Recensione su Zabriskie Point

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13 Maggio 2014

Visionario ritratto delle utopie sociali sessantottine, nella loro versione statunitense, quindi condite dai temi della violenza e della ghettizzazione, Zabriskie point è il secondo film americano di Antonioni, girato dopo Blow-up, del quale però non replicò il successo.
Criticato per la presunta superficialità nell’analisi della società Usa, a mio avviso è invece proprio tale superficialità che ben dipinge il nichilismo di alcuni giovani dell’epoca, impegnati sì, ma non convintamente, come mero sfogo anti-sistema che può ben trovare altre vie di fuga, per l’appunto, in una non so quanto biasimevole vacuità interiore (che è forse soltanto leggerezza del vivere).
La denuncia del sistema è infatti teoricamente forte ma non incisiva, se non quando riporta gli eccessi della polizia californiana, che incidono anche sulla brutta fine del giovane protagonista (Mark Frechette, attore esordiente, preso dalla strada e catapultato sul set, e che farà una brutta fine anche nella vita reale, morendo in carcere, dove scontava una pena per una rapina in banca, in circostanze non del tutto chiarite).
Il film si ricorda principalmente per alcune riuscite scene oniriche: quella dell’amore collettivo nel deserto, che venne ostacolata anche per via giudiziaria dalle autorità, e il caotico finale in cui la protagonista femminile sogna l’ecpirosi, l’apocalisse consumistica come catarsi sociale (l’esplosione del frigorifero, e non solo, ripresa da vari punti e reiterata).
Ma Zabriskie Point si ricorda anche e soprattutto per i magnifici scenari della Death Valley e del deserto del Mojave: non solo il luogo che da il titolo alla pellicola, quello spettacolo di affascinante desolazione che la natura ha regalato al deserto della California e che rapì il regista a tal punto da far ruotare il film attorno ad esso (come lo capisco!). Non solo Zabriskie Point, ma anche le suggestive depressioni saline di Badwater e Devil’s Golf Course, e in generale tutti quegli scorci che rendono la Valle della Morte quel capolavoro paesaggistico che molti vi riconoscono.
Rivalutato nel corso degli anni, questo film non può che rimanere una chicca di un autore che è, a tutti gli effetti, uno dei più grandi registi italiani e in generale della storia del cinema.

4 commenti

  1. schizoidman / 14 Maggio 2014

    Grande film e grande colonna sonora. E pensare che alcuni considerano questo gioiello di Antonioni “datato”. Per me, invece, è uno dei suoi film più belli e suggestivi.

  2. hartman / 14 Maggio 2014

    @schizoidman, io lo vedo tutt’altro che datato, anche perchè descrive un periodo ben preciso e quindi in tal senso ha una connotazione storica che non lo renderà mai datato… Anche a me è piaciuto molto, ancor di più dopo essere da poco tornato dalla Death Valley e aver apprezzato dal vivo quei paesaggi a dir poco spettacolari, suggestivi, lunari, quasi irreali… e Zabriskie point è probabilmente lo scorcio più bello…

  3. paolodelventosoest / 19 Maggio 2014

    Questa recensione mi incuriosisce su un film e un regista che – mea culpa – non ho ancora avuto modo di incrociare…

  4. hartman / 19 Maggio 2014

    come sei messo col post-neorealismo @paolodelventosoest?
    a te che piace Altman, se ricordo bene, uno come Antonioni (che ha ispirato Altman) dovrebbe piacere, anche se Zabriskie point è uno dei suoi film più controversi…

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