Recensione su Il collezionista di carte

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M / 8 Settembre 2021 in Il collezionista di carte

Racconto circolare (da prigione a prigione) di un condannato per i reati commessi dai militari americani a Abu Ghraib, che gioca a poker e conta e memorizza le carte per non pensare al passato ma che cede ai propositi di vendetta verso un superiore che lo ha usato come capro espiatorio per evitare il carcere. L’anima di Oscar Isaac è talmente erosa dal proprio tormento che la poker-face di cui non si spoglia mai finisce per essere il simbolo molto bressoniano del rifugio da una condizione spirituale torturata tanto quanto le vittime dei crimini compiuti, tormento che avvicina il protagonista al giovane che ha subito le violenze del padre ex militare reduce del conflitto in medio-oriente suicidatosi per il peso delle catene delle proprie colpe – e che ora ambisce a regolare i conti con la nemesi comune ad entrambi. Sono invece il Male (Willem Dafoe) e la Provvidenza (Tiffany Haddish) a esprimere emozioni senza lo schermo di una impassibilità forzata o raggiunta, quando l’inferno personale è talmente schiacciante che la prigione finisce per essere asilo e routine in cui rintanarsi a leggere le Meditazioni di Marco Aurelio. Però il Male forse non è neppure Dafoe, scaltro approfittatore del proprio grado ma proveniente dalla stessa fossa, in fondo un altro bunkeriano cane che mangia cane: il Male è quell’America trumpiana (ma anche pre-trumpiana e post-trumpiana, Trump non fu eccezione, ma degno rappresentante) smargiassa e volgare, ottusa e vuota dell’avversario ricorrente al tavolo da gioco, sempre vestito a stelle e strisce e con le braccia alzate a mostrare i muscoli della vittoria. Uno Schrader forse troppo fedele a se stesso, ai propri temi e alle proprie dissolvenze, anche alle metafore che un pugno di caratteri rappresentano qui in maniera netta e meno sfumata rispetto a una profondità in altre prove più compiuta, che mette in scena un film da una parte datato (stilisticamente sembra venire dal 1998 o giù di lì) dall’altra ancora dotato di un’intensità da oasi cinematografica in cui ripararsi in tempi aridi.

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