Recensione su Rock of Ages

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26 Maggio 2013

Tutta colpa del “Paziente Inglese”. Uscita indenne nel fisico ma agonizzante nello spirito dall’interminabile polpettone di Minghella, mi ero ripromessa che il prossimo film avrebbe grondato disimpegno da ogni fotogramma e, dopo estenuanti ricerche sul mio portatilino ormai fumante ero riuscita a restringere il campo a due alternative: “Xtro”, storia di un’invasione aliena piuttosto weird, e “Tutti a Hollywood con i Muppet” che….beh, si commenta da solo! In ogni caso i miei piani sono andati a farsi benedire quando oggi pomeriggio il mio caro cuginetto ha sfoderato il DiViDi di questa pellicola; dovete sapere che io ho una spiccata passione per il musical e una venerazione per il rock’n’roll in tutte (o quasi) le sue forme e declinazioni, perciò non potevo che incitarlo a ficcare nel lettore il dischetto e raggiungermi sul divano per un’immersione di un’oretta e mezza nella Los Angeles dei tempi d’oro: risultato? Abbiamo passato praticamente tutto il film a giocare a “Indovina per primo la canzone, il gruppo e l’anno” (con anche un breve salto su Wikibibbia per convincerlo che ‘We’re Not Gonna Take It’ è un pezzo degli Who) e a cercare falle nella ricostruzione storica del periodo (‘More than words’ è del 1991, lo sanno pure i muri!), tanto la trama, lo svolgimento e il finale del film erano palesi già dal primo quarto d’ora! Un vero peccato, perché il potenziale per un piccolo cult c’era tutto, ma la sceneggiatura è davvero debolissima e gli attori protagonisti sono imbarazzantemente anonimi rispetto a tutti i comprimari: tra qualche anno, ripensando a questo film ricorderete la stralunata faccia da schiaffi di Russel Brand oppure il plasticoso Mini-me di Christina Aguilera venuta a cercare il suo posto fra le stelle? Insomma, bastava un piccolo sforzo nei casting e un piccolo rischio da parte della produzione, e poteva venirne fuori qualcosa di molto buono: invece c’hanno infilato una uscita da “Ballando con le stelle” e un tizio che fa soap opera in Messico e il risultato è appena sufficiente. Nota finale. Le restrizioni imposte dalla sempre più rompiballe censura made in USA hanno dato il colpo di grazia, velando tutta la pellicola di uno spesso strato di irrealtà e trasformando il Bourbon nel club di rockettari anni ’80 più perbenista della storia del cinema: nessuno fuma sigarette, nessuno consuma droghe, nessuno che vomita in un angolo, tutti che parlano in un linguaggio ‘parolaccia-free’ che perfino mio nonno approverebbe; andiamo, la rockstar interpretata maledettamente bene da Tom Cruise si trascina strafatta e sconvolta per tutto (e dico tutto) il film, e la sostanza più pericolosa che ingerisce è una goccia di whiskey da una bottiglia ormai vuota: ma a chi vogliono darla a bere? Allora vi chiederete, perché una sufficienza? Hai dato 5 a “Barry Lindon”, perché questo film non dovrebbe meritare un posto nel muro adorno di W.C.? Ma perché un posto come il Bourbon si avvicina di molto alla mia personale concezione del paradiso (certo, io probabilmente sarei l’unica con la sigaretta in bocca e ci sarebbe Fassbender seminudo e super-ingrifato dietro il bancone, ma ci siamo quasi) e soprattutto perchè la colonna sonora è EPICA, non conosco altre parole per dirlo se non quelle del caro, vecchio, baffuto Mr. Seger:

Just take those old records off the shelf
I’ll sit and listen to them by myself
Today’s music ain’t got the same soul
I like that old time rock and roll
Don’t try to take me to a Disco
You’ll never even get me out on the floor
In 10 minutes I’ll be late for the door
I like that old time rock and roll
Still like that old time rock and roll
The kind of music just soothes the soul
I reminisce about the days of old
With that old time rock and roll!

PS: non scuotete la testa, un giorno mi deciderò a crescere ma quel giorno, decisamente, non è oggi! 😉

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