Recensione su Povere creature!

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Entusiasmante / 29 Gennaio 2024 in Povere creature!

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Yorgos Lanthimos sembra averci preso gusto e, dopo La favorita, mi pare di aver capito che ci tiene a far ridere il pubblico, oltre che a turbarlo e stupirlo. Non che i suoi lavori precedenti non contenessero situazioni capaci di indurre al (lo sconcertato) sorriso. Ma, dal precedente lungometraggio in poi, con l’imprevedibile Yorgos, si può perfino ridere.

Personalmente, mi sono divertita molto, guardando Povere creature!. L’ho trovato un film trascinante ed entusiasmante. La sete di conoscenza di Bella Baxter (l’impeccabile e generosa Emma Stone) è vivifica. E questo è un effetto paradossale, dato che, dopotutto, si tratta di un cadavere che cammina.
Il film Leone d’Oro 2023 è fantasmagorico per sviluppo narrativo (in questo momento, non posso fare confronti con la matrice letteraria, perché non ho ancora letto il romanzo di Alasdair Gray da cui è stato tratto, ma so dell’esistenza di alcune importanti differenze fra testo e film), invenzioni visive, resa artistica degli attori e spunti di riflessione.

Bella è Barbie che lascia Barbieland (o la figlia maggiore di Kynodontas), per scoprire che cosa accade nella dimensione che sta al di fuori del regno patriarcale (non è un caso se il diminutivo con cui Bella chiama il padre-padrone Godfrey sia God, cioè Dio: Bella è Eva, prima donna della sua “specie”, contemporaneamente madre di suo figlio e figlio di sua madre).
Ma, a differenza di quel che accade nel (secondo me, imperfetto e manierista) film di Greta Gerwig che cito più su, la protagonista assaggia, lecca e morde la vita (come la vampiresca maitresse Madame Swiney fa con i corpi che le piacciono), qualsiasi parte della vita, dolce o amara che sia (“Mi sono avventurata e non ho trovato altro che zucchero e violenza”, dice Bella).

Il rapporto di Bella con il proprio corpo è la chiave di volta del suo rapporto con la realtà.
La protagonista deve toccare, essere toccata, assaggiare ed essere assaggiata, godere e far godere, per percepire l’interezza del mondo. Mi piace immaginare che, se, per esempio, la “società” avesse ritenuto sconveniente tagliarsi i capelli, Bella si sarebbe rapata a zero per “vedere l’effetto che fa”.
Nella sua mente e nella sua coscienza in divenire, il divieto non è tanto una mancanza di libertà (che, pure, c’è o potrebbe esserci), quanto una limitazione cognitiva.
Bella ritiene che l’imperfezione (cioè, la mancanza di conoscenza) sia un limite -in positivo- da superare costantemente, a prescindere dal genere sessuale biologico di appartenenza.

Benché sia un film a sostegno dell’indipendenza femminile e nonostante che, in altri film film di Lanthimos che ho visto finora, quello che può essere identificato come eroe sia un individuo che, dal punto di vista del genere sessuale, può essere definito donna, sono portata a pensare che il fatto che Bella sia femmina sia incidentale.
Se non sbaglio, nel corso della storia, non viene mai specificato il sesso del feto che Bella/Victoria Blessington portava in grembo (nella versione italiana, mi pare che si parli di “bambino”, di “figlio”, ma -suppongo-con accezione generica). Il cervello che il Dottor Baxter (Willem Dafoe) impianta nel cranio della donna rinvenuta nel Tamigi potrebbe perfino essere quello di un maschio. E ciò, dal canto mio, sarebbe davvero un elemento narrativo affascinante: Bella sarebbe la dimostrazione che le inclinazioni intellettuali, emotive e sessuali non sono legate in alcun modo al genere sessuale biologico, come veniva creduto nella società vittoriana (del film e non) e come, dopotutto, si ritiene spesso ancora oggi. Ma, ora, sono nel campo dell’illazione.

Quel che, invece, è certo è che Povere creature! è un inno gioioso alla vita, alla scoperta di sé e del mondo e alla fantasia creativa.

Ultimo appunto: sono rimasta abbacinata dai costumi disegnati da Holly Waddington e dalle scenografie firmate da Shona Heath e James Price.
I primi sono una rilettura contemporanea molto originale della moda tardo ottocentesca. I vestiti indossati da Bella sono un’espressione congruente della personalità della protagonista e sono perfettamente in linea con l’universo ibrido del film, in cui la realtà storica (e urbanistica) documentata è stata modificata in modo surreale e giocoso per rendere i contesti allo stesso tempo verosimili e concepiti come diorama fantastici.

Il regista ha dichiarato di voler realizzare un film in studio degli anni Trenta, sia con tecnologie e materiali in uso all’epoca che con forniture attuali.
Io temevo che ne sarebbe venuto fuori un pasticcio visivo come certi recenti film di Tim Burton (vedi, Alice in Wonderland). Per fortuna, mi sbagliavo.

So che, tra i maggiori riferimenti del film, oltre ai classici horror della Universal (inevitabilmente, tra questi, Frankenstein di Whale, del 1931, non solo per il tema del cadavere redivivo mutuato dalla Shelley), c’è il Dracula di Coppola e il suo ricorso all’uso di effetti visivi tradizionali (oggetti piccoli che sono inquadrati in modo da sembrare molto grandi, ecc.). Per quanto coadiuvata dalla computer graphic, nel film di Lanthimos, c’è tantissima artigianalità. Per esempio, la nave su cui viaggiano Bella e Duncan Wedderburn (Mark Ruffalo) è un modellino reale in scala ridotta, poi ritoccato ad hoc in postproduzione digitale.
Tutte le scenografie del film, che hanno richiami a vari periodi della storia dell’architettura otto-novecentesca e a esperienze pittoriche come quelle di Escher, Bosch e Francis Bacon, sono stati progettati ex novo, compresi gli spettacolari interni rivestiti con marmi intarsiati, lacche, sontuosi tessuti e radica. Nessun ambiente costruito del film, interno o esterno, esiste o è mai esistito nella (nostra) realtà, se non sul set del film. Perfino i titoli di testa hanno uno scopo visivo (per cui, se potete, non abbandonate la sala, prima di averli visti): li ho intesi come un catalogo patinato di questa wunderkammer di Lanthimos che, con vero orgoglio, infine, mostra alcuni pezzi unici e preziosi della sua particolare collezione.

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