Recensione su Melancholia

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Appunti per una recensione che, passato il forte senso di impressione ancora presente, forse scriverò / 5 Dicembre 2011 in Melancholia

Un film intenso, che lascia strascichi profondi. Un film immaginativamenteestremamente curato, dalla forte potenza espressiva ed evocativa. Tuttavia…

C’è un tuttavia che impedisce di inserirlo nella rosa dei migliori film di Lars, a mio parere: la prima parte dedicata a Justine si apprezza e si comprende solo grazie alla seconda parte, e non un istante prima. Una lunga attesa, vista la pressione emotiva a cui il film sottopone – anche se ne vale decisamente la pena.

Tra la Dunst e la Gainsbourg la seconda è dieci volte meglio nella recitazione e nell’intensità espressiva.

Lungo sarebbe il discorso da fare sulla Melancholia, riduttivamente e erroneamente sovrapposta alla depressione. Chi la conosce sa che sono due sentimenti del tutto diversi, e la prima ha un calore passionale sebbene ombroso, sebbene relegato in profondità inavvicinabili, incondivisibili, incomunicabili che alla prima manca del tutto. Justine è malata di Melancholia, o non avrebbe la passione per una quasi-masturbazionealla luce del pianeta, o l’affetto per guidare il bambino alla morte con tanta sottile comprensione della psicologia ed emotività infantile, o non farebbe sogni così “estetici”… ecc. ecc.

Certamente varrebbe soffermarsi sulle assurdità di critica e dintorni che sono state sollevate intorno al film e a Lars – giusto il tempo per definirle inutile spazzatura che ancora una volta lascia vedere con chiarezza il livello di profondità e competenza che viene usato per affrontare un fenomeno – il cinema d’autore – che è certamente e prima di tutto una forma d’arte espressiva.

Mai visto un film che preannuncia una catastrofe così totale più poetico di questo. Spietato come solo la poesia può esserlo, perché non ci sono interpretazioni possibili, perché non si può divagare, perché non si può dirlo in un altro modo, più edulcorato… Quello che spazza via, oltre all’umanità gretta e ipocrita, sono decenni di (ben altro) cinema.

Non ho ancora risolto il quesito sull’uso delle immagini pittoriche. Lars, non ho capito: i cacciatori di Bruegel per es., troppo coincidente con Solaris per essere un caso vero? E i libri con diverse opere… una strizzatina d’occhio a Sacrificio? Oppure? Perché Justine sostituisce Kandinsky e altri astrattisti con figurativi di grande intensità emotiva? Certamente è tutt’altro che depressione, ma non solo sospetto. Meriterebbe almeno cercare di ricordarli tutti… Per non parlare dell’ispirazione surrealista – e così evidentemente magrittiana in alcuni casi – dell’inizio.

Insomma… bravo Lars, hai toccato apici più elevati, ma rimani un grande.

P.s.
Vorrei tanto passare sotto silenzio gli evidenti errori di traduzione e la pronuncia anglosassone del pianeta! (sic! non solo per l’eventuale traduzione, ma perché, se proprio vogliamo, i nomi di pianeti e costellazioni storicamente vengono dal latino, e il nome scelto HA orgine latina: melancolìa, ragazzi, non melanchòlia

9 commenti

  1. mandelbrot / 31 Dicembre 2011

    Questa tua recensione mi ha aiutato a cogliere il sottile omaggio a Solaris che fa Von Trier. Mi riferisco al dipinto di Breugel. Impossibile che sia un caso. In fin dei conti ambedue i pianeti hanno un’influenza sulla psiche dei protagonisti.

  2. wigelinda / 5 Gennaio 2012

    Sì hai ragione; interessante questa tua associazione sull’influenza dei pianeti… e bisognerebbe decidersi a “leggere” sul serio l’opera di Brueghel e il senso emergerebbe da sé. In verità anche per la sequenza dei libri d’arte sono davvero convinta che ci sia il richiamo a Sacrificio. Là, Alexander, alla fine della sequenza diceva: “Non sappiamo più pregare”. Credo che nella dimensione (apparentemente) distruttiva di Justine ci sia invece un messaggio di trascendenza. La speranza – o la sua mancanza – non c’entra con il senso del sacro… e del “sacri-ficio” appunto. Mi sa che – sigh sigh – tocca proprio aspettare il DVD per poter rivedere bene quali sono i dipinti mostrati… certo, non mi sembra proprio che Lars (come Tarkosvkij) sia uno che “butta lì a caso” 🙂

  3. mandelbrot / 6 Gennaio 2012

    Non conosco Sacrificio. Ho cominciato da poco a vedere la produzione di Tarkoskij grazie anche alla tua lista di film e ai tuoi giudizi, che leggo sempre con grande interesse. A questo punto però non posso che suggerirti, ripagandoti con la stessa moneta, la visione del film nel quale vedo punti di contatto sia con Melancholia, sia soprattutto con il Tarkovskij dello Specchio: the Tree of Life, che a quanto pare ancora ti manca.

  4. wigelinda / 2 Marzo 2012

    Finalmente ce l’ho fatta! A vedere Tree of Life, intendo, ma mi sa che quello che ho da dire non sarà tanto carino 🙂 Vado a scriverlo in sede apposita 🙂 Mi dirai cosa pensi poi di Tarkovskij, magari.

