Recensione su The Alienist

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Fuori tempo massimo / 7 Maggio 2018 in The Alienist

Temo che, per quel che mi riguarda, The Alienist sia arrivato fuori tempo massimo. Dopo The Knick e la prima stagione di Mindhunter, un prodotto di questo tipo, realizzato in questa maniera, intendo, è -per me- superfluo e stucchevole. Per quanto ami le storie che raccontano la genesi di qualcosa, questa serie tv (ancora nessuna notizia su una possibile seconda stagione) non mi ha coinvolta e convinta come, sulla carta, avrebbe potuto.
Cary J. Fukunaga (True Detective) in produzione, Hossein Amini (Drive) alla sceneggiatura e un manipolo di registi che hanno diretto serie che mi sono piaciute (Penny Dreadful, Black Mirror) mi sembravano un’ipoteca sufficiente.
Invece…

Nel complesso, il prodotto sembra sia stato confezionato per mostrare l’abilità delle maestranze coinvolte (scenografi, costumisti, macchinisti impegnati in articolate inquadrature aeree) e del dispendio di mezzi messi in campo per ricreare, sul set o in post-produzione, la New York di fine Ottocento.
A fronte di una ipertrofica profusione di dettagli d’ambiente, però, The Alienist difetta di una trama davvero accattivante e di protagonisti capaci di sviluppare nel pubblico empatia e coinvolgimento emotivo (leggi, affezione). Kreizler (Bruhl) è semplicemente antipatico e la sua brama di conoscere le “motivazioni del Male” sanno un po’ di stantio (dopo Mindhunter, appunto). Moore (Evans) è il classico Watson che si adegua volente o nolente ai cambi d’umore e alle repentine intuizioni (puntualmente, segretissime) del suo Sherlock. Sara Howard (la Fanning Sr.) è un concentrato di stereotipi reiterati (fin dalla sua apparizione, ci tiene a ricordare a ogni piè sospinto che è una donna emancipata).

Insomma, tolta la confezione sfavillante a cui hanno fugacemente prestato il volto anche i redivivi Michael Ironside (Morgan) e una semi-irriconoscibile Sean Young (la madre di Van Bergen), The Alienist mi è parso è un racconto estremamente convenzionale, scarsamente accattivante al di là della sua cornice storica (che, giusto per fare continui confronti, Soderbergh ha saputo sfruttare meglio e con incredibile profitto nel citato The Knick) ed eccessivamente diluito da situazioni fini a se stesse (es. la relazione dell’Isaacson con la ragazza ebrea; la rappresentazione quasi agiografica di Roosevelt; il ragazzino piromane).

A conti fatti, confezione pregevole a parte, la serie non mi ha soddisfatta.
Ad ogni modo, un merito ce l’ha: potrei dare una chance al romanzo omonimo di Caleb Carr da cui è tratta la serie, per vedere se quelli che ritengo siano i difetti del prodotto tv affondano o meno le proprie radici nella loro matrice letteraria.

4 commenti

  1. Federico66 / 7 Maggio 2018

    Urca, sei stata cattivella 🙂
    A parte la battuta, in realtà condivido molte delle cose che hai detto, ma allo stesso tempo nel complesso il prodotto mi è piaciuto.
    Il vero problema, forse, è che oggi l’offerta televisiva è così ampia che è difficile trovare qualcosa di veramente originale, inoltre, per forza di cose è quasi impossibile non metterli a confronto. Risultato, come dici tu, alcune cose arrivano “Fuori tempo massimo”. E’ chiaro che alcuni prodotti proprio non si riesce a guardarli, ma altri, come questo, hanno probabilmente l’unico difetto di arrivare tardi.
    Spero di non essere frainteso, non sto giudicando la tua recensione, sto solo riflettendo sul fatto che dopo aver visto alcune produzioni, è difficile non usarle come riferimento quando si vede qualcosa di simile. Di solito cerco di valutare quello che vedo, senza farmi influenzare da quello che ho visto, ma non sempre ci riesco, inoltre, in qualche modo l’originalità andrà pur premiata.
    Scusa la digressione, ma mi piacerebbe conoscere il tuo (vostro) parere.

    • Stefania / 7 Maggio 2018

      @federico66: penso che, proprio perché “l’originalità andrà pur premiata”, non premio The Alienist 🙂 Non è solo il confronto con opere simili più azzeccate (ovviamente, a parer mio) a farmelo valutare così negativamente, ma anche la mancanza di qualsivoglia minima peculiarità che sia in grado di rendere questa produzione speciale, indimenticabile. Che so… Non c’è una particolare scelta musicale, estetica (scenografica o di costumi) o cromatica, i protagonisti (Isaacson a parte 😉 ) non hanno una caratterizzazione curiosa o dettagli significativi (es. un tic, una mania, un piatto preferito, ecc.) che vadano al di là dei traumi segreti che li hanno segnati. Insomma, sontuosità scenografica e dialoghi sottili e verbosi a parte, mi è sembrato un prodotto povero. Peccato (per me), eh! Contavo di divertirmi 🙂

  2. Federico66 / 7 Maggio 2018

    @stefania: chiarissima.
    PS: però l’antipatia di Kreizler è peculiare 😉

    • Stefania / 7 Maggio 2018

      @federico66: eh, manco quella è una peculiarità vera e propria, secondo me 😀 è antipatico quanto può esserlo Sherlock Holmes (e, come lui, ha la mania di fare deduzioni brillanti e di tenere all’oscuro i suoi collaboratori quasi con lo scopo -secondo me, malcelato- di provare profondi brividi di soddisfazione vedendoli stupiti e ammirati 🙂 Per esempio, hai presente quando non c’è verso di fargli spiegare perché vuole andare a teatro invece che fiondarsi a presidiare la possibile scena dell’ultimo delitto del killer? Povero Moore/Watson…

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