10 Recensioni su

Re della terra selvaggia

/ 20126.6137 voti

Il voto sarebbe un 6.5 / 7 Luglio 2014 in Re della terra selvaggia

Film drammatico candidato a 4 premi oscar.
Hushpuppy è una bambina di 6 anni che vive insieme al padre nel sud della Louisiana, in una comunità bayou
(la zona è denominata La grande vasca). Il padre alterna momenti di severità ad altri più affettuosi; quando si ammalerà,
la bambina dovrà crescere in fretta per cercare di sopravvivere in quel posto selvaggio.
Il film alterna momenti simpatici e divertenti, con la piccola Hushpuppy protagonista, ad altri più drammatici su uno sfondo
particolare come la Louisiana tormentata da uragani. Alcune belle scene della natura, però il film ha anche qualche momento decisamente più statico (quasi di noia). Discreto film che merita comunque la visione.

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Tanto rumore per nulla / 26 Maggio 2014 in Re della terra selvaggia

Sinceramente l’attrice è stata bravissima ( la Wallis sicuramente farà strada) ma la storia intera e il film in se sono davvero molto poveri e poco interessanti, la cosa che mi ha attratto di più paradossalmente è stato il bue preistorico e sono subito corso a vedere se esistesse ancora ( po-po-pollo) ma il resto mi è scivolato addosso, persino il rapporto travagliato del padre con la figlia e la sua severità mi sono sembrati piuttosto deludenti. Più che genialità ci ho visto banalità.

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5 Settembre 2013 in Re della terra selvaggia

Probabilmente senza l’interpretazione commovente e sincera di Quvenzhané Wallis il film non avrebbe ottenuto questo straripante consenso di critica e neppure le 4 candidature all’oscar. Quvenzhané Wallis è stata splendida, non c’è dubbio ma oggi come oggi una nomination giovane fa parlare e, quindi fa pubblicità, cosa della quale c’è sempre bisogno. La regia di Benh Zeitlin per certi versi assomiglia a quella di Greengrass (macchina sempre in movimento) e si avvicina ai protagonisti come se fosse parte del gruppo di persone che abitano la vasca.
La trama sembra interessante perchè mescola l’elemento favolistico, l’attualità e la cronaca e anche il romanzo di formazione. Troppo? Forse si, visto che in un paio di passaggi l’intreccio rivela la sua fragilità ma da un punto di vista complessivo rende: ci sono un papà affettuoso e, al contempo, severo (come in molti branchi naturali), i riferimenti al collasso del nostro sistema naturale e anche alle catastrofi che l’uomo stesso ha provocato e a cui non sa porre rimedio (oltre la vasca c’è la civiltà ma appare inetta, se non egoista), ci sono anche le creature mtitoloogiche che rappresentano le difficoltà della vita.
La metafora di Hushpuppy è quella della vita di ognuno di noi, travagliata da insidie che sembrano inaffrontabili. Nel film si vuole riproporre un sistema arcaico, primordiale e feroce ma facendolo si ribadisce che il modo di vivere moderno sia quasi più feroce e che richieda di maturare presto e in fretta.
Da un punto di vista dei significati è un buon film ma non ha nulla di nuovo e veramente originale e non poteva essere la rivelazione dell’ultima edizione degli oscar (che comunque ha lasciato fuori l’unico film che meritava un riconoscimento). E’ carino ma anche astuto..ripensandoci a posteriori perde molto del suo fascino

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28 Agosto 2013 in Re della terra selvaggia

“So di essere un piccolo pezzo di un grande, grande universo, perfettamente incastrato nel resto…
L’intero universo è fatto di tanti piccoli pezzi incastrati insieme. Se un pezzetto si rompe, anche il più piccolo, l’intero universo cade in pezzi…”

“Beasts of the southern wild”, lungometraggio d’esordio (ripeto: D’ESORDIO!!) di Benh Zeitlin, uscito quest’anno al cinema, dopo aver trionfato al Sundance film Festival, aver vinto la Camera d’or a Cannes nella categoria “Un Certain Regard” (ed essersi guadagnato anche diverse nomination agli oscar), è l’ennesima dimostrazione di come anche con un budget ridotto ed attori non professionisti è possibile creare un’opera di innegabile bellezza.

Il film che si configura come un “romanzo di formazione”, in pratica è la storia di Hushpuppy, una bambina afroamericana di 6 anni che vive in piena povertà in una zona della Lousiana che sta per essere inondata, chiamata la “Grande Vasca” insieme al padre malato e morente. La sua è una lotta per la sopravvivenza, una continua ricerca di un modo per cavarsela da sola in un mondo sempre più ostile. Hushpuppy non può permettersi di restare indifesa, deve crescere al più presto, diventare velocemente adulta.

