Recensione su La canzone del mare

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La canzone del mare
Regia:

Moore l’ardimentoso / 31 Maggio 2016 in La canzone del mare

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

(Riflessioni sparse)

A mio parere, Moore patisce in Italia ciò che, da tempo, soffrono i suoi colleghi giapponesi: a meno di eventi speciali, i film animati di questo artista irlandese e dei suoi pari nipponici (per tacere di altre produzioni d’autore europee ed extracontinentali) non sono in grado di arrivare nelle nostre sale, benché gli estimatori della loro arte siano ampiamente dichiarati e siano in numero sempre maggiore.
Nonostante la notorietà acquisita con il passaparola grazie a The Secret of Kells, a dispetto dei premi internazionali e della candidatura agli Oscar 2015, anche Song of the Sea, finora, non è mai entrato nelle grazie di alcun distributore italiano, neppure per il mercato dell’home video.
Si tratta di un film a cui non si può rimproverare certo scarsa qualità tecnica o una gratuita rappresentazione della violenza, dettaglio che, sovente, ha giustificato in passato il mancato o il discusso approdo di talune opere animate nel nostro Paese, quindi fatico a comprendere come a prodotti di questo tipo ne vengano preferiti altri di più infima realizzazione e caratterizzati da una minor resa estetica e narrativa.

Cinicamente e forse semplificando all’eccesso la questione, sono portata a credere che, in Italia, i lavori di Moore siano compromessi da due elementi: essere film d’animazione ed essere film d’animazione narrativamente troppo stratificati per essere destinati ad un pubblico, quello infantile, a cui, per via di una filosofia tutta italiota, le case di distribuzione immaginano debba essere necessariamente rivolto un film animato.
Forse a torto, sono convinta che ci sia poco coraggio e troppa presunzione nei confronti di un pubblico che, invece, andrebbe educato a visioni e racconti più ricchi di molti di quelli che gli vengono propinati, in grado di offrire sfumature più complesse della “semplice” opposizione bene/male o della presenza in scena di personaggi studiati per dare vita ad un merchandising più o meno proficuo.

Moore sa mettere in scena problematiche articolate (e perfino la morte e la violenza) con una grazia visiva particolarmente originale, arricchendo di scena in scena il proprio racconto attraverso numerosi elementi, non solo grafici e inerenti la sola animazione, ma soprattutto di natura emotiva.
In particolare, in questo lungometraggio c’è un tema di fondo decisamente delicato, rappresentato con sufficiente realismo: una famiglia deve affrontare un lutto, una scomparsa. Come reagiscono i membri di questo nucleo a tale problema? C’è chi da la colpa a qualcun altro, c’è chi si da ogni colpa, c’è chi vuole voltare pagina, c’è -infine- chi non sa come gestire un vuoto che esiste perché gli altri glielo mettono sotto il naso in ogni momento.
La componente magica e tutti i (tanti) riferimenti alla cultura folkloristica irlandese sono gli ingredienti di una splendida cornice che accoglie in sé dolore e redenzione.

Siamo sempre dalle parti del viaggio dell’eroe e della tana del Bianconiglio, ma Moore ha messo in piedi una lunga ed articolata parabola che, pur puntando al matematico lieto fine, non risparmia una buona definizione psicologica dei personaggi.
In realtà, la piccola Saoirse, pur tenera, è il personaggio meno riuscito, troppo buono e remissivo per suscitare reale empatia: pur con le necessarie semplificazioni, è il fratello Ben ad avere in sé i tratti più umani e riusciti, è un bambino arrabbiato a cui nessuno ha dato le giuste spiegazioni e la sua crudeltà nei confronti della sorellina lo rende quantomai tangibile e credibile.

Tornando alle affinità tra Moore e l’animazione nipponica, guardando Song of the Sea non ho potuto fare a meno di pensare che questo lungometraggio è molto giapponese, per follia e ardimento visivo (prospettive irreali, ricchezza formale) e per la sua ipertrofia narrativa, e che i lavori dello Studio Ghibli devono avere influenzato decisamente questo ultimo lungometraggio dell’irlandese. Mi riferisco, tra i tanti dettagli colti, all’ambientalismo latente (un po’ come hanno fatto Miyazaki e Takahata attraverso film come Pom Poko e Ponyo) e alla strega-gufo Macha nella quale ho visto pesanti echi della Strega delle Lande de Il castello errante di Howl (in particolar modo, oltre che nel character design, nelle sue “molli” trasformazioni).

1 commento

  1. Stefania / 22 Giugno 2016

    Sono contentissima di venire smentita: finalmente, il film di Moore ha trovato una distribuzione italiana e sarà nei nostri cinema dal 23 giugno 2016 😀

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