7 Recensioni su

I giorni del cielo

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Il vangelo secondo Malick / 14 Gennaio 2017 in I giorni del cielo

Il secondo lungometraggio di Terrence Malick condivide molti degli aspetti di La rabbia giovane ma anche delle pellicole che seguiranno nella rarefatta filmografia del regista dell’Illinois.
Primo di questi è la voce narrante, lirica, quasi favoleggiante nonostante il dramma che racconta.
Vi è poi l’insistenza sul legame tra uomo e natura, che ha qualcosa di mistico e viene consacrato da paesaggi memorabili in cui l’uomo agisce simbioticamente.
La fotografia rappresenta sicuramente l’aspetto più suggestivo dell’opera, una galleria infinita di immagini bellissime ritratte in colori caldi.
Alcuni close up, che si intensificano nella sequenza dell’invasione delle locuste, arrivano ad assimilare il film ad un documentario in alta definizione, da National Geographic (sembra incredibile che la pellicola abbia ormai quasi quarant’anni di età).
Una regia poderosa che dà il suo meglio nella convulsa scena dell’incendio. Un montaggio in alcuni punti forse affrettato, con dialoghi e situazioni ridotti all’essenziale, da cui discende una durata ristretta della pellicola (inferiore ai novanta minuti, escludendo titoli di testa e di coda).
La colonna sonora di Ennio Morricone rielabora lo splendido tema dell’Acquario tratto da Il carnevale degli animali di Camille Saint-Saëns.
È il film che lancia Richard Gere nell’olimpo di Hollywood, con il suo primo ruolo da protagonista. La sua interpretazione ingenua non è sicuramente memorabile, ma è tuttavia efficace. Se è vero che tanti neo-divi rifiutarono la parte di Bill, è curioso notare come nel successivo film di Malick, La sottile linea rossa, che arriverà dopo vent’anni, ci sarà invece letteralmente la coda di star che vorranno lavorare con lui, alcune delle quali riceveranno addirittura lo smacco di essere esclusi dal final cut.
Per il resto, da un punto di vista contenutistico nel film si trovano i temi, cari al regista, del delitto e del castigo (quello degli uomini e quello divino), del sogno americano e della condizione degli ultimi, in un mix di trascendenza e immanenza che già si era manifestato, sebbene meno intensamente, ne La rabbia giovane.

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Se non fosse / 19 Aprile 2016 in I giorni del cielo

per la fotografia sarebbe un film meno che mediocre recitato con sufficienza, ma le immagini compensano la debolezza della storia e la lentezza del film. Godibile anche senza i dialoghi che sono quasi inutili.

L’universo magico di Malick. / 5 Novembre 2014 in I giorni del cielo

(Otto stelline e mezza)

Incantevole.
Il secondo lungometraggio di Malick non è tale solo perché pregno di bellezza (natura, scenografie, costumi, fotografia…), ma soprattutto perché ha il respiro di una favola tragica, di un drammatico incanto.

Le immagini frammentarie e gli scarni dialoghi sembrano schizzi di un ampio quadro che si compone letteralmente sotto gli occhi dello spettatore, senza sovrastrutture, sofismi o premesse: accade ciò che deve accadere. Si fugge, si muore, si lavora, si ama, perché ciò pare essere nell’ordine magico-animistico delle cose.
Bill, Abby e Linda capitano in questo luogo come i cavalieri alla corte della dama del lago e cadono nella malìa che vi grava.
La fattoria immersa in una sconfinata e vuota prateria occupata da Chuck (il bravo Sam Shepard) sembra infatti soggiacere ad un incantesimo: circondata da una natura perlopiù amica e da numerose specie animali che, come il grano che cresce sempre abbondante, si prestano ad essere costitutivamente il sostentamento dei proprietari del terreno, la casa di hopperiana memoria (ma, guardandola, è inevitabile non pensare anche a certi lavori di Andrew Wyeth) è sempre in ordine, fornita di ogni ben di Dio, accogliente, pur senza essere amministrata da una governante e senza essere costantemente rigovernata da uno stuolo di domestici di cui le sue dimensioni, al contrario, sembrano necessitare. Come se fosse accudita da un popolo di elfi.

Guardando i paesaggi rappresentati da Malick, mi è venuto prepotentemente in mente il pittore di scorci americani descritto nel romanzo Moon Palace di Paul Auster. Malick, avvalendosi dei trucchi e dei mezzi del cinema, come un abile prestigiatore ha ricreato il Texas dei primi del Novecento in Canada, ha plasmato un luogo in vece di un altro, riproducendo (o meglio, creando) un Eden scomparso con attenzione filologica e spacciandolo per un incantesimo con una naturalezza commovente.

La voce fuori campo che lascia più spazio alle suggestioni che alla cronaca nuda e cruda dei fatti mostrati sullo schermo ha un prepotente fascino arcaico: i continui rimandi a dettagli sovrannaturali (su tutti, quello del diavolo nella fattoria o le dita fredde che lambiscono i capelli di Linda nelle notti sul fiume) conferiscono alla storia un alone di antico mistero degno dei racconti di Lovecraft e dei suoi succiacapre o l’ambientazione pseudo-stregonesca de Il crogiuolo di Miller.
Il bellissimo tema musicale composto da Morricone su traccia de Il carnevale degli animali di Camille Saint-Saëns , poi, esalta splendidamente e rimpolpa questa dimensione magico-onirica.

