Recensione su The Wolf of Wall Street

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29 Gennaio 2014

Martin Scorsese, tra i “vecchi” registi glorie di fine ‘900, è forse quello che maggiormente proietta il proprio sguardo nella contemporaneità, ponendosi più di una volta il problema del “riprodurre ora”, in questo tempo, con spunti riguardo alla direzione che prenderà il cinema negli anni a venire. La sua preoccupazione (non intesa come perplessità, ma come voglia di approfondire) traspare in molte delle opere che lo riguardano, anche non filmiche, come la biografia-intervista “Scorsese on Scorsese” o il più banale articoletto su l’Espresso di qualche settimana fa indirizzato ai posteri. Ma soprattutto lo si vide con Hugo Cabret, prima impresa in 3D spassionatamente e romanticamente cinefila del regista italo-americano.

Jordan Belfort è un ragazzo con il sogno americano addosso, o almeno quello che ne rimane dopo il turpiloquio capitalista dell’America di fine anni ’80. Entrato a Wall Street come apprendista broker, entra nelle grazie di Mark Hanna che gli insegna la lucidità della cocaina e la potenza del dollaro, nonché il principio fondante dell’intero mestiere: fregarsene. Distrutto al primo giorno da broker per un mezzo disastro in borsa decide di ripartire dal basso, per poi fondare quella che sarebbe stata la celeberrima Stratton Oakmont, società di quotazioni in borsa dove regna il sesso, la droga e il bigliettone verde.

Di Caprio veste i panni dell’ennesimo pezzo di pazzia umana ritratto da Scorsese, qui spinto agli eccessi visivi che ritrovano eguali solo in Taxi Driver (con le dovute proporzioni temporali), e forse perpetuando ancora più a fondo nel delirio, in maniera grottesca e anti-moralistica. Non è prettamente una storia biografica, nonostante il film sia basato sul libro scritto dallo stesso Belfort, ma più (come già da tempo ci ha abituato Scorsese) una parabola umana, concretizzata in commedia nera, dal grottesco talmente marcato da apparire spassoso; più di una volta si ride, e lo si fa talmente con gusto che tra i film comici degli ultimi anni potrebbe apparire come capolista, ma per quale motivo si ride? Non ci viene spiegato, o almeno non fino alle battute finali.
Il compendio orrorifico di sballo ai limiti del collasso cardiocircolatorio, di sesso promiscuo, la perdita totale di termini di paragone (negati allo stesso spettatore, se non fosse per l’agente dell’FBI, astutamente infilato a promuovere un confronto nella scena cardine sullo yatch) fanno del film un vero full immersion nello sbando, tirando in ballo (subliminalmente, fino al finale) la coscienza dello spettatore, bombardato inconsciamente perchè con umorismo. Come già detto, è la parabola delle tre ore a essere il vero fulcro, che si rifà senza obiezioni al capitalismo cieco, sfrenato. Ecco che risultano quantomai simboliche le scelte registiche, tra macro sulle pasticche di quaaludes e rallenty del delirio che ne enfatizza lo stato di benessere, oltre alla sapienza della cura delle immagini. Ed ecco il picco massimo, nella riunione in cui Belfort si sarebbe dovuto ritirare, esordisce con un “essere ricchi ti rende un uomo migliore”, non c’è niente di bello nell’esser poveri, e il sogno americano raggiunge il culmine dell’imbarazzo, e l’uomo ricco e ancora delirante diventa super eroe buttandosi nel vuoto, sicuro di poter anche volare oramai. Ciò che ne consegue è il grandissimo mestiere di Scorsese di trattare la storia, scardinandola nei meccanismi tra i vari personaggi, e approfondendone realmente le indoli ben delineate davanti ad una giustizia che terrorizza.
Il finale della storia siamo noi, confusi tra la folla, ad aspettar di vendere la penna al genio della finanza. Il finale della parabola siamo noi che fissiamo la folla incantata, assuefatta e complice del sogno capitalista.

Colonna sonora eclatante come il film, fotografia impeccabile, chiara e precisa come le giacche del protagonista, montaggio adrenalinico, perfetto nei tempi.
Se c’è una critica che possiamo muovere al film è l’indagare su un tema scomodo in tempi tutt’altro che sospetti, dove il consumismo è già stato portato alla gogna svariate volte, e le coscienze pian piano si risvegliano, ma si sa, l’America è l’America.

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