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La canzone del mare

/ 20148.1111 voti

Cùcù / 30 Ottobre 2017 in La canzone del mare

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

C’è un incredibile prologo sfumato acquerello che rende i colori sfocati dei ricordi d’infanzia negli occhi di un bambino. In cui si vede uno spazio senza contorni e un nucleo, la madre va. 6 anni dopo, un padre vive in un faro bello e triste, insieme a Ben, il bambino di cui, e Saoirse, la sorellina muta che per Ben ha ucciso la madre nascendo. La bambina scopre una conchiglia e un mantello della madre, e si trasforma in una foca. Essì, in Irlanda capita. Perché i folletti spiegano come lei sia una selkie, (è di famiglia, cioè) colei che può richiamare dalla pietra le creature a cui la strega-civetta Macha aveva risucchiato le emozioni. Parte il viaggio, a ritroso, di Ben e Saoirse che sono stati deportati nella casa in smoggosa città della brutta nonna e devono tornare all’amato faro insieme al fedele Cù. Inseguiti dai gufi di Macha, incontrano folletti canterini, dolmen, foreste di capelli bianchi intricate con un antico saggio squinternato alla fine, la strega Macha in persona, che pietrificava le persone per non farle soffrire. C’è uno stridente e scelto contrasto, tra disegni più o meno definiti, degli sfondi e dei personaggi, della corsa e movimento attraverso i vari elementi, che accentua il carattere fantastico del viaggio dei due pupi nel mondo. Che è quello reale, ma con un layer (ahah) di incanto sopra. Per cui da un lato fate e folletti, dall’altro personaggi teneri nei loro dolori e paure, la ferita inferta dalla morte della mamma in Ben, il mutismo e l’alienità, o essere altro, in Saoirse, che la porta alla scelta finale. La trama scorre pur vivendo di paralleli e ritorni: il faro in testa e in coda, la nonna che ascolta la stessa musica della strega, ed è cattiva solo per dolore. Il gigante pietrificato nel mare e di nuovo la strega, come il padre Conor (grosso alcolista anonimo di Guinness dopo la morte di quella topolona della moglie) e la nonna, lui che dice “mi sembra di aver dormito tutto il tempo”, ma alla fine tutti avranno trovato, o riportato alla luce, qualcosa. Di nuovo e di sé e del loro rapporto con gli altri. Checché ne sia, spero che alla fine il vecchio traghettatore si bombi la granny. Tutti a parte Cù, tutti adorano Cù.

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. / 5 Aprile 2017 in La canzone del mare

Incantevole lungometraggio d’animazione disegnato con una cura commovente e uno stile adorabile, Song of The Sea prende a pieni mani dalla mitologia e dai racconti folkloristici irlandesi per per assemblare una storia di crescita e amore familiare. Protagonista è un bimbetto cocciuto e simpatico, la sorella piccola che non parla e un padre addolorato e assente; il film dosa bene gli elementi più fantasiosi e quelli più realistici, senza perdere mai una certa dolcezza di fondo che pervade il tratto dei disegni, le musiche e i dialoghi molto ben dosati ed efficaci, fino al finale da lacrimuccia, liberatorio e adorabile come tutto il film.

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IMPERDIBILE / 30 Giugno 2016 in La canzone del mare

Mi sento fortunato perché ieri, ultimo giorno di proiezione di questo film, sono riuscito a vederlo.
Emozionante, poetico.
Dei disegni bidimensionali che cozzano molto con le attuali tecnologie ma che invece fanno risaltare dei colori magnifici.
Ma è proprio la trama che colpisce e più va avanti e più sei preso e coinvolto. La magia dei selkies”, creature magiche abitanti degli abissi nelle leggende nordirlandesi, si sposa con le altre leggende narrate.
La strega Macha che con un incantesimo elimina le emozioni alle persone per non farle soffrire già questo è poetico. Lei che dovrebbe essere la cattiva invece viene spinta dal grande amore ma soprattutto dolore nel vedere il figlio soffrire, Ma le emozioni, il vivere la propria vita, il non pensare all’esistenza ma solo alla sopravvivenza è incredibilmente sottolineato in questo film. Liberare le emozioni, essere se stessi e non condizionati da nessuno è un tema a me molto caro. Mai più accettare le condizioni delle persone che si spacciano per amici, amanti, compagni…
Vivere… Nulla di più importante.
Un film che di emozioni fino alla fine ne è pieno.
Anche i più piccoli ne rimangono affascinati.
NON SI PUO’ NON VEDERE!!!
Ad maiora!

