Recensione su Fortunata

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Le esagerazioni della coppia Castellitto-Mazzantini / 14 Ottobre 2019 in Fortunata

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Quando, ieri sera, mi sono accorta che, su Amazon Prime Video, era disponibile questo film con due attori italiani che mi piacciono molto -Jasmine Trinca (per questa interpretazione, premiata a Cannes, nella sezione Un certain regard, e, poi, con un David e un Nastro d’argento) e Alessandro Borghi (Nastro d’Argento come non protagonista)- non mi sono neanche posta il problema di ricordare chi l’avesse diretto. Perciò, i titoli di testa sono stati una mazzata.
Regia: Sergio Castellitto.
Sceneggiatura: Margaret Mazzantini.
Nuooooo…

Benché Castellitto-attore mi piaccia (quasi) sempre, non reggo l’accoppiata artistica con la moglie scrittrice. Proprio non ci riesco. Ci ho provato, pentendomene sempre (vedi, Non ti muovere e La bellezza del somaro). Ma mi sono detta: “Vabbuò, dai, magari stavolta…”.
Invece, no. Mannaggiammé.

Le esasperazioni tipiche del performer Castellitto e le esagerazioni con scarso senso del causa-effetto della Mazzantini si ripresentano anche in questo film che, pure, parte molto bene, con una descrizione decisa e calibrata di alcuni personaggi.
Oltre all’eccellente Trinca, bella, addolorata e dolorosa, e a Borghi, perfino mal sfruttato nella sua capacità di incarnare un personaggio così sensibile e fragile, c’è la bambina, Nicole Centanni che apre in un istante un mondo di sofferenza e violenza con disarmante semplicità: la Centanni rappresenta un ottimo lavoro di casting, con quel volto “vecchio” che, in qualche modo, per la sua maturità (non per motivi fisionomici), mi ha ricordato quello di Pippi, la protagonista di un (per me) felicissimo precedente di Castellitto, Il grande cocomero (1993) di Francesca Archibugi.

Poi, basta. Per me, i pregi del film si fermano qui. Perché tutto va a catafascio, tra semplificazioni, improbabilità (ma davvero la scenata davanti ai CC dovrebbe essere convincente e, magari, realistica?), musiche usate a sproposito (dai Cure ai Creedence, passando per Anthony & The Johnson… Forse, Vivere di Vasco è l’unico brano usato a capocchia), dialoghi non troppo credibili, luoghi comuni, personaggi didascalici nati da una visione idealizzata di un contesto come quello della periferia romana (imbarazzante la caratterizzazione delle “ragazze di borgata”) che, a tratti rammenta certe trovate di Ozpetek (sarà un caso che la fotografia di Fortunata sia curata da Gian Filippo Corticelli, che ha lavorato spesso con il regista turco?).
A questo proposito, il medico psicologo di Stefano Accorsi (che, guarda un po’, ha lavorato con Ozpetek) è la summa (in negativo) della nevrastenia castellittana. Oltre ad avere il grido facile, è un uomo moralmente discutibile, deontologicamente scorretto (a dispetto di quel che dice), che dichiara che una sua paziente non ha bisogno di supporto psicologico, pur di non impegnarsi (sentimentalmente? Io direi sessualmente) con la madre, invece di trasmettere il caso a un collega, lasciando creature incolpevoli in balia di un sistema malfunzionante. Non dico che questa opzione di cui ciancio sia la prassi (non conosco le procedure burocratiche del SSN), ma, accidenti, se il buongiorno si vede dal mattino, non mi stupisce che, alla fine, nasconda a quella sfortunatissima di Fortunata (la Trinca) la vincita milionaria al Lotto fatta con i preziosi numeri costati, infine, l’internamento a Chicano (Borghi). Che, poi, forse, devolva questi soldi ai migranti (non è chiaro il gioco di aggrottamenti di fronte di Accorsi mentre guarda la tv) non lo salva dall’essere un mistificatore.

Nel complesso, questo della premiata ditta Castellitto-Mazzantini è un film abbastanza inutile (quanto l’uso della tragedia di Antigone come metafora della liberazione della protagonista), didascalico e inutilmente esagerato. In sostanza, cosa vuole dirci? Aiutati che il Ciel t’aiuta? Sai che novità.

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