Il cinema italiano di qualità è destinato,in un modo o nell’altro,a farsi da parte,minacciato dal crescente dominio delle commediole che incassano tanto e che non si ritraggono quasi mai.Il poco cinema Italiano che non sia prevalentemente commerciale è sotto ostaggio della politica(specialmente della Sinistra),dell’ecumenismo in genere,dell’assordante e liberatoria auto-proclamazione di classe elevata.Tratto da un romanzo discretamente riuscito di Paolo Giordano,”La solitudine dei numeri primi” è un’attenta contemplazione sul significato del dolore e sulla dolorosità della cura.Costanzo,che ha un tocco vagamente neo-realista e che si auto-importa nel buio e triste caos amniotico della vicenda,non riesce nell’impresa di trasportare sul grande schermo un romanzo di puro stampo sociale senza quindi incappare nel patetismo delle figure.Alba Rochwaller e Luca Marinelli,si prestano a questo gioco al massacro che prevede più vittime e meno complici del solito.La storia narra di Alice,triste anoressica zoppa,che risulta un personaggio troppo vicino al patetismo e alla pietà civile,per auto-commeserarsi(ci) e di Mattia,auto lesionista colpevole di aver involontariamente provocato la morte della sorellina affetta da autismo.Le loro vite si incroceranno.Entrambe le figure dei due protagonisti,lontane dalla rappresentazione schematica del romanzo,rappresentano due singoli individui con difetti e pregi e problemi,che uniti a coppia,cercano di superarli.E invece li raddoppiano.Non è un capolavoro “La solitudine dei numeri primi”:Nella sua tempestiva audacia si dimentica di considerare punti importanti nella vicenda e cerca di autocontrollarsi,diventando il più casto possibile.Inoltre,l’idea di svolgere il film in periodi storici discostanti,che nel romanzo era riuscita benissimo,stavolta perde di lucidità e non permette spunti ben più importanti di quelli semplicistici.Come al solito,il confronto con il romanzo è impetuoso:Dove il libro di Giordano ampliava più gli aspetti metafisici e surreali della vicenda,Costanzo permette alla sua macchina di presa non di ricrearsi negli archivi della memoria e nei meandri della mente dei protagonisti,ma bensì di gurdarli con sguardo attento e consolatorio,verso un mondo nuovo che appare impossibile.A parte qualche netta differenza con il romanzo,si dimostra un adattamento affidabile e preciso,che ricostruisce sullo schermo ciò che nel romanzo veniva solo accennato.Notiamo un progressivo aumento di colore e mescolanza di atmosfere:Mentre si parte dal liceo,in cui i due si incontrano e iniziano a condividere i loro problemi,si finisce in un luogo che sembra magico,in cui i problemi non esistono,o meglio passano in secondo piano.Comunque,il film tocca tasti importanti:Il senso di colpa per la morte di un caro,l’anoressia,il disagio sociale,l’auto-fustigazione.Soprattutto quest’ultimo tratto è reso splendidamente nel film:Mattia si punisce non perchè pensa di aver provocato la morte della sorella,ma bensì perchè lui sa che avrebbe potuto aiutarla e non lo ha fatto.C’è tanta,ma tanta,ma tanta carne al fuoco,che rischia di bruciare inesorabilmente e di ridursi in cenere e in poltiglia.Ottime le interpretazioni dei protagonisti,le musiche interessanti,i vari riferimenti all’infanzia,ma può risultare dannosa la sovra esposizioni a cambiamenti temporali e l’assordante tempestività dell’azione.”La solitudine dei numeri primi” è un lento e solenne harakiri umano,che non coglie ciò che c’era da cogliere e non si fa apprezzare.Insomma,alla fine,si resta con l’amaro in bocca.
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