Recensione su La talpa

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24 Gennaio 2012

Alfredson gira però davvero bene, con movimenti di macchina morbidi e continui che catturano una atmosfera sospesa, parallela, ovattata. Questo film è un residuo della memoria, la cortina di ferro non c’è più, il gioco di spie ricorda un mondo ordinato comunque, anche nella moltiplicazione dei livelli di infiltrazione e tradimento, dove le pedine si muovono entro un perimetro ben definito e si fronteggiano due schieramenti identificabili con facilità. Per questo la metafora degli scacchi è perfetta. Si diceva che è un film sulla solitudine scelta da tutti i protagonisti una volta abbracciata la logica della spia, eppure tutti hanno o cercano di avere una vita privata, ma nello sciogliersi della storia ognuno è chiamato a scelte che lo schiacciano in un isolamento quasi totale. Ho apprezzato molto la decisione di annullare alcuni visi, profili che sono evocati solamente, alcuni addirittura sono ricordi, tanto che si insinua il dubbio che non esistano, che siano solo creazioni necessarie al gioco stesso dello spionaggio, come se i nostri eroi non siano che folli che rincorrono fantasmi. Ed è un giudizio storico e politico molto forte su quella che è stata la guerra fredda, qualcosa di separato dalla vita reale che ha finito per autoalimentarsi attraverso un meccanismo perverso di autogiustificazione in cui il nemico è necessario per non far crollare l’intera impalcatura. In fondo nel film mai si parla di difendere qualcosa di concreto, ma c’è una struttura creata ad hoc che spia un’altra struttura e così via in un gioco in cui si cerca di far tradire qualcuno per acquisire informazioni mai ben definite. Lo stuolo di attori chiamati a dare corpo alla rincorsa dell’infiltrato è bravissimo, bella la citazione dell’assassinio di Marat per la morte di Controllo.

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