Recensione su Antichrist

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11 Luglio 2013

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

È molto strano questo regista, non riesco ancora a decidere se mi piace oppure no. Vero che ho visto pochissimi dei suoi film eh, ma tra loro c’è una netta differenza di valutazione: Idioti non mi è piaciuto per nulla, Dancer in the dark mi è piaciuto moltissimo, Dogville e Melancholia hanno entrambi qualcosa che mi ha entusiasmata e qualcosa che non mi ha affatto convinta.

Antichrist lo considero il migliore fin’ora.
Il prologo è bellissimo quasi quanto il riassunto iniziale di Melancholia. Tutta la parte iniziale del film, prima del bosco per intenderci, l’ho trovata interessantissima e decisamente realistica, non mi stupisce sapere che il regista ha sofferto di depressione e sia un fobico, la precisione seppure essenziale con cui ha mostrato la depressione, l’ansia ed il panico può venir fuori soltanto da qualcuno che la paura mentale e fisica unita alla disperazione la conosce bene.
Spostare poi queste sensazioni da moglie a marito è perfetto, le immagini del corpo in tensione nello stato di ansia ed agitazione più acute mostrate nel momento in cui lei è imprigionata nella sua profonda tristezza ed usa la violenza contro se stessa, mostrate anche quando lui la uccide, il panico e la violenza si tengono sempre per mano in questo film.

Inizialmente mi chiedevo come mai fosse inserito ovunque nel genere “horror”, ma de che?
Poi l’ho capito. Ma non subito. L’ho capito la mattina dopo averlo visto, quando mi sono svegliata e mi sono tornate alla mente alcune immagini del film ed ho rabbrividito. Ma proprio che mi si è creata una brutta sensazione, quella classica di quando si guarda qualcosa che ci disturba e ci inquieta.
La volpe, oh a me m’ha inquietata! Sarà che mi fa paura ciò che agli altri fa ridere e viceversa, sarà che mi immedesimo troppo facilmente nelle situazioni ma quel vocione che dice “il caos regna” non me lo aspettavo proprio.
La voce del bambino che piange e non si capisce da dove proviene e che viene descritta come il pianto delle cose destinate a morire.
Le mani tra le radici dell’albero (bellissima immagine tra l’altro).
Il feto morto ancora attaccato alla mamma cervo.
Insomma, se Lars si desse al genere horror da qui in avanti penso che mi creerebbe dei traumi. Una cosa l’ho capita: come mostra lui le emozioni più brutte provate dall’uomo, nessuno lo fa. Arriva dritto al punto, è crudo, capace di risvegliare quel qualcosa che l’essere umano tenta sempre di nascondere dentro di sé e per questo motivo non guarderò mai più un suo film di sera prima di andare a dormire.
Sinceramente non riesco a descrivere bene quello che mi ha lasciato questo film, va in profondità ecco cosa fa, scava nella psiche e porta all’estremo la paura che a mio parere è il centro del film, la paura è l’unica vera protagonista. Paura che genera panico che porta alla paranoia che alimentata sempre di più si trasforma in follia.
Paura della morte, della natura, della donna, della natura stessa dell’uomo.

Era perfetto finché non si è arrivati al sangue, troppo esagerato a mio avviso. Improvvisamente è come se si fosse perso in un tentativo splatter che ha smorzato l’atmosfera che si era creata, risultando quasi ridicolo.
Il taglio del clitoride e l’eiaculazione al sangue, sì, che mi rappresenta? La violenza continuata per forza fino alla morte di lei… È andato oltre. Sembra quasi che non sapeva bene come farlo finire ed abbia provato con un finale shock. Ha rischiato di rovinare un intero film.

Non riesco a dargli un voto ma assolutamente lo rivedrò una seconda volta perché merita davvero.

