Recensione su Ready Player One

/ 20187.0301 voti

Ipertrofico / 9 Aprile 2018 in Ready Player One

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Tolto il bailamme tecnico e tecnologico di altissimissimo livello, grazie a cui Spielberg si conferma un artigiano di lusso che mi pare si diverta ancora molto a fare il proprio lavoro, confesso che Ready Player One mi ha lasciata abbastanza indifferente. Insensibbole che non sono altra. Neppure il ricordo del cuore luminoso di E.T. nella rappresentazione dell’Easter Egg mi ha emozionata: dottore, ho un problema, vero? Me lo dica, non si facci problemi, non si facci.
Sono anche banale, lo so, ma, con rispetto parlando, questo lavoro mi è sembrato semplicemente un film a uso e consumo di svariate schiere di fanboy (come il romanzo d’origine, d’altronde), particolarmente sterile e incapace di diventare a sua volta un racconto di culto. L’effetto-nostalgia, la riproposizione della filosofia di Spielberg (per esempio, condivisa da Eco in un romanzo come La misteriosa fiamma della regina Loana), per cui il mondo, come la nostra memoria, è una soffitta zeppa di tesori pop (che Spielberg stesso ha contribuito a definire ed alimentare), non sono bastati a convincermi e, soprattutto, a divertirmi come speravo.

La narrazione tipica dei classici spielberghiani sembra un accessorio. A parer mio, soffre chiaramente nei confronti di un apparato visivo imponente.
Il senso dell’avventura c’è, ma, paradossalmente, resta molto in superficie, soffocato da un’ipertrofia di immagini e di riferimenti metacinematografici e televisivi che, pur costitutiva e necessaria, mi pare mostri presto tutti i limiti della propria autoreferenzialità.
Perfino le musiche 80’s mi sono sembrate buttate nella mischia perché non-si-poteva-fare-altrimenti. Non ve n’è una che sia capace di fondersi con la storia, con la sequenza di turno. Il commento originale di Alan Silvestri, guarda caso, resta soffocato, quasi non lo si sente. Voi lo ricordate? Io, no.

Spielberg ci ha insegnato che il divertimento può essere altro da questo: è brivido, è sentimento, è un processo creativo giocato alla pari fra lui e il pubblico e, quindi, deve essere supportato da una storia davvero coinvolgente, da una storia chiara, con protagonisti con cui è facile entrare in sintonia (qui, c’è qualche difficoltà proprio in fase di scrittura, perché i personaggi sono particolarmente asettici), in grado di assorbire completamente l’attenzione dello spettatore.
Qui, tutto questo quasi non esiste, soppiantato da una mole incredibile di riferimenti che, se pure include una fetta di audience, per via dei detti difetti ne esclude di prepotenza almeno altre due, quella degli over 50 e degli under 35, poco avvezza alle informazioni usate per costruire il mondo di Oasis. Si tratta di una cosa (per me) praticamente inedita, quando ripenso alla filmografia “fantastica” (e non solo, in fondo) spielberghiana, che, fin dagli esordi, si dimostra molto inclusiva.

Al film, però, riconosco un indubbio merito. Scientemente o meno, con questa operazione Spielberg suggerisce che quelli che per alcuni (Halliday, lui stesso, noi spettatori un po’ agée) sono ricordi di esperienze vissute, per altri stanno diventando oggetto muto di contemplazione, che ben poco trasmette, perché non ha alcuna applicazione nella vita reale (come, nel film, accade già nella città di Columbus). Gli utenti di Oasis e, in particolare i super-esperti biografi di Halliday, non sembrano davvero appassionati delle cose che piacevano a lui: le considerano come nozioni indispensabili a ogni fan che si rispetti (e che, quindi, voglia farsi una reputazione in quel dato ambito) e a chiunque voglia trovare le chiavi per conquistare Oasis. Non c’è piacere in questa contemplazione.
Questo senso dell’accumulo nozionistico, che trent’anni fa, all’epoca dei grandi successi di Spielberg, stava appena affermandosi, mi ha fatto riflettere sulla fame di contenuti che caratterizza questa società iperconnessa, in cui è possibile accedere istantaneamente a qualsiasi contenuto, soprattutto multimediale, e fruirne più o meno distrattamente, per passare velocemente al successivo, in una gara a “chi ha visto/ascoltato più cose”.
Che sia questo il vero Easter Egg di Ready Player One, da ricollegarsi al messaggio “tornare a vivere la vita reale”? Riappropiarsi della passione per le cose? Mah.