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Moore l’ardimentoso / 31 Maggio 2016 in La canzone del mare

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

(Riflessioni sparse)

A mio parere, Moore patisce in Italia ciò che, da tempo, soffrono i suoi colleghi giapponesi: a meno di eventi speciali, i film animati di questo artista irlandese e dei suoi pari nipponici (per tacere di altre produzioni d’autore europee ed extracontinentali) non sono in grado di arrivare nelle nostre sale, benché gli estimatori della loro arte siano ampiamente dichiarati e siano in numero sempre maggiore.
Nonostante la notorietà acquisita con il passaparola grazie a The Secret of Kells, a dispetto dei premi internazionali e della candidatura agli Oscar 2015, anche Song of the Sea, finora, non è mai entrato nelle grazie di alcun distributore italiano, neppure per il mercato dell’home video.
Si tratta di un film a cui non si può rimproverare certo scarsa qualità tecnica o una gratuita rappresentazione della violenza, dettaglio che, sovente, ha giustificato in passato il mancato o il discusso approdo di talune opere animate nel nostro Paese, quindi fatico a comprendere come a prodotti di questo tipo ne vengano preferiti altri di più infima realizzazione e caratterizzati da una minor resa estetica e narrativa.

Cinicamente e forse semplificando all’eccesso la questione, sono portata a credere che, in Italia, i lavori di Moore siano compromessi da due elementi: essere film d’animazione ed essere film d’animazione narrativamente troppo stratificati per essere destinati ad un pubblico, quello infantile, a cui, per via di una filosofia tutta italiota, le case di distribuzione immaginano debba essere necessariamente rivolto un film animato.
Forse a torto, sono convinta che ci sia poco coraggio e troppa presunzione nei confronti di un pubblico che, invece, andrebbe educato a visioni e racconti più ricchi di molti di quelli che gli vengono propinati, in grado di offrire sfumature più complesse della “semplice” opposizione bene/male o della presenza in scena di personaggi studiati per dare vita ad un merchandising più o meno proficuo.

Moore sa mettere in scena problematiche articolate (e perfino la morte e la violenza) con una grazia visiva particolarmente originale, arricchendo di scena in scena il proprio racconto attraverso numerosi elementi, non solo grafici e inerenti la sola animazione, ma soprattutto di natura emotiva.
In particolare, in questo lungometraggio c’è un tema di fondo decisamente delicato, rappresentato con sufficiente realismo: una famiglia deve affrontare un lutto, una scomparsa. Come reagiscono i membri di questo nucleo a tale problema? C’è chi da la colpa a qualcun altro, c’è chi si da ogni colpa, c’è chi vuole voltare pagina, c’è -infine- chi non sa come gestire un vuoto che esiste perché gli altri glielo mettono sotto il naso in ogni momento.
La componente magica e tutti i (tanti) riferimenti alla cultura folkloristica irlandese sono gli ingredienti di una splendida cornice che accoglie in sé dolore e redenzione.

Siamo sempre dalle parti del viaggio dell’eroe e della tana del Bianconiglio, ma Moore ha messo in piedi una lunga ed articolata parabola che, pur puntando al matematico lieto fine, non risparmia una buona definizione psicologica dei personaggi.
In realtà, la piccola Saoirse, pur tenera, è il personaggio meno riuscito, troppo buono e remissivo per suscitare reale empatia: pur con le necessarie semplificazioni, è il fratello Ben ad avere in sé i tratti più umani e riusciti, è un bambino arrabbiato a cui nessuno ha dato le giuste spiegazioni e la sua crudeltà nei confronti della sorellina lo rende quantomai tangibile e credibile.

