Recensione su Da zero a dieci

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5 Agosto 2012

Il guaio di Ligabue (e ve lo dice una, cari miei, che ha stravisto per lui, fino ai fasti, applauditi di persona, di Buon compleanno Elvis) è che si prende troppo sul serio, specie quando ha intenzioni “epiche”, come in questo caso.

Dopo la buonissima prova cinematografica di Radiofreccia, la cui resa -vuoi per l’ottimo effetto amarcord, vuoi perché film e interpreti erano davvero freschi, incisivi e ben delineati- è indiscutibilmente iconica (dài, è innegabile che Eddy Mercxz e le rovesciate di Bonimba non abbiano vissuto di nuovo splendore, dopo quella pellicola), qui il Liga pigia il piede sull’acceleratore delle frasi fatte, delle scene (presunte) indimenticabili, dei personaggi in cui sarebbe bello ritrovarsi almeno un po’.
Il risultato è abbastanza stucchevole e, Pesce e Favino a parte, anche le interpretazioni lasciano un po’ a desiderare.

P.s.: Freccia aveva un fratello? A quanto pare, sì. Che storia.

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