Recensione su La notte del giudizio

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14 Agosto 2013

Distopia del domani. Il film è ambientato nel 2022, il presente prossimo, e segue, e ricorda, la denuncia e la costruzione drammaturgica contenute ne La zona, il film messicano sulle aberrazioni delle divisioni di classe e sui margini di libertà penale che i ricchi si possono comprare. La rifondazione degli stati uniti prevede ricchezza, annullamento della disoccupazione e della criminalità attraverso la concentrazione in 12 ore all’anno (una notte intera) della possibilità di sfogare gli istinti violenti senza limiti o quasi. Intelligente l’idea che manifesta la denuncia classista di uno spazio di libertà votata all’uccisione che “naturalmente” si svolge secondo i canoni consueti del ricco che ha i mezzi per proteggersi e del povero che diviene vittima inerme, ma che si ammanta di quella pennellata fideistica propria della religione laica yankee (la vittima ha un ruolo che è quello del capro espiatorio volto alla purificazione dell’istinto del carnefice; i cittadini assecondano il sistema tra una accondiscendenza razionale e l’adesione quasi religiosa). Quindi da un lato lo “sfogo” è un meccanismo per produrre reddito e ricchezza (armi, sistemi di sicurezza, creazione di posti di lavoro tramite l’eliminazione fisica di chi li occupa e la riduzione di quelle sacche di persone che appesantiscono lo stato sociale, non per nulla il protagonista crede nel sistema perché lo ha fatto ricco) e esplicita la gerarchia classista della società americana, dall’altro risponde al fanatismo religioso come mezzo di controllo della popolazione.
Il nucleo esplosivo è contenuto nella famiglia tipo in cui il padre è votato all’arricchimento e al successo sociale che il meccanismo dello Sfogo annuale gli concede, la madre è codinamente dubbiosa, ma colpevolmente senza nessuna vera spinta critica, i figli sono all’origine della crisi perché rompono il sistema (anche irriflessamente) che sentono solo di subire. E qui sta il problema del film, ossia l’occasione sprecata dal fatto che le intrusioni durante la notte di due estranei, e le conseguenze che queste comportano, avrebbero potuto portare un approfondimento psicologico sui tipi che la famiglia rappresenta, ma a questo punto tutto è risolto in maniera frettolosa, con pochissime battute sensate e nessuna cura dell’aspetto di presa coscienza di ogni protagonista. Nell’alzarsi della tensione dovuta all’assedio esterno che la famiglia subisce si sarebbe potuto aprire lo spazio per raccontare cosa la scelta di liberare la violenza cieca comporti e come la resistenza privata possa volgere in resistenza sociale, ma il film prende la strada del thriller violento che risulta comunque anche efficace, ma è un peccato davvero.
Pochi soldi, e si vede, ammiccamento a Funny games e ovviamente ad arancia meccanica, ma non sfugge la critica al sistema consumistico (i sistemi di sicurezza che vende il padre protagonista sono totalmente inefficaci, se lo fossero il meccanismo produttivo si bloccherebbe e l’intera costruzione capitalistica crollerebbe), al ruolo dei media come strumento di potere e di manipolazione del pensiero, ma che lascia uno spiraglio alla possibilità che diventino mezzo di contestazione, alla incapacità dei cittadini di vedere come la democratizzazione della violenza (ideale, nella realtà è solo un modo per irrobustire il privilegio e le differenze di censo) ha una eccezione che risiede lì dove sta il potere (i funzionari di classe 10 non possono essere toccati, ossia i politici non possono essere uccisi). Ogni riferimento ai pretesi salvacondotti nazionali è naturalmente casuale

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