Tornando alle affinità tra Moore e l’animazione nipponica, guardando Song of the Sea non ho potuto fare a meno di pensare che questo lungometraggio è molto giapponese, per follia e ardimento visivo (prospettive irreali, ricchezza formale) e per la sua ipertrofia narrativa, e che i lavori dello Studio Ghibli devono avere influenzato decisamente questo ultimo lungometraggio dell’irlandese. Mi riferisco, tra i tanti dettagli colti, all’ambientalismo latente (un po’ come hanno fatto Miyazaki e Takahata attraverso film come Pom Poko e Ponyo) e alla strega-gufo Macha nella quale ho visto pesanti echi della Strega delle Lande de Il castello errante di Howl (in particolar modo, oltre che nel character design, nelle sue “molli” trasformazioni).

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Semplicemente senza parole. / 26 Maggio 2016 in La canzone del mare

Indescrivibile. Di una dolcezza unica, significati profondi e una bellezza di animazione unica nel suo genere.

8 Aprile 2015 in La canzone del mare

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Tomm Moore è un nome da tenere d’occhio, se si apprezza l’animazione: animatore, sceneggiatore e regista irlandese classe 1977, è uno che ha diretto due film. E di questi due film, due sono stati candidati come Miglior Film d’Animazione.
Il ragazzo ha talento, e pertanto in Italia nè The Secret of Kells nè Song of the Sea sono stati distribuiti.
Tornando agli Oscar: per quanto riguarda l’animazione ormai non li reputo più un premio serio. Ogni anno escono schede di giurati che ammettono candidamente di aver visto solo un film della categoria, o di votare la Disney per principio: questa volta è passata alla storia quella con su scritto una cosa in stile “Ho votato Big Hero 6 perchè a mio figlio è piaciuto più di How to train your dragon 2, e Boxtrolles non l’ha visto. I cinesi continuano a fare film che non interessano a nessuno”, che ha portato chiunque ci capisse qualcosa a chiedersi quale fosse il film d’animazione cinese: Storia della Principessa Splendente (giapponese), o Song of the Sea (irlandese)?
È ciò che ottieni quando ad assegnare un premio simile è gente convinta che Isao Takahata sia il primo che passa.

Ma passiamo alla trama: Conor e Bronagh sono una giovane coppia con un figlio di quattro anni, Ben, e in attesa del secondo. Vivono in un faro su un’isola, e la loro è una piccola famiglia felice… fino al giorno in cui Bronagh scompare lasciandosi dietro la piccola Saoirse: la donna, infatti, è una selkie, ed è tornata al mare.
Sei anni dopo la famiglia è piuttosto disastrata: Conor non si è mai ripreso dalla scomparsa della moglie, Ben (che non conosce la vera natura della madre) sempra incolpare la sorellina per l’accaduto e Saorsie non parla.
Ma quando la piccola mostra di aver ereditato la natura materna, Conor non vede altra soluzione se non mandare i figli ad abitare dalla nonna in città, nell’entroterra. Una soluzione per niente definitiva: la bambina, infatti, è l’ultima selkie e il suo compito è cantare la canzone del mare per salvare le creature magiche da Macha, una strega-gufo che ruba i loro sentimenti trasformandoli in pietra.
Se dovessi descrivere qesto film con una parola sarebbe adorabile: il character design, come per The Secret of Kells, è carino da morire mentre gli scenari sono meravigliosi. È semplicemente bello da guardare.
E da sentire, che la colonna sonora è notevole e i doppiatori validi, specie se si considera che sono bambini che riescono sia a recitare che a non essere odiosi.
La storia mi è piaciuta molto, con i rimandi alla mitologia irlandese che servono a parlare di come – nella vita – si debba lottare per affrontare il proprio dolore e le proprie paure: è solo affrontando la perdita della madre che Ben riesce a mostrare il proprio affetto a Saorsie, che tratta come una grossa seccatura per buona parte del film.
Insomma, Song of the Sea riesce a portare avanti diverse cose nei suoi 93 minuti: non solo c’è un notevole character development per Ben, ma c’è anche una mitologia complessa alla base della trama che riesce ad essere spiegata senza sembrare tirata via.
I personaggi secondari, a cui non può essere dedicato troppo minutaggio, sono gestiti molto bene: in linea di massima hanno scene che riescono a mostrare la loro natura velocemente, anche se ho avuto il sospetto che il film sfruttasse l’uso di personaggi mitologici. È chiaro che di alcuni dicono due parole perchè sarebbe come se, da noi, si mettessero a spiegare chi è la Befana.
Ma cercatelo: è un film veramente bello, e chiedetevi perchè a noi ci ritengono troppo stupidi per godere di film simili.

