Recensione su Il cacciatore

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Opera d’arte / 21 Settembre 2020 in Il cacciatore

La guerra fa perdere la testa, anche la roulette russa. Cosa c’è peggio della guerra? Il cacciatore è uno dei pochissimi film che racconta alla perfezione questo tema comune, senza però a sua volta mostrarla esplicitamente, sicuramente non è un MASH di Altman, che lì seppur si tratti di guerra ne viene preso soltanto un significato scaramantico spiritoso, qui invece c’è il vero è proprio prodotto che la guerra offre ai veterani. De Niro già l’avevamo visto due anni prima in Taxi Driver nei panni di un giovane ex-marine scombussolato e traumatizzato dagli eventi passati nel Vietnam, e quindi c’è la depressione, l’insonnia e l’alienazione, Il cacciatore invece è il presente, la realizzazione fatta di paura e afflizione, e in più ci sono i Viet cong.

Poco da dire sull’aspetto tecnico del film, una regia magistrale combinata ad una fotografia particolarmente ordinata, contraddistinta da un significativo uso dell’ombra, sceneggiatura eccelsa in grado di immergere lo spettatore in un vortice di guerra e amore, delineata da molti silenzi e pause, rendendo inoltre il ritmo molto scorrevole. E niente, un cult che valeva la pena di parlarne.

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