombra senza dar sentore dell’esigenza di esser tolti dalla polvere.

Se dovessi dire cosa mi ha lasciato il film in rapida sintesi (cosa che, per chi mi conosce, mi riesce sempre molto complicata) mi verrebbe da dire che “buttiamo all’aria un sacco di tempo nelle nostre vite” e che come ho sentito in una canzone di Cesare Cremonini ieri alla radio “più mi convinco che il tarlo della vita è il nostro orgoglio” che se solo a volte riuscissimo a metter da parte permettendoci anche di accettare uno sbaglio con maggior serenità, forse, tante vite risulterebbero diverse.

Quando è caduto quel sasso, (dovete guardare il film per capire, così non mi si dirà che non stimolo J ) il riferimento a quel frammento del testo della canzone è stato immediato, così come la fortissima parte emozionale traboccata anche contro la mia volontà.

Interessante pensare a come siamo noi stessi i registi delle nostre vite e allo stesso tempo o non ce ne rendiamo conto o non vogliamo prenderci questa responsabilità cercando sempre qualche altro fattore, personaggio reale o mistico a cui affidare il destino della nostra storia che spesso è regolata più che da una nostra reale volontà dallo stesso “orgoglio”. Quanto siamo soggetti a schemi mentali rigidissimi che ci impediscono a causa della loro rigidità di prendere quelle che la nostra mente e il nostro cuore spesso ci comunicano come essere le nostre vere scelte?

Ho divagato ma il film tra tante altre cose mi ha lasciato questo… questo senso di domande su quanto in verità viviamo la nostra vita e su quanto invece viviamo quella che ci capita..

Tornando al film la storia narra le vicende di un ragazzo che insegue un sogno, quello di diventare “violoncellista” per un importante orchestra.. raggiunto il sogno finito il film? No, come ogni film che si rispetti questo sogno viene infranto e il ragazzo si ritrova a doversi costruire una vita nella quale quel sogno deve esser accantonato; si scoprirà poi che sarà accantonata solo l’idea pubblica di quel sogno ma il rapporto con il violoncello sarà più intimo e forse più profondo di quanto magari non lo sarebbe stato a notorietà acquisita.

Al suo fianco il personaggio di una moglie che incarna con estrema semplicità di gesti, di sguardi e di stile di vita gli occhi dell’amore, di quell’amore cosi semplice e puro senza colpi ad effetto, senza pubblicità e altri vari artifici dell’era della televisone, quell’amore figlio di una vita d’altri tempi e altri ritmi, dove il sentimento non si compra e non si vende, non si affitta ne pubblicizza; quell’amore cosi semplice da sembrare probabilmente ad un adolescente dei giorni nostri quasi innaturale, povero e frivolo ma che invece, secondo me, racchiude il segreto di quel sentimento e della vita stessa. Quel sorriso che solo quell’amore ti permette di avere.

Interessante inoltre riflettere su ciò che le persone delle famiglie degli scomparsi comunicano agli autori della preparazione per il viaggio al termine del loro lavoro… molto interessante capire come l’immagine, le gesta e quella sorte di rispetto silenzioso modifichi quello che è il loro pensiero di base.

Ho divagato ancora ma non è semplice scrivere con tutte le emozioni del film ancora presenti e con la mente che ripercorre scene e sensazioni come un rapidissimo forward di un videoregistratore.

Il ragazzo, dicevamo, deve ricostruirsi una vita e prova a farlo dando seguito ad un annuncio su un giornale dove, lui crede, si cerchi una sorta di guida turistica o di accompagnatore per dei viaggi…

La realtà è ovviamente diversa, si parla si di viaggi ma di viaggi particolari…al colloquio il titolare della ditta egli dirà “il viaggio”… non voglio svelare altro per paura di svelare troppo…

A far da contorno storie intricate del titolare stesso, un uomo di mezza età che non parla moltissimo ma che in ogni parola trasmette un senso di concretezza e saggezza tipica dell’immagine che diamo ai saggi orientali. Le parole senza contorni arrivano dirette e potenti al punto, l’impressione è che rendere più semplice il pensiero non vuol dire renderlo meno interessante.

Parla di un altro paio di “comparse” che poi forse cosi comparse non saranno come quella di un anziana signora rimasta vedova, che gestisce un bagno pubblico ed che è in costante conflitto con il figlio che vorrebbe vendere il locale per ricavarne non ricordo nemmeno che cosa. Anche in questo caso fa riflettere su quanto molto spesso il desiderio del potere legato al denaro ci impedisca di capire e di rispettare quei legami, valori e sentimenti che non monetizzano ma che hanno il potere di far correre la vita ad un livello di serenità e di appartenenza che nessuna moneta potrà mai comprare.

Infine, ma non per importanza, c’è il rapporto sepolto tra il protagonista e il padre dello stesso; proprio questo rapporto è lo stimolo principale dei ragionamenti di cui vi parlavo sopra.

La scena del sasso (citata anche in precedenza) è un messaggio molto forte che credo riguardi grosso modo ogni persona (anche se magari in circostanze diverse) e quello che è arrivato a me è che spesso le nostre convinzioni frutto magari proprio di quel orgoglio personale ci impediscono di valutare (non intendo giustificare ma capire) in maniera oggettiva certe situazioni e il non volerle rimetter in gioco è troppo spesso soltanto paura di dover ammetter a noi stessi un errore di valutazione oppure di voler rimettere in gioco quelle che sono le nostre certezze ma a mio avviso proprio le stesse, troppo spesso, ci impediscono di esser sereni con noi stessi prima che con gli altri.

In fin dei conti quella che oggi è una certezza potrebbe non esserlo domani tanto quanto quelli che noi siamo oggi potremmo non riconoscerci domani e di conseguenza quella certezza potrebbe venir messa in discussione dalla nuova persona e dai nuovi pensieri che ieri non c’erano…

Inoltre c’è il complesso ragionamento legato al concetto dell’evento della morte, qui però credo che ognuno di noi debba esser libero di prendersi un po’ di tempo e di fare le sue riflessioni senza nessun tipo di interferenza e interpretare il senso del film secondo quelli che sono i canoni del suo pensiero.

Alla fine credo che di spunti di riflessione ce ne siano parecchi.. il film non scorre velocissimo ma credo che questa parte dell’opinione sia soltanto figlia della mia cultura e quindi del mio modo di vedere e vivere “europeo” e del concetto di tempo legato alla stessa struttura di interpretazione.

La primissima parte a tratti è anche divertente mentre il resto credo lo si possa ritenere fedele allo stile zen orientale. Ritengo che sia un film da vedere mantenendo chiara questa premessa.. dovete avere l’umore giusto o la curiosità giusta per vederlo perché altrimenti penso che possa non arrivarvi nel modo che credo meriti.

Lascia un commento