Recensione su Americani

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All’ombra di Sua Maestà Jack Lemmon / 21 Luglio 2017 in Americani

Non sempre con un grande cast si ottiene automaticamente un capolavoro; c’è bisogno di una alchimia particolare che fonda le basi sulla qualità della sceneggiatura. Qui abbiamo all’origine una pièce teatrale di altissimo livello firmata David Mamet, al quale l’ottimo artigiano James Foley cuce attorno una regia impeccabile. Essendo un dramma teatrale, le ambientazioni sono ovviamente limitate; un ufficio, uno scorcio di strada, un bar. Ebbene, nell’essenzialità del set emerge più cristallina che mai la recitazione degli attori; ottime le prove di attori del calibro di Kevin Spacey, Ed Harris ed Alan Arkin i quali però devono lasciare spazio ai veri, eccezionali mattatori della scena. Al Pacino è a mio modesto parere il più grande attore vivente e qui indossa panni a lui congeniali, quelli del venditore più scafato, vecchia scuola, quello che ti incanta con la parlantina come le spire di un serpente e che non si lascia certo mettere i piedi in testa dal capetto di turno. Eppure anche lui in questo caso deve lasciarsi adombrare un pochino dalla maestosa performance di Jack Lemmon, che forse nel ruolo del vecchio Shelley Levene ha toccato l’apice della sua gloriosa carriera, davvero un corredo di espressioni da antologia hollywoodiana sebbene la nomination agli Oscar gli venne poi soffiata dall’illustre “collega” Pacino.
La storia è scritta con grande intelligenza (nota a margine: devo recuperare Mamet!) e mette a nudo la realtà spietata del mondo delle vendite, in questo caso proprietà immobiliari, zeppo di menzogne e malato di una competizione imposta dai grandi speculatori. Il discorso del giovane yuppy Alec Baldwin è giustamente noto, divenuto icona di questo ahimè abbastanza dimenticato Glengarry Glen Ross (che l’acume italiota ha rititolato in maniera orribilmente banale “Americani”). Il consiglio di recuperarlo è scontato.

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