9 Recensioni su

L'isola dei cani

/ 20187.7222 voti

Cani in Giappone / 4 Aprile 2020 in L'isola dei cani

Bello e particolare questo film d’animazione di Wes Anderson (che si era già cimentato in animazione stop motion con Fantastic Mr Fox).
Siamo in Giappone: un piccolo prologo in cui si “spiega” l’avversione dei Kobayashi nei confronti dei cani; poi passiamo al 2038 dove un’epidemia (di questi tempi tristemente familiare) di influenza canina colpisce
tutti i cani. Per evitare che si propaghi all’uomo, il sindaco della città di Megasaki, Kobayashi, firma un decreto per bandire i cani e metterli in quarantena su un’isola usata per lo smistamento di rifiuti.
Film particolare dove gli umani si esprimono nella loro lingua madre (giapponese) risultando, per noi, spesso incomprensibili mentre i cani parlano la nostra lingua. Il film si sofferma sul giovane Atari che arriva
sull’isola dei rifiuti per cercare di ritrovare il suo cane, Spots. Gli altri “protagonisti” sono 5 cani tra cui spicca il randagio Chief mentre gli altri sono cani domestici che sono stati esiliati per l’epidemia.
Simpatico il cane che sente i pettegolezzi: “avete sentito di quello che…”
Il film è interessante, particolare, divertente e basato sull’amicizia tra cani e umani.

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L’Isola dei Cani / 13 Ottobre 2019 in L'isola dei cani

Non ci ho capito nulla a una prima visione, ma ora ho un urgente bisogno di adottare un cane pelo corto bianco a chiazze nere.

Piccola poesia…. / 5 Gennaio 2019 in L'isola dei cani

Eeeh… non c’è niente da fare: Anderson ci azzecca sempre!
Detto da un amanti di cani, potrebbe sembrare un’opinione di parte ma non credo lo sia, perché questa pellicola d’animazione trasuda poesia.
La storia, già molto bella di per sè, da spunto a molte riflessioni e le ambientazioni in questo stile nipponico rendono tutto migliore!
Toccante e commovente, un bel 7,5!

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Il migliore amico dell’uomo? / 2 Agosto 2018 in L'isola dei cani

Si sa che Anderson sa emozionare al punto da far pensare all’infinito lo spettatore, ma questa volta ci è riuscito in modo estremo. Il cane è il miglior amico dell’uomo, metafora filmica dettata da un’opera di avventura. Il senso è quello dell’intera pellicola: non denigrare coloro che sono determinati “diversi”. Il film nel complesso tratta tematiche/problematiche attuali. Da guardare assolutamente con interesse!

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STOP MOTION 2 per Wes… / 21 Maggio 2018 in L'isola dei cani

OPERAZIONE RIUSCITA!!!
Il secondo STOP MOTION di Wes Anderson è andata benissimo.
Una storia molto bella con la solita animazione già usata per FANTASTIC MR. FOX e decisamente riuscita.
Se dovessi scegliere tra i due sicuramente il primo lo preferisco ma di certo questo L’ISOLA DEI CANI al cinema è meraviglioso.
La deportazione dei cani come male estremo… Mi ricorda qualche cosa di estremamente tragico nella storia dell’umanità… Bah… Chissà se ci può stare qualche analogia.
Da far vedere anche ai più piccoli. Un’animazione diversa che può solo aiutare a far capire le varie diversità d’arte.
Bello!!!
Ad maiora!

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Wes Anderson il giapponese / 11 Maggio 2018 in L'isola dei cani

Wes Anderson fa un’incursione nella cultura giapponese, mostrando esplicitamente al pubblico quanto le tradizioni estetiche e narrative del Sol Levante siano radicate in lui e nella sua cinematografia. Qui come mai prima d’ora, forse, i tipici paradossi wesandersoniani, le situazioni estreme e surreali, il piacere per la composizione geometrica, la compostezza formale unita a un’ipertrofica sovrabbondanza di dettagli (e di dialoghi verbosi!) mostrano quanto, più o meno consciamente, il regista texano abbia subito nel tempo l’influenza della cultura nipponica e, ora, sia in grado di fornirne una personale versione.

In questo film, emerge l’amore contraddittorio di giapponesi e Anderson per la contaminazione (di tempi, di stili, di tradizioni, di elementi folkloristici e massmediali).
In sostanza, L’isola dei cani propone argomenti già trattati dal regista, però li pone all’interno di una nuova cornice estetica e (a)temporale. Come da tradizione, sono la separazione, l’incomprensione, la fuga, l’avventura e la risoluzione/il ricongiungimento. Dal punto di vista narrativo, di inedito rispetto al passato, c’è la proposizione di argomenti legati contemporaneamente alla storia e all’attualità. L’esilio e l’isolamento dei cani richiama altri episodi di segregazione realmente avvenuti o in corso nella società umana.
La sublimazione della tesi in un contesto animale e animato alleggerisce la drammaticità dell’argomento e, allo stesso tempo, consente in qualche modo di astrarre la violenza (fisica ed emotiva) presente nel film.

