Recensione su Io, Daniel Blake

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Io, Daniel Blake
Regia:

I due lati della scrivania / 31 Ottobre 2016 in Io, Daniel Blake

Loach mette in scena le ingiustizie legate alla statalizzazione dei rapporti sociali: la macchina burocratica rappresentata in questo film, premiato con la Palma d’Oro a Cannes, dimostra quanto la presunta efficienza legislativa e organizzativa degli enti pubblici riesca a mantenersi cieca e distante dalle reali necessità di quella popolazione a cui dovrebbe garantire sussistenza e dignità, creando cortocircuiti organizzativi di raro nonsense.

Pur oggettivamente toccante e frustrante, più della rappresentazione della miseria materiale in cui vengono gettati vecchi, donne e bambini, forse ciò che mi ha colpito è il ritratto degli impiegati statali, succubi anch’essi di un sistema che spersonalizza l’uomo (il cittadino), attribuendogli un ruolo da drammaticissima pantomima in base alla posizione che esso occupa seduto da un lato o dall’altro di una scrivania di un ufficio pubblico: da una parte, c’è il servo della burocrazia, istruito in cambio di uno stipendio a rispettare senza margini di flessibilità un particolare sistema normativo e, in virtù di questo, investito di poteri decisionali che influiscono sulla vita dei suoi pari (tale prassi, in taluni casi, genera/nutre/accresce un immotivato senso di potere, sviluppa un sadico istinto alla prevaricazione); dall’altra parte del tavolo, c’è l’oggetto e la vittima designata della burocrazia, annichilita dall’uso improprio del sistema normativo.
Loach è arrabbiato con i vertici politici che partoriscono leggi che ignorano lo stato delle cose (vedi, la tassa sulle camere sfitte nelle residenze popolari), che mettono gli uni contro gli altri servi e vittime, e insiste con forza nel rendere evidente la distanza esistente tra la necessità di una normazione della società e la sua applicazione: l’insieme di regole preposto a organizzare in maniera civile una comunità non deve e non può annullare la dignità di alcuno dei membri che la compone.

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