L’inizio del film è da favola. Anzi, da brividi. Sin dai primi frangenti è una meraviglia per gli occhi e per l’anima, ma è il solo il buongiorno che si vede al mattino di una pellicola che sarà eccezionale per tutti i suoi 90′ di durata. Le primi immagini ci proiettano subito in un altro mondo (sembra l’Africa centrale ed invece siamo nel profondo sud degli Stati Uniti, sul delta del Mississippi in Louisiana)… e così accompagnati dai monologhi fuori campo della piccola protagonista e dal rumore dei battiti del cuore degli animali che Hushpuppy ama ascoltare, iniziamo il nostro viaggio che ci porterà a intimo contatto con la natura e con un’umanità che, pur vivendo emarginata, è costretta a conservare la speranza per continuare a lottare per la vita. Se non bastasse, presto si passa dalla dimensione realistica a quella mitologica, quasi onirica… dal nulla entriamo nell’immaginazione della piccola e così compaiono i ghiacciai che si sciolgono e bestie feroci che marciano… e si resta indifesi, ma stupefatti.

Centrale, ovviamente, è il rapporto padre-figlia, sviscerato in tutti i suoi lati positivi e negativi. Hushpuppy cresce seguendo gli insegnamenti del papà, ma anche trovando la forza talvolta di fare di testa sua. Tra i due protagonisti, però, non c’è mai una scena banale.

E comprensibilmente, in un film del genere non manca la malinconia, ma non è di quella angosciante, straziante… al contrario, è una malinconia che fa solo da sottofondo al nostro percorso all’interno del film, che Behn Zeitlin ci trascina a compiere, insieme alla protagonista: una sorta di viaggio spirituale, al termine del quale non possiamo non sentirci in qualche modo arricchiti.

Per tutto il film siamo in mezzo agli alberi ed alla miseria, all’acqua e alla sofferenza fisica, alla sporcizia e alla fame, al fango e alle lacrime, a baracche di legno e vecchi indumenti sgualciti… Ed il bello è che i ricchi Stati Uniti d’America sono soltanto a poche miglia di distanza, al di là del cemento della diga. Sembra quasi impossibile… Ma il regista non calca la mano. La sua telecamera, spesso all’altezza degli occhi della bambina, si limita ad esplorare quei luoghi, in maniera quasi timida come se non volesse disturbare, se in qualche modo avesse paura. Si limita a raccontarci le emozioni per immagini… (e sapete bene che è proprio quello che prediligo in un film).

Alcune sequenze sono da ‘pelle d’oca’: in primis quella dell’uragano, dove la forza distruttiva della natura sia schianta sul riparo in legno dei protagonisti. Le sensazioni si mischiano: c’è il timore negli occhi della bambina, c’è la quasi follia del padre che si mette a sparare al cielo gridando contro la natura ed ancora una volta ci ritroviamo persi un’altra dimensione con l’improvvisa comparsa delle zanne di una creatura preistorica. Quando riapriamo gli occhi, tutto è allagato…e ai due protagonisti non resta che una barca come abitazione… (solo per citare una delle scene più emozionanti)…ma quella non è la fine. Niente è perduto, bisogna soltanto farsi forza, stringere i denti, gridare e ripartire con una forza vitale ancora più grande. Dopo quell’uragano si assiste così progressivamente al risorgere di una comunità, che non ha certo intenzione di arrendersi e smettere di vivere. E quell’energia, nelle feste, nei canti degli ubriachi, finisce per contagiarsi, rendendo il coinvolgimento spettatore-film sempre più potente.

Da brividi anche le sequenze dedicate a quella madre che vive soltanto nel ricordo del padre e nell’immaginazione della piccola. Quando compare sullo schermo, la mamma, sempre inquadrata di schiena, senza mostrarne il volto, dona inevitabilmente luce alle immagini…

E’ un film che prosegue sui binari del ciclo della natura, senza risparmiarci la malattia o la morte, ma mostrandoci la vita in tutte le sue più disparate forme, senza nasconderci la disperazione, ma trasmettendo al contempo un immenso messaggio di speranza…
Una bella fiaba contemporanea che sa come aprirti il torace e stringerti in cuore…

Così, senza svelare nient’altro della trama, dico solo che una volta giunti ai titoli di coda non si può che applaudire il trentenne Benh Zeitlin, perché in questa pellicola non c’è quasi niente di sbagliato. Storia originale e coinvolgente, sceneggiatura impeccabile, fotografia di grande livello, colonna sonora perfetta capace di suscitare le giuste emozioni al momento giusto! Non resta che chiederci quale dannato gioco di prestigio sia riuscito a compiere il regista, per donare all’opera un’atmosfera così magica, senza costosi effetti speciali.

