Recensione su La mia droga si chiama Julie

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La sirena del Mississippi / 29 Aprile 2015 in La mia droga si chiama Julie

Truffaut ripesca dalla penombra dei romanzi di Cornell Woolrich (che in questo caso firmò sotto lo pseudonimo di William Irish); dopo ‘La sposa in nero’ l’anno successivo rivisita questo ‘Vertigine senza fine’ ribattezzato ‘La sirène du Mississippi’, poi italianizzato con il solito tipico stile da sagra della traduzione bislacca. Il vago sapore tardo coloniale dà il suo tocco di fascino, arricchito dai colori un po’ artificiali e l’anamorfismo del Dyaliscope. Belmondo e la Deneuve fanno la loro parte, in una storia d’amore perverso a dire il vero poco credibile; il linguaggio del regista è inconfondibilmente rapido, quasi rammendato tanto è animato dal furore scenico.

4 commenti

  1. Stefania / 29 Aprile 2015

    Questo mi manca, devo recuperarlo!

  2. paolodelventosoest / 29 Aprile 2015

    E’ caruccio, in definitiva. Ormai mi sono “intruffaulato” e voglio scandagliare per bene le sue opere; prossimi obiettivi ‘Fahrenheit 451’ e ‘L’ultimo metrò’ appena presi in Mediateca 🙂

    • Stefania / 29 Aprile 2015

      Io l’ho “conosciuto” con Fahrenheit…, grazie ad un cineforum, all’università: mi colpì molto (positivamente). L’ultimo metrò mi è piaciuto decisamente, per via del doppio racconto, quello dietro (e davanti) le quinte e quello dietro le vite dei protagonisti.
      Se ti interessa, c’è un bel libro su Truffaut (che consulto puntualmente, dopo aver visto un suo film) firmato da Carole Le Berre (ed. Rizzoli, 2004) http://amzn.to/1PYoHFZ
      Attraverso gli appunti e i carteggi di Truffaut, viene ricostruita la genesi e la lavorazione di tutte le sue pellicole: lo trovo molto molto interessante, perché permette di scoprire le difficoltà, i “tormenti creativi”, il processo artistico che sta dietro i suoi lavori. Non è tanto un’analisi della sua filmografia, quanto un “dietro le quinte” che, a posteriori, sì, permette di leggere anche secondo un’ottica diversa i suoi film.

  3. Stefania / 2 Marzo 2018

    Visto, alla buon’ora.
    Credo che l’effetto “rammendato” del film sia dovuto agli innumerevoli tagli e rimaneggiamenti che Truffaut ha fatto, sia in fase di sceneggiatura che di realizzazione e di montaggio. Nel libro che cito nel (vecchio) commento precedente, la Le Berre parla di numerose scene, anche significative, che non sono confluite nel montaggio finale e della scelta di Truffaut di ovviare per una conclusione diversa rispetto al libro di Irish (Woolrich).

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