Recensione su Oldboy

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“Non è che vada molto meglio, vivo solo in una prigione più grande” / 30 Novembre 2013 in Oldboy

La premessa doverosa che mi sento di fare è che non ho alcuna conoscenza del fumetto di Nobuaki Minegishi e Garon Tsuchiya, a cui Park Chan-Woo è andato ad attingere per elaborare il suo secondo capitolo della trilogia della vendetta. Ma cercherò di recuperare la controparte cartacea per curiosità e per porre un dovuto confronto, soprattutto visto che ho apprezzato tantissimo questa pellicola.
Cos’è Oldboy? Credo, senza girarci intorno, una delle storie di vendetta più belle e costruite del panorama cinematografico. Forse per questo Tarantino l’ha definito come “il film che avrei sempre voluto fare”. La trama è coinvolgente, non voglio scendere nei dettagli e nemmeno fare una recensione spoiler, perché la storia merita di essere vista dall’inizio senza alcuna anticipazione per poterla apprezzare appieno. Oldboy è un armonico mix di vari elementi. Vi è azione, caratterizzata da una violenza cruda e più “emotiva” che fisica, a cui Park Chan-Woo ci aveva già sottoposto nel precedente Mr. Vendetta. Ma vi è soprattuto mistero, intrigo, domande. Il film porta avanti con sé una serie di punti interrogativi a cui lo spettatore è chiamato a giungere alla scena finale per avere tutte le risposte, proprio come la tragica figura di Oh Dae-su. Spogliato della sua vita, privato della sua libertà, restituito dopo anni alle fauci di un mondo malato (“una prigione più grande” come viene detto nel film), in cui egli è costretto a vagare alla stregua di un fantasma, carico di rabbia contro qualcuno di cui non conosce nemmeno il volto e, appunto, di innumerevoli domande, che sembrano divorarlo dall’interno e rendergli la sua esistenza svuotata di un qualsiasi altro scopo.
A tutto ciò vanno aggiunti una regia ottima, una colonna sonora affascinante, dei dialoghi ben studiati e delle interpretazioni notevolissime (Choi Min-sik e Yu Ji-tae su tutti). Chi ama il genere non rimarrà affatto deluso.

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