9 commenti

  1. thetruth / 11 Luglio 2013

    @gelida Il voto non può che essere più che positivo 😉 E non lo dico perchè a me è piaciuto, ma perchè tu stessa hai ammesso che il film ti ha toccato dentro, addirittura evocando alcune scene al giorno dopo, e questo è l’effetto tipico dell’Arte con la “A” maiuscola. Ho molta più paura dei film che mi lasciano indifferente.
    Il taglio del clitoride è funzionale alla chiusura di un ciclo, è una castrazione che si rende necessaria sia perchè complementare alle sofferenze sessuali del marito, sia perchè pena autoinflitta in virtù degli incrollabili sensi di colpa, dell’inestricabile responsabilità legata alla perdita del figlio. E’ un cercare volontariamente il dolore. E comunque anche se alcune scene potrebbero sembrarti splatter, il finale è talmente onirico che risolleva ampiamente il film, magari un po’ “scemato” nella seconda parte. Per il resto, son d’accordo con te.

  2. Caramel / 12 Luglio 2013

    Sul taglio del clitoride mi viene più facile pensare alla pena autoinflitta, una sorta di punizione, a cui avevo pensato tra l’altro, però non so, nel momento in cui l’ho vista insieme al resto mi è sembrato tutto così “distaccato” da ciò che avevo visto fino a quel momento, come se stessi guardando un altro film e ci son rimasta male perché appunto mi stava piacendo molto e quel cambio improvviso e netto di atmosfera ha spezzato tutte le sensazioni create fino a quel momento (tranne per la comparsa del cervo, della volpe e del corvo nella stanza che ho apprezzato tantissimo).
    Ma come ho detto, devo assolutamente rivederlo una seconda volta 🙂

    • giovannicazzin / 12 Luglio 2013

      ma la pena non può essere autoinflitta, non può un organismo pensare qualcosa in sè e da sè che vada contro se stesso. la pena è esterna, o almeno indotta. posso darmi la pena ed essere sincero nel volermela dare, ma è un’induzione, non sono io. come il cilicio nel medioevo, cioè non è che allora ci fossero genti capaci di darsi dolore da sè, è che obbedivano a un diktat esterno ma così radicato da strutturare la personalità o, meglio, l’individualità dell’individuo da poter sorreggere un quarto grado in cui venisse chiesto il colpevole della pena: io (ma in verità loro). dire che una persona si castiga e non è castigata significa fare il gioco del potere, che è così coercitivo da essere inclusivo, da porsi all’interno piuttosto che all’esterno, ma è sempre lui, non noi – è il potere, che agisce in noi e noi non siamo noi.

      • thetruth / 13 Luglio 2013

        ciao @giovannicazzin 🙂 non vorrei porre eccessiva enfasi sulla forma estetica della parola, non in questa sede; è chiaro che con autoinflitta ci si riferisce all’agente, e non al contenuto sotteso. In questo senso è chiaramente indotta, ma sotto questo profilo non ci dovremmo soffermare solo sulle punizioni, ma anche su ogni nostra azione, su ogni credenza e addirittura sulle stesse parole pronunciate, insomma, siamo perennemente in quel mare che è il Grande Altro lacaniano.

        • giovannicazzin / 13 Luglio 2013

          @thetruth

          mi pare che lacan parli anche di ‘se parere’ (il latino ‘parere’ come procurare e il ‘separare’ come separare), dell’auto-generazione, il generare se stesso, mandando un po’ a ramengo qualche assunto fondamentale e fondativo della gestaltpsychologie, e cioè che la parte non è più nel tutto, è corpo senza organi che procede dalla partizione alla propria partorizione. il problema resterebbe dunque l’applicazione della macchina desiderante sul corpo senza organi, ma qui si vola su altri lidi. lacan come giustamente noti te non pone eccessiva enfasi sul contenuto, ma non tanto perché il significato è un sasso in bocca al significante quanto perché il linguaggio è polyvoque, tant’è che le catene significanti del seminario sulla lettera rubata non significano ma sono significanti perché segniche, quindi soffermarsi sul detto, sull’esistenzialistico hic et nunc mi pare una posizione di pensiero abbastanza precaria… in questo senso la pena è ciò che non diciamo ma ciò che siamo detti, io non mi infliggo dolore, io sono punito da un agente esterno, ma la pena la vivo io, il dolore è mio, è il presente eterno del dolore, quello scoperto dagli stoici, per questo ha senso soffermarsi sulla punizione, perché la punizione dipende da noi ma dipende da noi nel senso che la pena viene patita sul nostro corpo, cioè siamo pazienti e non agenti, e non c’è nulla di pessimistico in tutto questo, anzi, tant’è che lacan parla di segregazione come principio societario (la fratellanza è segregazione, o qualcosa del genere scrive).