E’ certo che di talento ne ha da vendere e da lui non possiamo che aspettarci grandi cose in futuro. Ma non deve lasciarsi intrappolare da Hollywood dopo questo inaspettato successo e le nomination agli oscars…
In ogni caso, per ora possiamo soltanto ringraziarlo per un film così.

Consiglio: guardatelo in lingua originale con i sottotitoli per un’ immersione più completa.

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22 Agosto 2013 in Re della terra selvaggia

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Hushpuppy è questa bambina nera che vive con il padre ancora più nero (con una splendida pronuncia da ghetto) di lei in questo mondo fatto di pattumiera, ruggine e acqua. Che è la Louisiana, reminiscenze gorgoglianti dell’alluvione di Nuova Orleans. Il padre, Wink, è molto picio, molto malato, molto ubriaco, e per mangiare le butta il pollo per terra da dividere col cane (tra i più brutti cani evva, tra l’altro); insieme vivono nelle catapecchie di lamiera accendendo i fornelli col lanciafiamme. Intorno a loro sta una comunità unita e trasandata di freaks da horror anni ‘80, quelli della “vasca”, la vasca è un posto che si allaga ogni volta che c’è un diluvio universale, mentre sullo sfondo un muro divide la vasca dai ricchi, quasi mai in campo, quelli sulla terra asciutta. Separazione, fisica e sociale, in parte razziale.
Il tornado, e le sue conseguenze, è il nemico da affrontare, visto attraverso gli occhi della cazzuta bimbetta: la crescita, l’abbandono della figura paterna che già era l’unica rimasta (e per quanto fosse matto che schiattasse a lei conveniva solo), la mancanza di quella materna, che rivede in una prostituta del fiume. Tutto ciò, lo spavento tutto insieme unito alla rabbia per l’impotenza dell’essere piccina picciò, so raggruma e prende corpo nella ricorsa di enormi bestioni facoceriformi, ma proprio grossi eh, verso Hush, e lei li teme (giustamente) e alla fine capisce che invece non deve e il papà muore e viene messo il suo cadavere in una barca a fuoco nella vasca e siamo cresciuti e ciao.
Detto della bravura della protagonista, sgangherata è la trama e i personaggi, iniziale marcia simil-ambientalista, una ridda di ubriachi che forse se si mandassero dei teknoravers farebbero più bella figura. E non so, non so perché mi lascia un poco l’impressione che mi lasciò Precious, di un film che ci marcia, sul pietismo e sullo schifo, sul mostrare il disagio e poi sfarfallare aggratis il coltello nella piaga, sul mostrare personaggi brutti, sporchi e cattivi (ma nemmeno, stupidi) e contrapporli al musetto infantile di una bimbetta coi capelli a cespuglio. Troppe scene per disgustare il medioman whitecollar americano, alla fine ti vien voglia di dare una spazzata per terra :/ non è la strada, mentre il resto della storia ha toni apocalittico-mitologici da parabola sulla crescita e l’attaccamento alle radici, che originali non sono ma cosa lo è?
Con derive estremiste, tanto che quando un medico ti prende e ti porta in ospedale e tu stai male che fai? Scappi, torni a morire a casa tua.
Eh, sì.
Sì ma anche no :/

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selvaggi moderni della resistenza / 19 Febbraio 2013 in Re della terra selvaggia

Mitologia, cultura (che, ricordiamolo, è appresa, condivisa, adattiva, simbolica) e suo relativismo, codeterminazione ambientale, modelli di rappresentazione della realtà, un pizzico di ecologia: queste le chiavi di lettura che ho preferito per un’opera che, unendo elementi immaginifici a storie personali di crescita e cambiamento, si presta ad innumerevoli interpretazioni e merita senz’altro una visione.

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un interrogativo su tutti / 13 Febbraio 2013 in Re della terra selvaggia

E’ un esordio stranamente maturo. La regia è sapiente e gode di una solida sceneggiatura. Per molti versi simile al nostro “L’uomo fiammifero”, il film indaga nei pensieri di una bimba che vive con suo padre ed una esigua comunità in una terra semi-selvaggia, poco distante da un centro abitato alla maniera moderna. Il film crea suggestioni, e la regia “passa spesso in mano” alla piccola, straordinaria attrice che, bisognosa di creare immagini per elaborare i suoi pensieri, crea un mondo tra l’onirico e il reale, tra l’immaginato e l’immagine. il risultato è indubbiamente di alto livello, gli stimoli molti. Uno tra tanti, la riflessione sulle impalcature della società “civile”, dalle quali noi non prescindiamo più. E’ quindi sicuramente un film da vedere, ma a me personalmente risulta come l’ultimo contribuente al crearsi di una domanda : come è possibile che tutti questi grandi registi, pieni di talento, ricerca e sensibilità siano per la maggior parte americani, ovvero facenti parte di uno stato in cui vige la pena di morte e la libertà di possedere un arma? Il reale (sanguinose realtà) è così lontano da ciò che ci arriva dall’America sensibile vista al cinema?

