ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama
(Sei stelline e mezza)
Dopo l’horror, la fantascienza, il fantasy e i vari ibridi tra gli stessi generi, dopo il buon risultato di The Visit, Shyamalan sperimenta e rilegge di nuovo il thriller tout court con Split, senza disdegnare un’esplicita incursione nello slasher tradizionale.
Visto il tema, legato al disordine dissociativo dell’identità, è inevitabile pensare ad altri precedenti cinematografici, su tutti Psycho del “maestro” Hitchcock (da cui, tra le varie cose, Shyamalan ha tratto anche la passione per i camei all’interno dei propri film: qui, lo noterete, è un addetto alla manutenzione del condominio in cui vive la dottoressa Fletcher).
Pur trattando un tema sfruttato altrove e facendolo in maniera “elementare”, cioè mostrando molto presto al pubblico la “forma” dei problemi mentali del protagonista, Shyamalan tratta decisamente bene la materia, presentandola come una sorta di corsa contro il tempo: il pubblico è consapevole di cosa accade nella prigione sotterranea, ma assiste anche ai tentativi della psichiatra di afferrare le evoluzioni della mente del suo assistito, prima che la follia deflagri drammaticamente.
In mezzo, c’è la possibilità per James McAvoy di dare sfogo in maniera convincente al proprio istrionismo e per Anya Taylor-Joy di confermarsi, dopo The Witch, adatta ai ruoli di giovane donna violata ma risoluta.
In realtà, preziosi tocchi d’autore a parte (eccellente la scena iniziale del rapimento che, con adeguatissime scelte tecniche, dice molto e assai velocemente dei due protagonisti), Split è un racconto abbastanza convenzionale, affascinante soprattutto per via dell’argomento trattato.
Il classico “Shyamalan twist”, il colpo di scena “con ribaltamento di prospettiva” che abbiamo imparato a conoscere fin dai tempi de Il sesto senso, non c’è, ma, nella sequenza finale, non manca un interessante dettaglio che apre una (fino a quel momento impensabile, almeno per me) ipotesi narrativa: e se il mondo cinematografico di Shyamalan fosse percorso da un impalpabile fil rouge che unisce le varie storie che lo compongono?
La presenza di Bruce Willis-David Dunn che nomina apertamente “L’Uomo di Vetro” di Unbreakable (2000) e il fatto che i film “metropolitani” di Shyamalan siano tutti ambientati a Filadelfia (e quelli che non lo sono hanno luogo comunque in Pennsylvania, Stato di cui fa parte Filadelfia), rende allora plausibile l’incredibile ipotesi che la 24ma personalità del protagonista di Split non sia altro che la creatura-zero che ha dato origine alla popolazione mutante che abita il mondo della serie tv Wayward Pines co-diretta e co-prodotta da Shyamalan (P.s.: ho visto solo la prima stagione della serie tv, quindi non so se nella seconda venga data una spiegazione precisa della loro origine). Kevin/L’Orda parla spesso di evoluzione, lo fa anche quando si congeda da Casey (più o meno, le dice: “Gioisci! Chi ha sofferto diventa più potente”), e le sue caratteristiche fisiche (a partire dalla pelata per finire con l’incredibile forza fisica) sono quelle delle spaventose creature dei boschi di W. P.: se così fosse, e pur posto il fatto che il cineasta non ha firmato né il soggetto, né la sceneggiatura della serie tv, resta da verificare quali altri più o meno velati indizi Shyamalan ha inserito (o inserirà) nei suoi lavori e come essi siano collegati fra loro.
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