  5. mandelbrot / 2 Marzo 2012

    Come si dice in questi casi, de gustibus…. Abbiamo evidentemente diversi parametri interpretativi. Generalmente metto al primo posto il portato di sperimentazione formale e strutturale del prodotto artistico, la capacità di rompere con le convenzioni, con il già visto, con gli schematismi archetipici o normativi tanto più accettabili e vendibili quanto più sterili. Suscitano in particolare il mio interesse quei film che tendono a superare i piani della realtà per toccare i piani della non realtà, mi riferisco soprattutto all’astrazione più che all’inconscio. Sono attratto dai meccanismi della narrazione più che dai contenuti razionali ed emotivi. Diffido dalle opere che perseguono ricattatoriamente l’identificazione dello spettatore. Sono proprio questi i motivi per cui amo Tarkosky, tranne quando fa la brutta copia di se stesso, diventando ripetitivo e goffo. E, ti sorprenderà, sono gli stessi motivi per cui ho amato il film di Malick.

  6. wigelinda / 2 Marzo 2012

    Beh se apprezzi le sperimentazioni formali ti piacerà certamente Greenaway. E’ un regista che amo molto proprio perché ha saputo rompere spesso gli schemi e i codici visivi e narrativi… The Prospero’s Book è un esempio senza pari. Devo dire, anzi, che sono rimasta indietro rispetto ai suoi ultimi lavori e ne ho giusto uno lì nel cassetto da vedere, spero presto 🙂 Del resto, lo stesso Lars, in calce al quale stiamo scrivendo, ha provato spesso a cercare strade diverse, sotto un aspetto o un altro. Sono curiosa rispetto alla tua affermazione su Tarkovskij che fa la copia di se stesso, ti riferisci a un film in particolare o a porzioni? Riguardo a Malick, no che non mi sorprende, i criteri che descrivi si adattano perfettamente a The Tree of Life 🙂 per quanto mi riguarda ho già espresso quello che penso… come dici tu, succede che si abbiano gusti diversi, no ;-)?

  7. mandelbrot / 3 Marzo 2012

    Infatti Greenaway è un regista che devo approfondire. Ho visto solo un suo film, Il ventre dell’architetto. Però ho l’impressione che ecceda in barocchismi e ridondanze. Su Tarkoskij i film che reputo deludenti, rispetto alle punte del sublime che ha raggiunto prima, sono gli ultimi due, quello italiano e quello svedese. Quello italiano in particolare. Mi sembra un autore stanco, privo di idee nuove, costretto a fare un film. In questi casi capita di fare la copia di se stessi. Non sembra più un film di Tarkoskij, ma un film alla maniera di Tarkoskij. In particolare ci sono due scene che trovo addirittura irritanti, per la gratuità dei tempi dilatati e una retorica che in precedenza aveva sempre accuratamente evitato: il suicidio per autocombustione del matto e l’attraversamento della piscina con accasciamento finale del protagonista.

  8. wigelinda / 3 Marzo 2012

    Definire Greenaway barocco è assolutamente pertinente! 😀 In effetti abbonda e decora, spesso e volentieri, nei codici visivi, musicali e narrativi, tuttavia a mio parere ha una maestria rara, e guarda un po’, anche lui è uno di quelli che ruba a man bassa dall’arte, e lo fa bene, oltre ad aver una raffinatezza compositiva e di scelte stilistiche rara. Il ventre dell’architetto a me è piaciuto molto, e anche più di altri, ma è il meno apprezzato di solito tra i suoi. Ammetto che la mia preferenza andava anche al tema: questa sovrapposizione tra Kracklite, la sua trasformazione progressiva, e i ventri delle statue… Ma L’ultima tempesta ha quella “innovazione” che ci [mi permetti il plurale? ;-)] piace. Certo forse oggi sorprende meno, era il 1991, e non voglio toglierti il gusto di scoprirlo se lo farai, ma diciamo che ha “frantumato” il senso stesso del termine “sequenza”, dell’uso dello spazio, del racconto, un po’ come – se mi passi l’azzardo – i cubisti ai tempi dell’impressionismo… sembra più di vivere un sogno che vedere un film in senso classico… e chissà forse Shakespeare avrebbe apprezzato 🙂 … Ma (anche) di Greenaway parlerei per ore – e qui non si può fare 🙂 Per tornare a Tarkovskij, ti dò ragione, se l’italiano è Nostalghia e lo svedese Sacrificio. Sacrificio non mi piacque ai tempi, lo trovai forzato, permeato di un senso di sconfitta, di un abbandono alla lotta per il “senso” di cui trasudavano Solaris e Stalker, era, vorrei dire esagerato, e hai ragione quasi “posticcio” nell’uso di certi modelli visivi e di contenuto. Nostalghia è noioso, diciamolo, lo salvo solo per un’unica grandiosa scena, isolata per certi versi perfino dal contesto in cui è inserita. Ma lì, in quella scena, Tarkovskij, con la sua comprensione profonda e la sua poesia visiva, c’era in toto: mi riferisco a quella del rito (sacro e profano insieme) delle donne davanti alla Madonna del Parto di Piero della Francesca a Monterchi… Straordinaria potenza di significato, in un’organizzazione tra i diversi codici che è una vera sinfonia. EhEh, che vuoi, apprezzamenti da “passionali puri”! 🙂

  9. mandelbrot / 3 Marzo 2012

    Colmerò quanto prima le mie lacune su Greenaway, considerata la curiosità che mi viene dopo le tue parole a proposito de L’ultima tempesta. Hai colto in pieno le caratteristiche che per me dovrebbe avere il film capolavoro. Sulla scena che ha per sfondo la Madonna del Parto, cui facevi riferimento, mi trovi abbastanza concorde. E’ una scena che ha destato anche in me lo stesso interesse del Tarkoskij “migliore”, una specie di canto del cigno, una buona premessa per uno sviluppo invece quasi scollegato dalla premessa stessa.

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