Un’altra cosa devo dire: quando Miyazaki ha annunciato prima il suo ritiro, poi che lo Studio Ghibli non avrebbe più prodotto nuovi lungometraggi, ci sono rimasta male.
Ma Tomm Moore mi ha risollevato il morale: mi ha ricordato molto Miyazaki, per il tono poetico delle sue pellicole, per il ruolo che ha dato alla natura e alle creature del folclore, per la rappresentazione dell’infanzia come di un periodo magico.
Magari tra vent’anni vedremo doppiati anche questi.

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2 Aprile 2015 in La canzone del mare

La figura mitologica irlandese della “selkie” (“foca”), è simile a quella delle sirene: sono esseri marini simili alle foche, maschi o femmine, che possono perdere la pelle. Quando un essere umano la trova, può nasconderla e tenere così la selkie al suo servizio, e anche generare figli con essa, finché lei non ritroverà la sua pelle e tornerà al mare.
In Song of the Sea due bambini, fratello e sorella nati dalla madre selkie, devono ritrovare la pelle nascosta e poi perduta dal padre per poter spezzare l’incantesimo di una triste strega che ha trasformato in pietra le fate, oltre che per salvare la vita della sorellina, Saorsie, selkie anch’ella.
Tomm Moore si riconferma un genio visionario con i suoi sfondi astratti, l’umorismo fisico dei suoi personaggi (sempre bambini) e l’abilità narrativa dei migliori cantastorie che rende un ottimo servizio alla tradizione storica e mitologica irlandese.

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Song of the sea o di quelle semplicità disarmanti. / 24 Marzo 2015 in La canzone del mare

Per chi è avvezzo all’animazione anche se piuttosto cresciuto il problema di confrontarsi con un valido lavoro comunemente mirato ad un pubblico infantile si ripropone ogni qualvolta un titolo desta interesse e si vuole godere di qualcosa che non abbia nulla a che fare con interessi politici, morali e sociali ma si va, però, comunemente a trovarsi di fronte opere banali e con gli stessi motivetti favolistici di sempre, troppo prevedibili e scontati.
Di certo gli intenti semplici e puri che l’opera d’animazione si porta dietro scartando a priori quelle motivazioni così complicate ed articolate che portano le trame ad essere interessanti e coinvolgenti la rendono un’opera di facili sviluppi molto spesso deludenti. Ma che fare quando l’opera d’animazione è talmente semplice negli intenti e nella forma da risultare incredibilmente sofisticata e ricercata?
“Song of the sea” è di quelle fiabe semplicissime, senza troppi artifici e macchinazioni la cui trama si snoda tra leggende antiche e metodi di narrazione tradizionali, con risvolti non troppo originali ma che funzionano benissimo e non sono certo un problema. La trama non risulta banale o noiosa e si segue con ansia e con sollievo le vicissitudini di questi due bambini Conor e Saoirse, della loro fuga per tornare a casa e cercare di far avverare un’antica leggenda a cui ormai solo le vecchie canzoni credono.
L’ambientazione delle vecchie leggende gaeliche così avvezze a Tomm Moore tornano a vivere e a risvegliarsi, macchiando di incredibile e sofisticato un lavoro così piccolo da risultare di quei gioielli minuscoli ma preziosissimi.
Quel che si mostra prima di qualsiasi altro elemento del film è la sua grafica, il disegno. Uno stile ricco di particolari che ricorda Klimt e i vecchi giochi degli studi d’animazione tradizionali, di quella tradizione così tanto giapponese ma che acquista una vita tutta sua entrando in quel mondo variegato e grottesco del folklore irlandese.
“Song of the sea” si sviluppa in un modo totalmente disinteressato di quello che è il mondo fuori sé stesso, che non fa conto dell’animazione mondiale, di quello che è il mondo reale e di quella che è in fin dei conti la realtà e vive armoniosamente nel suo isolamento ricco di personaggi profondi quanto le magiche tradizioni a cui l’animazione di oggi pare tener troppo poco conto.

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