          • thetruth / 13 Luglio 2013

            @giovannicazzin

            Devo rispolverare questa funzione di segregazione quale principio societario, forse mi soffermo troppo sulle capacità performative del linguaggio (appunto che parla attraverso me) senza considerare adeguatamente il risvolto pratico.
            Il discorso da te fatto mi fa venire in mente il pensiero di Lacan sulla jouissance. Per Lacan la struttura plasma anche il suo antagonista, ciò che combatte, ossia un tempo aveva una funzione proibizionistica (il divieto di godere), mentre oggi si è del tutto capovolta. Oggi si è in preda alle pulsioni più sfrenate, alla totale dissolutezza, alle trasgressioni più indicibili, costantemente martellati da inviti alla sessualità e al piacere; si invita a fare qualcosa al punto di disinibirla. Questo perchè si tratta di un godimento imbellettato e mascherato, fittizio, ossia di quel surplus spogliato della componente mortale e confezionato ad hoc per non spingerlo fino alle sue conseguenze estreme. La jouissance invece è – in questo senso – qualcosa che va al di là del principio di piacere, qualcosa di più vicino ad un eccesso mortale, e cioè al dolore. La Gainsbourg che passa dall’orgasmo del prologo al taglio del clitoride mi sembra l’emblema di questo processo involutivo, il sesso di per sè divenuto insufficiente. E’ azzardato come paragone?

          • giovannicazzin / 13 Luglio 2013

            @thetruth

            però la jouissance è inter-detta, se non ricordo male, e proprio in quanto inter- sta nella legge, che sì la proibisce ma appunto su questa proibizione si fonda, perché appunto la jouissance è il desiderio impossibile, ovvero irrealizzabile, nel senso che è nell’inconscio e dell’inconscio e non può superare il super-io. non so che rapporto tu abbia con deleuze, però non mi pare ci si debba per forza spingere a parlare di jouissance, di desiderio di godimento sessuale, anzi basta soltanto parlare di desiderio, perché è il desiderio, di qualunque natura sia, a destabilizzare la società. ora, qual è il desiderio della gainsbourg? perché se è il sesso, sono d’accordo, ma allora lei non sarebbe altro che una ninfomane, o è invece più vicina alla figura tragica della madre qual è stata per esempio la medea, colpevole (almeno nella propria coscienza) della morte del figlio? e, se così fosse, saremmo già dalla prima scena fuori dalla società (e infatti la gainsbourg è quella che si sente in simbiosi con la natura per praticamente tutto il film, quindi già da prima), ma allora il taglio del clitoride come punizione o pena sarebbe superfluo, se interpretato secondo la teoria della jouissance…

  3. thetruth / 13 Luglio 2013

    @giovannicazzin

    Esatto, qual è il desiderio della Gainsbourg? A me sembra la pulsione di morte, cioè questo continuo protrarsi nel suo fallimento alla ricerca della Cosa Impossibile. Ecco perchè parlo di traslazione in virtù del cambiamento del contesto, e quindi della struttura imposta: società —–> sesso; natura (dove gli istinti non sono contenuti, anzi) —–> dolore, dove come giustamente tu dici, la proibizione è inclusa nella struttura, cioè è la normatività del sistema che determina il desiderio (anche se riguardo alla sessualità Foucault lascia uno spiraglio aperto che contraddice in parte questa tesi, ma non voglio divagare).

    • giovannicazzin / 14 Luglio 2013

      sì, siamo d’accordo, anche se io non sarei così pessimista nei confronti della natura. la gainsbourg è la morte della madre, e il dolore che prova è fondamentalmente un dolore societario, che la natura spiana. in questo senso il taglio del clitoride potrebbe essere letto senza paura di divagazioni in termini foucaultiani, ovvero di sesso come ‘significante unico e significato universale’, cioè come creazione della società che la donna naturalizzata, la donna della e nella natura sente di non aver più bisogno (e guarda caso è la Gainsbourg è la madre-morta, la madre che ha perso il figlio per la jouissance ecc)

      @thetruth

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