Ho ravvisato un elemento comune a mio avviso molto interessante con il precedente lungometraggio animato di Anderson, Fantastic Mr. Fox. Lì Mr. Fox e qui il cane Chief dicono chiaramente: “(Faccio quel che faccio, perché) sono un animale” (Mr. Fox, in realtà, rincara la dose specificando di essere un animale selvatico). Al di là dell’aspetto elegante (suo e delle sue opere), la natura animalesca e l’istinto ferino sembrano elementi imprescindibili della filosofia di vita di Wes Anderson, o, perlomeno, l’autore ne è quantomai affascinato e interessato. Dopotutto, i suoi personaggi sono perennemente in fuga, alla ricerca di se stessi e di una natura personale dimenticata, smarrita in mezzo alle imposizioni dettate dalla famiglia e dalla società. Tutto questo, però, si affida a un paradosso di natura artistica davvero imbarazzante: pupazzi (e attori/doppiatori) soggiaciono alla volontà del creatore/artefice e non fanno altro che raccontare quello che aggrada a lui, in una rappresentazione parziale (seppur positiva e nobile) della realtà/fantasia.

In sostanza, il film non mi ha colpito dal punto di vista del racconto, davvero sempre simile a se stesso. In particolare, a dispetto di lacrime diffuse a profusione dai personaggi, cosa che non ricordo in altri lavori di Anderson, ho trovato confermata l’asetticità della rappresentazione dei sentimenti. Non che questi non siano presenti, anzi. Si parla di affetto, amicizia, sacrificio in nome dei suddetti. Ma, come di consuetudine, Anderson ha un modo appassionato eppure impacciato di metterli in scena, risultando schematico, rigido.

Certamente, sono rimasta estremamente impressionata dalla resa tecnica del lungometraggio. Dire che l’animazione in stop motion di questo lavoro è sopraffina non è solo banale, ma superfluo. A un certo punto, durante la proiezione, mi sono trovata assurdamente a pensare che i pupazzi in scena fossero dotati di vita propria, tanto i loro movimenti e la capacità di diventare familiari in uno schioccare di dita fosse fluido e naturale.
La qualità generale della messinscena (e, quindi, la maestria registica di Anderson a cui si abbinano artigiani sopraffini, Desplat compreso, senza offesa) è incredibile e travalica qualsiasi metro di giudizio.

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I Love Dogs! / 10 Maggio 2018 in L'isola dei cani

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

A volte ci dimentichiamo chi davvero ci fa sentire bene, a volte capita di non dare troppa attenzione o troppo peso a ciò che ci circonda e che ci aiuta a mantenere il sorriso. Che siano persone o animali, fa poca differenza.
Wes Anderson, con il suo ultimo lavoro, prova a rammentarci quanto sia importante tutto questo.
Isle of Dogs nasce come un film d’animazione che parla di integrazione sociale e difficile convivenza tra specie diverse, ma in fin dei conti è un ritratto del nichilismo dell’essere umano, pronto addirittura a sbarazzarsi dei suoi amici a quattro zampe per puro egoismo.
Si perchè dietro alla trama del film c’è un sentimento di rivalsa e di vendetta, sentimenti decisamente riprovevoli.
La storia inizia nel lontano passato, quando la famiglia Kobayashi, amante dei gatti, decise di sterminare i cani del Giappone, ma un coraggioso bambino samurai tagliò la testa del capo-clan, rendendo così possibile la vita dei quadrupedi nel suo paese.
Col passare del tempo però ci fu un’epidemia di influenza canina che, se non trattata, poteva rischiare di trasmutare e diventare virale anche fra gli esseri umani. Così il nuovo sindaco di Megasaki, un discendente dell’antica stirpe amante dei gatti Kobayashi, propone un emendamento storico: esiliare tutti i cani sull’Isola della Spazzatura, a cominciare dal proprio cane di famiglia.
Dopo sei mesi, circa 250.000 cani sono stati deportati, e quelli che abitano l’Isola si sono adattati, mangiando rifiuti e avanzi.
Il giovane Atari Kobayashi, lontano nipote del sindaco e suo pupillo, adottato dopo la tragica morte dei suoi genitori, parte con il suo piccolo aereo alla ricerca di Spots, il cane di famiglia inviato per primo sull’isola. Qui fa la conoscenza di Chief, un randagio che sopravvive sull’isola da tempo in compagnia di altri quattro cani abbandonati.
L’assurdità della compagnia è a tratti esilarante ma al tempo stesso profondamente significativa: tutti e cinque i cani hanno diversi elementi in comune, pur essendo caratteristicamente differenti. Emblematica la scena del “pasto preferito”: ognuno dice la sua, con gusti decisamente agli antipodi.
Chief inizia piano piano a contemplare l’esigenza di Atari ed il gruppo lo accompagna alla ricerca di Spots, dapprima creduto morto.
Nel frattempo sulla terraferma una giovane studentessa americana in scambio culturale diventa attivista di un movimento pro-cani che urla al complotto di stato: il candidato del partito della scienza infatti afferma di aver trovato una cura per l’influenza canina e di poter curare ogni cane del paese, ma il sindaco è perfido e malvagio, così lo fa uccidere dopo averlo screditato, inviando sull’Isola della Spazzaura cani-drone ed accalappiacani per “salvare” Atari dai suoi rapitori, i cani stessi, pitturati dalla stampa come criminali.
Ma Atari continua il suo viaggio, fino al ritrovamento del suo migliore amico, e da qui fino al finale il film diventa un vero capolavoro sia di tecnica che di contenuti.
Fino a quel punto, ho pensato che Fantastic Mr. Fox (la precedente animazione premio Oscar di Anderson) fosse superiore, ma poi è scattato qualcosa, quella scintilla che mi ha emozionato e fatto ricredere, rivalutando il film ed elevandolo al di sopra del racconto delle allegre volpi-ladro.
Il punto focale del film, a mio avviso, è quello dell’accettazione, in un senso relativamente ampio. Se non ti piacciono i cani, non devi per forza deportarli o sterminarli: basta che non te ne prendi uno! C’è un velato riferimento ai regimi totalitari del passato, anche se mai del tutto chiaro, che ci fa pensare e riflettere: sono davvero gli altri il problema? Non è che magari siamo noi ad avere delle assurde credenze? Non può essere, per una volta, che siano gli altri ad aver ragione?
Tutte domande che Wes Anderson vuole porci attraverso una favola che ha nei cani il giusto e perfetto protagonista: la loro lealtà, la loro semplicità e la loro tenacia sono il fulcro del film, che si muove attraverso quattro “parti” o capitoli, intrecciate perfettamente tra di loro con flashback esplicativi e adornati da una colonna sonora di prim’ordine, l’ennesimo capolavoro di Alexandre Desplat.
La scelta di non tradurre ogni parte in Giapponese è a mio avviso giusta, perchè rende molto bene il concetto di incomprensione: a volte bisogna venirsi incontro anche senza capirsi.
E poi, la scena migliore del film: come a sigillare un matrimonio, Spots chiede ad Atari se vuole Chief come suo cane, e lo stesso viene chiesto viceversa. Perchè a volte noi vogliamo un cane, ma è il cane che non vuole noi, e sarebbe forse giusto chiederglielo. Un concetto che può essere esteso per ogni tipo e forma di rapporto interpersonale.
In conclusione, Isle of Dogs è quel genere di film non per tutti, ma che vuole avvicinare il pubblico a concetti semplici e giornalieri che la vita ci propone in continuazione senza che noi ce ne accorgiamo. Inoltre è bello da vedersi, stilisticamente eccezionale, regia sempre impeccabile, un cast d’eccezione e una sceneggiatura che ti fa provare diverse emozioni, senza tralasciare alcune parti esilaranti, assurde e pienamente divertenti, con magari una lacrima nel mezzo.

