Recensione su One Piece

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Un live action che trasuda amore e passione per l’opera originale / 3 Settembre 2023 in One Piece

Innanzitutto sfatiamo quel mito secondo cui vi è una sorta di maledizione che impedisce ai live action di prosperare. Certo, di adattamenti scadenti la cultura mainstream ne è piena ( l’ultimo Knights of the Zodiac uscito al cinema ne è un esempio ) ma è altrettanto vero che, nel corso della storia, alcuni picchi sono stati raggiunti, e non parliamo certo di opere sconosciute.
Basta solo pensare al quel piccolo gioiello di ”Ichi the Killer”, tratto dal manga di Hideo Yamamoto, diretto nientepopodimeno che da Takashi Miike, che a sua volta ha adattato cinematograficamente anche un altro cult, ”L’immortale” di Hiroaki Samura, con il titolo internazionale di ”Blade of the Immortal”, sempre con buoni risultati.
Come non includere, a questo punto, ”Battle Royale”, che pur nascendo come romanzo dalla geniale penna di Koushun Takami, il seinen pubblicato più avanti, sempre a cura dello stesso Takami ( con i disegni di Masayuki Taguchi ), si è imposto nella storia come uno dei manga più iconici nel panorama fumettistico, tanto da essere adattato cinematograficamente nel 2000 dal regista Kinji Fukasaku ( con interpreti del calibro di Beat Takeshi ) divenendo anch’esso oggetto di culto.
Per non parlare di ”Old Boy”, capolavoro indiscusso di Park Chan-wook, che per quanto diverga in molti aspetti dal manga di Garon Tsuchiya e Nobuaki Minegishi, resta pur sempre un adattamento.
Quindi asserire ( o scrivere ) che questa maledizione si è interrotta, o che magari continua a esercitare il suo influsso negativo, è oggettivamente falso.
Altra premessa importante, prima di parlare del prodotto in questione, è che One piece, il manga originale di Eiichiro Oda, nel suo excursus storico ( soprattutto in particolari accadimenti ) ha sempre diviso il fandom, ossia la comunità di appassionati che condividono un reciproco interesse per l’opera.
Ovviamente da questo progetto non si poteva aspettare altro, ma la natura intrinseca della trasposizione, le cui numerose licenze lo allontanano dalla controparte cartacea, ci portano a considerare che in fondo la serie è più adatta ai neofiti dell’opera, o addirittura a chi non ne ha mai usufruito. Da qui il motivo della sua stessa ”esistenza”.
Ma la serie Netflix è riuscita nel suo intento di ricalcare, almeno superficialmente, la livrea romantica ed estatica dell’opera originale?
La riposta è si, e non in virtù di una sceneggiatura che ha dovuto necessariamente adattare la bellezza di quasi 11 volumi in appena otto puntate, tagliando e rimaneggiando la stessa opera, che per intensità e profondità appare tendenzialmente piatta rispetto alla sua matrice originale; bensì per i suoi interpreti, ossia il parterre di personaggi che forma e dà vita alla ciurma di cappello di paglia, e che rende più vivo e ”reale” quel world building bislacco e stravagante che il geniale Eiichiro Oda ha saputo creare, e che rende One Piece, ogni giorno, da quasi trent’anni, una delle epopee più chiacchierate e discusse.
La serie intrattiene, e offre anche a chi di One Piece ormai ne è quasi uno storico riconosciuto, la possibilità di evadere momentaneamente dal fumetto, per fiondarsi quasi in una nuova avventura.
Del resto, il papà di Luffy, il buon Oda, ha supervisionato il tutto, e questo lo si respira anche in vicende totalmente nuove, confermando che l’adattamento non è una mera simulazione di eventi, bensì l’opportunità di esplorare nuove cose, in mezzi di comunicazione diversi.
Le scene di azione sono frenetiche, e rispettano ( con un budget di certo non illimitato ) il battle shonen che è il manga, per quanto strane e fuori dal mondo possano sembrare. Ma è strana e fuori dal mondo la stessa opera, ed è questo il vero metro per misurarla.
Ovviamente non fila tutto liscio. Si avverte, soprattutto in alcuni momenti, l’approssimazione e la superficialità derivante dalla corsa a narrare gli eventi, in modo da coprire negli otto episodi tutte le saghe prefissate.
Per chi ama l’opera, questo è un duro colpo, soprattutto per le innate capacità dell’autore del manga, che, soprattutto nelle prime fasi dell’opera, si prendeva tutto il tempo per imbastire una storia che potesse caratterizzare al meglio un personaggio. Eiichiro Oda, infatti, è molto probabilmente il miglior storyteller in grado di donare a un suo caratterista un flashback emozionante e strappalacrime.
Per quanto riguarda il comparto tecnico, non ho particolarmente apprezzato l’uso del fisheye, ma le inquadrature nel loro insieme riescono ad attrarre l’occhio, come se si stesse leggendo veramente un fumetto.
La fotografia è limpida nel suo uso alternato di tinte scure e accese, e le location costruite interamente a mano sono piccoli capolavori di architettura, che riescono persino a nascondere quella sensazione di imbarazzo, che si prova, a volte, quando i costumi ( o gli accessori ) di alcuni caratteristi paiono più materiali per cosplay.
In definitiva, la serie Netflix, con i suoi pregi e i suoi difetti, oltre a sprizzare libertà e galanteria piratesca, rappresenta anche un’ottima occasione per iniziare ad avvicinarsi a un’opera che ha letteralmente smosso il cuore di mezzo mondo.

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