Recensione su La storia della principessa splendente

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Kaguya / 25 Maggio 2016 in La storia della principessa splendente

Una minuscola principessa luccicante fa capolino da un fusto di bambù. Un tagliatore di bambù la trova e la porta a casa con sé, considerandola un tesoro donato da una qualche forza soprannaturale. Lì questa principessina si tramuterà magicamente in una neonata che cresce rapidamente, proprio come una pianta di Bambù. Ascoltandolo in italiano il nome di questa bambina ci è stato celato, chissà per quale ragione poi. Comunque non è questo l’importante. L’importante è questa famosa leggenda giapponese, che è stata rimodellata e adattata dal maestro Takahata, sia qualcosa di più di una criptica leggenda. E ciò che accade a Kaguya, ciò che diventa sotto gli occhi del resto del mondo, non è importante tanto ai fini della trama, quanto per definire la sua persona e le sue scelte. Per definire questo irraggiungibile tesoro, che può essere stretto fra le dita di un unico personaggio, anche se per pochi secondi.
Kaguya è un spirito della Luna (letteralmente il suo nome significherebbe ” notte splendente), mandata sulla Terra. E’ una bambina che è cresciuta troppo in fretta, in un mondo semplice, per essere mandata in un altro mondo fatto di cose non dette. E non ci sono proteste da parte sua quando le viene chiesto di andare via dalla campagna, non ci sono lamenti da parte della principessa splendente, c’è solo un rispetto soffocante nei confronti di genitori che di fatto non hanno fatto nulla per non meritarlo. Non esiste per Kaguya una scelta vera, in nessuna delle fasi della sua vita. C’è solo una sofferenza che non si può evitare per vivere su questa terra. C’è solo una ragazzina come tante altre, che ha doveri e compiti, e circostanze. Ha un mondo che si aspetta molto da lei, e alla quale non può sfuggire. C’è solo una principessa splendente che non emette nè luce nè calore, ma la riflette e proprio come la luna incostante e mutevole. Silenziosa e irraggiungibile, come un arcano mistero della vita, quasi primitivo.Eppure così umana nella sua natura così trascendente, così umana in una maniera puramente emotiva e quasi mai fisica. Con un espressività resa dai suoi lineamenti tratteggiati a carboncino, senza definizione, senza umanizzazione, eppure capaci di sguardi profondi. Una principessa che viene presentata al mondo con un nome che non basta a definirla, con parole che con bastano a descriverla. E quando finalmente scappa via, lo fa proprio alla festa che la introduce in società. Superando barriere di spazio e tempo, viaggiando al di là di forma e colore, ma rimanendo ancora profondamente umana. Raffigurando quella sensazione provata da centinaia di ragazzine di scappare via, di allontanarsi da tutto, di tornare all’origine, all’infanzia. E proprio quel malessere la trasforma in accennati scarabocchi, sotto lo sguardo vigile della luna, che quasi insensibilmente guarda la sua creatura che non solo ha perso, ma che sta lasciando perdersi. E tutto questo solo per farle capire che dopo la spensierata primavera e la dolce estate, arriva anche l’inverno.

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