Recensione su I segreti di Osage County

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I segreti di Osage County
Regia:

La colpa e il castigo / 5 Febbraio 2014 in I segreti di Osage County

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Le colpe dei padri ricadono sui figli?
Una domanda che mi giunge direttamente dalle mie reminiscenze di letteratura greca del liceo, e che si è affacciata alla mia mente durante la visione del film.
La famiglia Weston è una famiglia da piena tragedia greca, con tanto di concetto di colpa originaria e castigo che sembra preso direttamente dalle opere di Eschilo e trapiantato di sana pianta nel polveroso Oklahoma.
Violet Weston, matriarca atipica ma davvero “potente”, interpretata da un’eccezionale, a dir poc,o Meryl Streep (Oscar is in the air…again!), è una donna anziana, malata di tumore alla bocca e affetta da una pesantissima dipendenza da diversi tipi di psicofarmaci.
A ciò si aggiunga che la simpatica vecchina è quanto mai gretta, brutalmente diretta e anaffettiva, oltre che morbosamente attaccata al denaro e incorreggibilmente egocentrica.
L’evento scatenante della storia è la scomparsa del marito di Violet, Beverly, che spinge la figlia Ivy ad indire una riunione di famiglia per ritrovarlo. Si scoprirà che si è suicidato.
E così si ritrovano letteralmente sotto lo stesso tetto, per la prima volta dopo molto tempo, le sorelle Weston (Ivy, Barbara e Caren) con rispettivi fidanzati/mariti e prole, la sorella di Violet, Mattie Fae, suo marito Charlie e suo figlio Little Charles.
Quello che ci troviamo di fronte è un quadro familiare assolutamente disfunzionale, in cui i contrasti sono atavici e radicati e basta guardare sotto il primo sottile strato di polvere per scoprire che non si sono mai del tutto sopiti.
Se Violet è una madre carente sotto ogni punto di vista, lucida solo per metà giornata e delirante per il resto, le figlie presentano ognuna una sua personale forma di alienazione.
Barbara, interpretata a dire il vero in modo abbastanza inespressivo da Julia Roberts, è una donna emotivamente indisponibile, dura, chiusa agli altri, che vive un matrimonio al capolinea ed un difficile rapporto con la figlia, e che soffre in modo molto profondo la figura materna.
Ivy, l’unica rimasta a vivere con i genitori, è una donna mite, gentile, profondamente repressa. E’ segretamente (ma neanche troppo) innamorata del cugino Little Charles e progetta di partire con lui per New York.
Caren, infine, è una donna superficiale, sospesa in una versione edulcorata della realtà,con tanto di fidanzato affascinante e ferrari – munito, nella quale si è imposta di vivere per evadere dal pesante menàge familiare.
Tre donne infelici. Ma di chi è la colpa di questa infelicità? E soprattutto, c’è scampo da questa condizione?
Qui entra in gioco il concetto di colpa tipico della tragedia greca, per cui le colpe dei padri ricadono sui figli e si trasmettono, come un virus, a tutta la stirpe, infettandone i singoli componenti in modo inesorabile.
Violet e Mattie Fae erano state cresciute da una madre psicopatica e da un patrigno violento, solito carezzarle con un martello, e, dunque, erano portatrici di una colpa genitoriale pesante, che si era riversata sulle loro esistenze, trasformandole in due donne profondamente anaffettive, incapaci di mostrare amore e cura per gli altri.
Ma il viaggio della colpa è inesorabile, e così anche i loro figli ne sono stati contagiati, trovandosi condannati a vivere esistenze infelici.
Barbara si specchia e vede il riflesso più giovane della madre, ha allontanato un marito innamorato e si rivolge alla figlia proprio come Violet fa con il resto del mondo, in modo perentorio e tagliente.
Ivy è del tutto annichilita, pronta a continuare la propria relazione con quello che scoprirà essere il fratello e non il cugino (epica la battuta di Violet, che, dopo averglielo svelato con una nochalance memorabile, si giustifica dicendo che “doveva saperlo casomai un giorno le servisse un rene”…) pur di evadere da quel contesto, di allontanarsi dalla madre e dalla sua infelicità.
Caren è del tutto fuori dalla realtà, preferirà andare via con il suo fidanzato, “simpatico” molestatore della tredicenne figlia di Barbara, e avviarsi verso un matrimonio e un tanto agognato viaggio di nozze in Belize, piuttosto che accettare la realtà.
Little Charles, infine, è così intimidito dalla figura materna da sembrare quasi un bambino sperduto, tenuto insieme solo dalle attenzioni del padre, ma sempre sull’orlo di un incombente disfacimento psicologico.
Al centro di questo micro cosmo di infelicità si posiziona Violet, lucido e spietato giudice delle altrui azioni, sempre una spanna avanti a tutti nonostante le sue dipendenze, sempre pronta a rendere le sue implacabili sentenze.
La “colpa” degli antenati recenti si trasmette a macchia d’olio, inesorabile, e semina alienazione e infelicità.
C’è una reale via di fuga?
Forse sì, forse no. La risposta non è chiara.
Se due delle tre sorelle sceglieranno una fuga sia fisica che mentale, Barbara, intravisto lo spettro di una vita come quella della madre, lontana da tutti, anche dalle persone vicine, sola con i suoi demoni, dopo una sfinita ammissione nei confronti della “forza” preponderante di Violet, coronata da un abbraccio che sa di resa, prende la sua strada, sale in macchina e viaggia verso non si sa dove, probabilmente verso casa, ma lontano da lì.
Violet resta sola con la domestica, abbandonata alla sua lucida follia, prigioniera di una colpa che le regala giornalmente il suo castigo, rendendola avida, indurita e incapace di amare.
Nel complesso il film è molto interessante e ci regala delle buone interpretazioni di un ottimo cast corale.
Meryl Streep è assolutamente in stato di grazia, più brava e convincente che mai, superbamente odiosa e disturbante.
A convincermi davvero poco, invece, è stata l’interpretazione di Julia Roberts, assolutamente piatta e mono espressiva, a discapito di una storia fatta di intime riflessioni, di momenti di auto consapevolezza, che difficilmente può essere resa se non con un’interpretazione “potente”, capace di esprimere più che di dire, di mostrare.
L’interpretazione della Roberts ricade purtroppo sulla godibilità del film, perchè, non rendendo chiara la svolta interiore del suo personaggio, non permette allo spettatore di cogliere un punto fondamentale della storia, così lasciandolo interdetto nel finale.
Peccato.
Nel complesso comunque mi è piaciuto, anche se poteva essere di più e di meglio, ma già solo Meryl Streep vale la visione.

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