8 commenti

  1. SteveJK / 10 Aprile 2018

    Il tuo voto è fin troppo magnanimo. Non lasciarti ingannare dal fiume di emozioni che le centinaia di icone gettate nel film rievocano in te, poiché, funzionalmente, sono completamente staccate dal film, ad eccezione di quelle “dell’hotel scintillante”. Da un “mostro” come Spielberg mi aspettavo di meglio, molto meglio, ma… riguardando indietro, ad Indiana Jones 4, avrei dovuto aspettarmelo.

    • Stefania / 10 Aprile 2018

      @stefano_benvenuto: eh eh, “le centinaia di icone gettate nel film” non mi hanno emozionata neppure un pochino. Alcune si vedevano perfino troppo brevemente per apprezzarle.
      Aspetta: una, però, mi ha fatto fare un sobbalzino al cuore, l’Atari 2600, la mia prima (e unica, sì!) consolle per videogiochi. Ce l’avevo (anzi, ce l’ho ancora). In realtà, manco si vede bene la consolle, né quell’accrocchio di joystick che faceva venire il callo al palmo della mano giocando a Solaris. Però, mi è bastato vedere il mare di cartucce sparse per dire: “Oh!”.
      Per il resto, il voto positivo è dovuto più che altro alle doti tecniche (anzi, tecnologiche) del film. Su quelle, non posso discutere e il lavoro fatto dalla Industrial Light & Magic è oggettivamente inscalfibile. Fatta la media con il resto, ecco la sufficienza.
      P.s.: hai detto Indiana Jones 4? Hai detto qualcosa? Ho sentito un fruscio… (gosh! Andai perfino al cinema a vederlo, brrrr)

      • SteveJK / 10 Aprile 2018

        Sai, ho sempre più l’impressione che nella realizzazione del film, il villain (?) ed il suo esercito di esperti della IOI nello studiare la cultura 80-90 siano uno specchio di Spielberg ed i suoi “scagnozzi” nel realizzare il film. Dubito che lui, da solo, abbia idea di chi o cosa siano tutti i personaggi e tutti gli oggetti apparsi nel suo film.

        L’unico mio “Oh!” è scaturito nella rappresentazione dell’hotel e l’amalgama tra i personaggi e lo stesso (soprattutto nella scena… “liquida”). Per il resto, tutto piatto.

  2. SteveJK / 10 Aprile 2018

    Sai, ho sempre più l’impressione che nella realizzazione del film, il villain (?) ed il suo esercito di esperti della IOI nello studiare la cultura 80-90 siano uno specchio di Spielberg ed i suoi “scagnozzi” nel realizzare il film. Dubito che lui, da solo, abbia idea di chi o cosa siano tutti i personaggi e tutti gli oggetti apparsi nel suo film.

    L’unico mio “Oh!” è scaturito nella rappresentazione dell’hotel e l’amalgama tra i personaggi e lo stesso (soprattutto nella scena… “liquida”). Per il resto, tutto piatto.

  3. Harlan Draka / 11 Aprile 2018

    Scrivi sempre ottime recensioni, complimenti, Stefania. (Lo dico sinceramente.)
    Non credo sia banale quello che hai detto, anzi, penso anche io che questo sia un film ad uso e consumo di un determinato tipo di pubblico (nerd et similia), senza troppi ragionamenti intorno.
    Io personalmente sono stato vittima di un effetto “Luna Park” e mi sono divertito !
    Mentre, invece, Indiana Jones 4 mi ha fatto una tristezza infinita.

    ps. Ad ogni buon conto, “scelgo la forma di Gundam” !

    • Stefania / 11 Aprile 2018

      @harlandraka: che gentile, grazie! (m’imbarasso)
      Anch’io avrei voluto fare un salto sulle montagne russe! 😉
      P.s.: Spielberg minaccia da un po’ un Indiana Jones 5. E pare che il nuovo Indy potrebbe essere una donna! Rivoluzione totale globale!

      • Harlan Draka / 11 Aprile 2018

        Questa volta “Liberal” o come si chiama, mi ucciderà. Più che una rivoluzione, questa sì, che mi sembra una’estrema banalizzazione nell’affrontare tematiche serie come la non discriminazione, la parità tra i sessi e l’uguaglianza.

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