Recensione su Cyclo

/ 19957.016 voti

M / 17 Maggio 2021 in Cyclo

In Cyclo la trama e i personaggi sono poco più che un pretesto per disegnare un quadro vivissimo, tragico, colorato, rumoroso, del Vietnam di fine secolo scorso: un girone infernale di miseria, crimine, squallore nati da un’illusione politica tradita che solo un’antica fede buddhista, secondo quanto ci mostra il regista nel finale, può almeno parzialmente arginare.
E spesso i nessi narrativi sono poco chiari un po’ per la laconicità dei personaggi (il sonoro del film è fatta più di rumori che di parole) un po’ per la furia narrativa di Trần Anh Hùng, che sperimenta, rischia, azzarda, cita, monta fuori da ogni regola, senza preoccuparsi troppo di coerenze o di logiche, spingendo la violenza fino a esplosioni apocalittiche o a momenti ambiziosamente autoriali che tradiscono o contraddicono la vera forza del film: la sua qualità documentaria e la ricchezza della sua visione. Ma basterebbe la grande festa buddhista finale a mostrare il talento registico dell’autore, oltre alla maestria del direttore della fotografia Benoit Delhomme, e basta la scena dell’elicottero rovesciato in pieno centro di Saigon a dimostrare come chi sa guardare trova cose sorprendenti anche fuori dal profluvio narrativo.
Se qualcosa manca al regista francovietnamita è il senso della misura, quasi avesse paura di non impressionare abbastanza. Ci riesce, invece: il suo Vietnam ha una forza e una grandezza epica da grande cinema.

Lascia un commento