Recensione su La fabbrica di cioccolato

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La fabbrica di cioccolato
Regia:

Uno dei film più anticonformisti di Burton / 31 Dicembre 2021 in La fabbrica di cioccolato

Burton osa una nuova trasposizione del romanzo di Dahl che si scontra inevitabilmente con il cult recitato da Billy Wilder.
Film stroncato dalla critica, flop ai botteghini.
Probabilmente pochi compresero le intenzioni di Burton: questa è una rivisitazione di un classico, intenzionato ad esprimere un messaggio sociale che fosse in linea con la visione del regista, rispetto alla melliflua retorica che permeava il film con Wilder.
Inibiti i pregiudizi di coloro che scandalizzati considerarono impossibile un rifacimento del cult originale, sarà possibile accorgersi che La Fabbrica di Cioccolato di Burton elude il rischio di propinare un prodotto pedissequo e di rappresentare un suo feticcio.
Burton adatta La Fabbrica di Cioccolato con lo stile che lo ha contraddistinto, in un folle viaggio all’interno della coloratissima fabbrica di Wonka.
Johnny Depp non è Billy Wilder ed è evidente che non miri ad esserlo; il Wonka di Burton è un freak asociale, inadeguato a relazionarsi con il mondo esterno, strampalato e infantile.
Ha vissuto un trauma che spiegherà i motivi dell’isolamento nel suo mondo di dolciumi e perché ha deciso di offrire, ai fortunati possessori del biglietto d’oro, di visitare la sua fabbrica che fino ad ora era rimasta inaccessibile a chiunque.
La gita condurrà ad una sparizione dei marmocchi, compiuta per qualche disgrazia: che siano incidenti o trappole in cui i bimbi cedono programmaticamente per la loro puerilità e maleducazione è un sospetto che il sorriso beffardo di Wonka e la passività con cui i visitatori cadranno vittima di questi nefasti eventi suscita nello spettatore, considerando inoltre la puntuale entrata in scena degli humpa loompa che accompagneranno la cattiva sorte dei bambini e dei loro genitori con uno stacchetto musicale che è difficile credere sia stato improvvisato al momento.
Burton critica dunque l’irresponsabilità dei genitori che, passivamente, osservano i loro figli comportarsi inadeguatamente secondo le norme da rispettare nel mondo di Wonka; neanche intervengono per provare a salvarli dalle disgrazie in cui si sono cacciati.
Ma Burton non si limita soltanto a bacchettare gli accompagnatori: ogni famiglia rappresenta una estrazione sociale che viene ridicolizzata e punita.
Non è un caso che l’umile protagonista venga scelto come possibile erede. La risposta del bimbo a questa proposta di Wonka sarà rivelatrice di una natura pura ed incorruttibile.
Un Burton che, seguendo una personale chiave di lettura, è antimaterialista e critica l’asservimento al denaro, anche in condizioni di completa povertà.
In questa fiaba che potrebbe apparire moralisteggiante, qualcuno potrebbe storcere il naso ad una sadicità ingiustificata verso le famiglie ospitate nella fabbrica e ad una maturità incompatibile con un bambino. È proprio qui che mi soffermerei: Wonka disprezza la famiglia, va in crisi per un capello bianco perché ha sempre rifiutato di essere un adulto; il protagonista vuole bene alla sua famiglia anche se ciò significa vivere in condizioni di povertà assoluta, consapevole di essere ancora un bambino, risultando però sorprendentemente saggio e responsabile, dagli ideali incontrovertibili.
Questa contrapposizione condurrà ad una conclusione che molti potrebbero considerare buonista o addirittura deludente.
Se così fosse, non so quale finale avrebbero voluto: forse il messaggio che Burton ha voluto inviare ai suoi spettatori non è stato recepito.

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