Recensione su Il potere del cane

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Qualità e difetti / 27 Dicembre 2023 in Il potere del cane

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Non è raro che un film alterni grandi qualità a difetti marchiani. Il potere del cane è uno di questi film. Tra i punti di forza c’è innanzitutto la grande interpretazione di Benedict Cumberbatch, che dimostra qui una versatilità impressionante, calandosi in un personaggio che sembrerebbe lontano da quelli suoi abituali. C’è poi il rapporto tra Phil (Cumberbatch) e Peter (Kodi Smit-McPhee), che appare all’inizio come un molto convenzionale rapporto tra bullo e bullizzato, ma che a un certo punto comincia a trasformarsi in qualcosa d’altro – qui la regia scopre forse prematuramente le carte nell’episodio del primo coniglio, facendoci capire che Peter non è esattamente come appare. Ci sono un’ambiguità e una sottigliezza estreme in quella che per molti versi appare come una seduzione del ragazzo nei confronti dell’uomo adulto, delle cui debolezze è oramai pienamente cosciente: il rapporto rimane ambiguo sino alla fine, con Phil che oscilla involontariamente tra l’antico disprezzo e una riluttante ammirazione e – alla fine – un’incipiente attrazione; e intanto i gesti di Peter, anche minimi, come l’indifferenza ostentata per gli insulti che gli lanciano i lavoratori mentre va ad esaminare un nido d’uccello, rivelano a posteriori un calcolo glaciale e risoluto.

E poi ci sono i difetti. Mi pare innanzitutto che ci sia qualcosa di troppo convenzionale nel ricondurre l’odio del protagonista Phil per tutto ciò che appare debole o poco virile o troppo femminile a un’omosessualità repressa. Anche l’attaccamento edipico che mi sembra presente (se non interpreto male) tra Peter e la madre non è originalissimo, benché serva da motivazione alle azioni estreme del ragazzo. Il film poi non approfondisce il passato da studente brillante di Phil (c’è giusto un’osservazione isolata del governatore), e questo toglie profondità al personaggio; rimane solo il suo orecchio musicale a indicare che la rozzezza è solo una facciata.

Ma il principale punto debole del film mi pare stia nella figura del fratello di Phil, George, che Jesse Plemons e la regia rendono quasi come un ebete non del tutto cosciente del dramma che si svolge sotto i suoi occhi, tanto stordito da essere incapace persino di sottrarre la moglie al terribile imbarazzo della serata con il governatore. Il personaggio diventa in questo modo irritante, distaccato com’è dall’azione principale, mentre il legame con Phil, di cui pure si percepisce la gelosia nei confronti della cognata, risulta di conseguenza quasi inspiegabile.

Jane Campion si fa in parte perdonare queste ed altre mancanze con belle inquadrature, spesso incorniciate virtuosisticamente dalle finestre delle case. Bella anche la colonna sonora e i paesaggi della Nuova Zelanda, che interpreta convincentemente le montagne e le pianure del Montana.

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