Titoli di testa semplici, eppure fortemente evocativi del contesto e dell’atmosfera generale del film: riproducono alcuni dagherrotipi scattati evidentemente in epoche diverse, eppure contribuiscono a creare immediatamente un universo preciso, connotato da polvere e fame. Come riportato sul sito Art of Title, guardandoli non si può essere in nessun altro luogo se non lì, negli Stati Uniti della cosiddetta Gilded Age.

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Novecento americano / 3 Luglio 2013 in I giorni del cielo

La fotografia scenosa, se vogliamo un po’ zuccherina, tutta contrasti e gialli autunnali non può pagare appieno lo spettatore. Non bastano neanche i dettagli estetici più ricercati; può il dirompente incendio di un campo di grano o una tormenta di locuste sconfinare dal semplice pregio dell’immagine a grandeur cinematografica?
Le interpretazioni non sono indimenticabili. Meglio il monoespressivo Sam Shepard che Richard “zigomi gommosi” Gere; nel confronto tra meteorine hollywoodiane, molto meglio la naturalezza della piccola Linza Manz della recitazione soap-style di Brooke Adams.
Un film banalmente sofisticato; il racconto storico dei braccianti americani d’inizio secolo ben si presta al paragone con il “Novecento” di Bertolucci, dove si può misurare l’enorme scarto della pellicola italiana per quanto riguarda l’energia, il verismo che scalza il lirismo, la carica sociale che pulsa dal basso ma senza le ambizioni dell’ american dream.

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13 Gennaio 2013 in I giorni del cielo

L’America rurale di inizio 900, con i suoi sogni, speranze e sentimenti. Interessantissimo affresco di Malick aiutato da una fotografia mozzafiato, colorata perlopiù dalle luci del tramonto.

9 Gennaio 2013 in I giorni del cielo

Secondo lungometraggio di Malick, opera intensa e bella. Come non notare la mano inconfondibile, l’intuito registico e quel tocco delicato e personalissimo che è solo di Terrence? Siamo agli inizi di una carriera dosata col contagocce, ma non per questo meno brillante e unica. L’uso delle immagini che fa Malick è magistrale e perfetto, parlano da sole e narrano meraviglie.
La fotografia accompagna la telecamera, creando dei veri e propri quadri. Voice-over, pochi dialoghi, interessi quasi documentaristici, bellissima colonna sonora e curatissimo montaggio sonoro, tutte le caratteristiche di Terrence ci sono.
90 minuti che valgono.

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Sopravvalutato. / 25 Giugno 2012 in I giorni del cielo

Non è il miglior film di Malick,nè è il più poetico e commovente e,seppur essendo accattivante,non esplora un’epopea melodrammatica col gusto dell’impresa.”I Giorni del Cielo” è un melodramma rurale,incorniciato in una piantagione texana(ricreata in Canada),dove si svolge questa piccola storia di anime.Una mano autorevole,per dirigere un film privo del mordente necessario per entrare nell’albo dei migliori film della Storia.Eppure,le componenti per il successo,il film di Malick ce le avrebbe tutte:un giovane attore,già bravo;una fotografia meravigliosa,che ha vinto anche il premio Oscar;una colonna sonora geniale ed emozionante,di Ennio Morricone;la possibilità,per gioia del regista,di ricreare un mondo perduto,rivangare il passato,così da scoprire il presente.Ma il film non è il capolavoro che dicono:Nella parte centrale gira spesso a vuoto,prima di riprendere quota,e non semplifica uno sguardo,relativo che riprende un’opera-epoca,con la gioia di una nuova avventura.Malick,fa un passo indietro rispetto allo straordinario esordio con “La Rabbia Giovane”,lancia un’altra icona per il futuro(Richard Gere) e rettifica il suo talento nel ricreare epopee del passato che sembrano (troppo)moderne.Una chiave di svolta nel film stà nella scelta,inconsapevole,di spedire l’amata in un turbinio di passione,una passione lungimirante e non ricreata perfettamente.L’atmosfera è quella da cinema classico,le pretese sono altissime,e Malick punta alto.Non fa un tonfo colossale:il melodramma intriga senza appassionare,il mondo da lui ricreato perfettamente è splendido nella sua finzione,il cast è superlativo.La storia non regge il confronto con le altre regie del maestro(a parte il non classificabile New World),e finisce per scivolare in un baratro di frivolezze e luoghi comuni,che dovrebbero essere estranei a Malick.Sopravvalutatissimo da tutti,a distanza di anni non è che un veicolo per passare una serata in compagnia,per vedere un film che distrae.Le ambizioni poetiche ed emozionanti sono abolite dal regista.Per concludere,gli anni de “I Giorni del cielo”,purtroppo,non contano niente.L’opera,lirica,è moderna,anche se si attende un respiro di classicismo e un colpo di scena che non arriva.Tra le cose meno riuscite del maestro.

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