Recensione su Maps to the Stars

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Puzza di morte e peccato / 21 Maggio 2019 in Maps to the Stars

Maps To The Stars puzza di morte e peccato.
Forse, è per questo che è davvero complicato rimanergli abbastanza vicino e resistere al fetore che emana e al raccapriccio che suscita. Anche turandosi il naso, è difficile poterlo scavare adeguatamente in profondità, per scandagliarne gli anfratti più umidi e reconditi.

L’ultimo (per ora) film di Cronenberg, presentato in concorso per la Palma d’Oro a Cannes 2014, è un processo senza appello alla cultura dell’apparenza su cui si basa il consesso sociale.
Sono estremamente sicura che, oltre alla corrosiva critica al mondo di Hollywood e alle convenzioni (in primis, la famiglia), questo film metacinematografico contenga altri messaggi, ma, contemporaneamente affascinata e disturbata dalla sua superficie, non sono riuscita a (non sono stata in grado di) andare oltre, non sono stata capace di leggerne con cognizione gli altri livelli. Eppure, nonostante il carattere repulsivo del film, ne sono rimasta conquistata.

A mio parere, in questo lavoro, dialettica e fisime cronenbeg-iane si fondono correttamente in un ibrido (uno dei concetti più congeniali all’autore) ben più riuscito che negli ultimi film del regista canadese (A Dangerous Method, Cosmopolis). L’uso, la rappresentazione e la corruzione del corpo sono il leitmotiv di un voluminoso racconto a più voci che, infine, si riuniscono in un apocalittico magma indistinto, un nuovo brodo primordiale in cui sembriamo destinati a precipitare.

Maps To The Stars è calce viva che brucia e sfregia le carni (come il fuoco ha fatto con il corpo di Agatha/Mia Wasikowska), senza risparmiare niente e nessuno. Nel suo apparente lucore ironico (esaltato dalla fotografia luminosa del fidato Peter Suschitzky e dalle musiche discrete ma pervasive dell’altrettanto fedele Howard Shore), il film di Cronenberg è tetro e spaventoso come pochi horror puri.

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