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9 Febbraio 2013 in Re della terra selvaggia

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Per alcuni versi, questo film mi ha ricordato un paio di lavori di Miyazaki, ovvero la serie di Conan ed il lungometraggio Principessa Mononoke, vuoi (in prima semplicistica battuta) per l’ambientazione futuristica con tanto di acque imperanti e la caratterizzazione dei personaggi del primo, vuoi per la presenza del cinghiale demoniaco ed il senso latente dell’epica magica nel secondo: l’animismo che pervade la storia di Re della terra selvaggia, poi, è tratto costante della produzione del regista giapponese, così come l’attenzione per la figura del principe (in questo caso, principessa) mago, tanto cara a Frazer.
Nell’investitura, non solo verbale, di Hushpuppy a re-uomo, tra l’altro, ho colto alcuni riferimenti ad una certa letteratura cavalleresca e, ancora pensando a Miyazaki, alla sua Nausicaa: anche la principessa della Valle del Vento combatte contro una parte di natura ostile, per risanare la terra in cui lei ed il suo popolo vivono in precaria ma solidale pace. E’ Hushpuppy, poi, come Nausicaa, a trovare una soluzione contro i miasmi mortiferi (in questo caso salini) che ammorbano il suo regno ed entrambe sanno penetrare il linguaggio segreto della Natura.

Detto questo, quindi, Re… non mi ha entusiasmata particolarmente, perché non mi ha raccontato niente di nuovo in maniera originale e benché abbia dalla sua tantissimi elementi positivi: ottime musiche, empatiche ed emozionanti, degna di nota la piccola Quvenzhané Wallis e dignitosissimo anche Dwight Henry, bella la resa del rapporto padre-figlia, gradevole la parentesi quasi onirica legata alla figura della madre.
Per il resto, nulla di estremamente convincente.

Al termine della visione, poi, mi è sovvenuto un dubbio, ben poco “sognante”: e se la comunità della Grande Vasca non fosse stata “allontanata” dalla società civile, come sembrano suggerire i racconti degli adulti, grazie anche alla costruzione della diga, e se ne fosse -invece- volontariamente alienata, creando una mitologia geografica e sociale in grado di giustificare, agli occhi dei bambini, il loro distacco dalle città e dalla civiltà?
In questo senso, ritengo che la parentesi magica, con le creature preistoriche che si risvegliano dal sonno nei ghiacci, sarebbe solo una sorta di allucinazione collettiva.

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9 Gennaio 2013 in Re della terra selvaggia

Mi sono messa seduta a guardarlo con la migliore predisposizione, frutto della critica ultra positiva e di un trailer azzeccato, e il film ha retto, senza però fare scintille. I fuochi d’artificio ci sono, e il prologo è una scena ricchissima e meravigliosa, racchiude l’anima del film e rimane impressa. Il resto procede, ma senza mai farmi gridare al capolavoro.
E’ ben indagato e strutturato il rapporto padre-figlia, così come sono d’effetto le musiche e i paesaggi, supportati da un gran regia e dalla protagonista, un portento di bambina. La metafora (così l’ho letta) degli Uro mi è sembrata leggermente piazzata lì, ma il messaggio ecologista mi è proprio piaciuto.

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Tristi tropici / 7 Dicembre 2012 in Re della terra selvaggia

Nel 2097, quando l’umanità rialzerà la testa dopo un lungo torpore, quando le acque che avevano sommerso buona parte delle terre fertili dei cinque continenti si ritireranno, quando i nuovi uomini ricomprenderanno la scrittura, Hushpuppy verrà venerata e sarà il perno, l’eroina della nuova, unica religione che infiammerà i cuori e le menti della nuove genti.
Voci commosse narreranno le gesta di Hushpuppy e dei sopravvissuti di Bathtub.
Si racconterà di come Hushpuppy brucio la sua capanna, di come i temibili uri, arrivati in massa, riconobbero la divinità della bambina selvaggia, si ricorderà con voce rotta dal pianto delle sue sofferenze per la perdita del padre da lei tanto amato.
La figura mitica della madre della bambina sarà la causa di interminabili diatribe e divisioni. Si formeranno gruppi contrapposti che, alla fine, scateneranno guerre intestine. Il gruppo eretico Hushchump (che sosteneva che Hushpuppy era nata per partenogenesi dalle viscere del padre) prese il sopravvento e ridiscesero le tenebre sulla rinata umanità.

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