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Delusional / 8 Maggio 2018 in L'isola dei cani

Devo farmene una ragione: Wes Anderson non mi emoziona. Il suo stile mi piace un sacco, visivamente è sempre accattivante, originale e mai banale, ha una sua visione del mondo che ripropone in ogni suo film ma non risulta mai ripetitivo.
Il cast è sempre azzeccatissimo, le musiche pure. Piace a tutti, è citato ovunque, sa mettere d’accordo il cinefilo più snob con uno spettatore meno colto. Ma allora perchè, seppure ce la metta tutta per farmelo piacere, nessuno dei suoi film -men che meno quest’ultimo- mi ha conquistato? E la risposta me la sono data dopo una lunga riflessione fuori dal cinema subito dopo aver visto L’Isola dei Cani: Wes Anderson non mi emoziona.
Odio parlare come Simona Ventura giudice di Xfactor, ma non mi è arrivato. Questa per me era l’ultima opportunità che gli avrei dato: una storia raccontata in stop motion su un bambino che affronta un viaggio rocambolesco tutto da solo sfidando un ambiente tossico abitato da cani malati e contagiosi pur di ritrovare il suo migliore amico.
Da grande amante dei cani, speravo di potermi immedesimare un po’ in lui, di provare almeno un po’ di empatia, o affezionarmi ai protagonisti, ma nulla. Passa bene o male l’ora e quaranta e nulla. Ho ripiegato il fazzoletto già spiegato e pronto all’uso, pazienza, ne avrò guadagnato in dignità con i miei vicini di poltrona. Anche quelli che dovevano essere i momenti più toccanti sono passati in sordina.
È comunque un film piacevole, uno spettacolo per gli occhi che merita la sufficienza. Una menzione speciale va a tutti quei genitori che hanno portato i figlioletti allo spettacolo delle 22.30 ed erano pure convinti che fosse un cartone per bambini. Che fossero i loro rumori molesti ad aver rovinato tutto?

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Wes Anderson: More of the Best / 23 Febbraio 2018 in L'isola dei cani

Design strabiliante, attori esilaranti, idee geniali e coraggiose. Ero paralizzato in un sorriso ebete dall’inizio alla fine. La celebrazione dell’animazione come tecnica e non come genere, con innesti di animazione tradizionale fra il resto in stop-motion, e un sontuoso prologo da smontare la mascella. Immagini indimenticabili e una lezione di cinema per chi di lavoro prende sul serio la fantasia.

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